Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 2, febbraio 2016 Cover story

Sanità: bella e bistrattata

Perché parlano male di lei? I tanti punti positivi del sistema sanitario trentino, offuscati dagli incredibili pasticci della politica.

Sanità trentina alla deriva? Sembrerebbe di sì, seguendo i perplessi commenti dei nostri quotidiani. Ma poi il giorno dopo no, saltano fuori statistiche che la danno ai primissimi posti a livello nazionale. E allora ecco la sintesi: abbiamo una sanità forse buona, ma costa troppo, sono capaci tutti con i soldi dell’Autonomia, che adesso peraltro non ci saranno più...

Tutto questo aggravato - anzi probabilmente generato - dagli sbandamenti della politica e del vertice dell’Azienda, in un balletto di assessori delegittimati e dimessi; di direttore contestato, riconfermato, evaporato; di punti nascita tagliati, difesi in piazza, strangolati; di Nuovo Ospedale spostato qua e là, con la finalità ballerina (ospedale per i casi acuti e\o per i residenti del capoluogo?) e i supercosti incombenti; in parallelo il cosiddetto “vecchio” ospedale (in realtà ristrutturato da cima a fondo) denigrato; gli ospedali di valle presentati come fonti di spreco... e via così. Cerchiamo di fare un po’ di ordine.

Tab 1 - Speranza di vita a 65 anni senza limitazioni nelle attività di vita quotidiana (dati 2013). Fonte: Elaborazione CREA Sanità su dati ISTAT

Anzitutto, la salute della popolazione. Che è buona, anzi, molto buona. La tabella 1 ci fa vedere come un sessantacinquenne trentino maschio ha davanti la prospettiva di oltre 13 anni di vita senza disabilità, ben 4 anni più della media italiana (per le femmine trentine, curiosamente, la speranza è inferiore, ma comunque sono sempre al terzo posto nella classifica nazionale). E altri dati, elaborati da una pluralità di istituzioni terze, confermano questa situazione.

Ora, la salute della popolazione non dipende solo dalla qualità del suo sistema sanitario. I trentini beneficiano di una vita mediamente attiva e di una tendenza a un’alimentazione di buona qualità, pur con l’eccezione dell’abuso di alcool. Secondo tutti gli studi, la salubrità dell’ambiente, la cura di sé, il tipo di vita, di alimentazione e l’attività fisica influenzano lo stato di salute e l’impatto delle patologie fino al 90% dei casi totali.

Detto questo (e rilevato che la prevenzione e l’informazione fanno parte anch’essi del servizio sanitario), se puntiamo lo sguardo sulla cura delle malattie, sui ricoveri ospedalieri e sui loro esiti, anche qui studi e statistiche, dell’Istat, dell’Università Tor Vergata, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e di altri enti (“molto seri e assolutamente terzi” ci assicurano i nostri interlocutori) sono molto positive.

Una conclusione peraltro in linea col Trentino dell’Autonomia; e quindi con i ricchi finanziamenti dell’Autonomia stessa. Da qui il solito interrogativo: tutto questo, quanto costa? Non è che siamo bravi perché abbiamo (avuto) tanti soldi?

Tab 2 - Spesa sanitaria procapite (in euro)
Pubblica Privata Totale
Nord 1.9006102.510
Centro 1.9124682.380
Sud e Isole 1.8363142.150
Italia 1.8814812.362
Trentino 1.8245822.406

Tabella riferita alla spesa corrente, esclusi gli investimenti (edifici, macchinari ecc). Fonte: indicatori ICREA, dai dati Istat e Corte dei Conti.

Ma dobbiamo sfatare il luogo comune: il Trentino non spende tanto, anzi. La tabella 2 indica come la spesa sanitaria pro capite sia decisamente più bassa di quella delle altre regioni settentrionali (solo l’Emilia fa meglio); ed è superiore a quella del centro Italia e ancor più a quella del Sud, ma lì è un altro mondo, in questo campo non certo da imitare - come dicono le statistiche e anche le esperienze di chi ha avuto a che fare con la sanità meridionale, compreso chi scrive.

Di più: il sistema trentino risulta anche socialmente sostenibile: sono al minimo i ticket (più bassi solo in Sardegna), come pure la quota di famiglie impoverite a causa delle spese sociosanitarie, o quelle che per motivi economici han dovuto rinunciare all’assistenza sanitaria.

Liste d’attesa? Falso problema

I giornali riferiscono spesso che l’aspetto più criticato dagli utenti sono i tempi di attesa per le visite specialistiche. E un’indagine commissionata dalla stessa Azienda sanitaria nel 2014 su un campione di 2500 cittadini intervistati mostra che il 35% si dice insoddisfatto per le liste d’attesa, ripartito tra il 19% di Trento e il 35-45% dei territori di valle.

Di fronte a questi dati, la maggior parte dei medici da noi contattati è rimasta sorpresa. “Si tratterà di pazienti che non rispettano il sistema dei RAO”, hanno ipotizzato.

Cosa sono i Raggruppamenti di Attesa Omogenei? Forse qualcuno di voi ha notato che in certi casi sulla ricetta del medico viene indicato un codice “RAO” seguito dalle lettere A, B, C. È l’equivalente dei codici colore di pronto soccorso: RAO A è il codice rosso e la visita va effettuata entro 3 giorni, RAO B entro 10, RAO C entro 40 è il codice verde; in assenza di RAO è come col codice bianco: tocca a te solo quando abbiamo finito con gli altri.

Tab 3 - Tempi di attesa
PrestazioneTempo di attesa medio (gg)
RAO ARAO BRAO CSenza RAO
Colonscopia-81643
Ecocolordoppler cardiaca-61726
Mammografia-41128
TAC addome completo151520
Visita endocrinologica-71632
Visita oculistica261749

Dati 2015, fonte: Assessorato alla Salute e politiche sociali

Tab 4 - Esecuzione prestazioni RAO
attesaRAO ARAO BRAO C
fino a 3 giorni94,80%33,00%16,95%
da 4 a 104,66%60,64%27,52%
da 11 a 300,51%5,70%52,62%
da 31 a 600,03%0,62%2,63%
OLTRE 600,00%0,03%0,28%
Totale100,00%100,00%100,00%

Dati 2015, fonte: Assessorato alla Salute e politiche sociali

Le statistiche dell’assessorato sulla gestione dei RAO (vedi anche le tabelle 3 e 4) ci dicono che oltre il 40% delle prescrizioni con RAO (a prescindere dal codice) viene eseguito entro 10 giorni, e il 97% entro 30. Viceversa, in assenza di RAO, i tempi crescono drasticamente: le medie raggiungono i 30 giorni, con valori massimi oltre i 45.

Ricordiamo che il RAO viene assegnato dal medico di base: è lui che, conoscendo la storia clinica della persona, valuta se ci sia un’effettiva necessità di quella prestazione. In altre parole: il 97% delle richieste “motivate” viene servita entro un mese dalla prescrizione. Non solo: molte volte i ritardi sono dovuti al fatto che la visita si può effettuare sì in tempi brevi, ma in una struttura lontana dalla residenza del paziente, che magari da Trento deve andare a Borgo; lui non accetta e allora i tempi si allungano. E il paziente protesta. “Ma questo non si deve accettare” ci dicono i medici.

E qui vengono al pettine due nodi. Il primo è il ruolo del medico di base che, per il 35% degli utenti, gli insoddisfatti, evidentemente lesina le urgenze. Per non parlare poi di quelli che il medico di base lo saltano e si presentano al Pronto soccorso, dove in genere ricevono un codice bianco e vanno incontro a 5-6 ore di attesa e più. “Però il sistema sanitario dà una risposta anche a queste persone - ci fa notare un primario - e mi sembra difficile che si possa chiedere di più”.

Concordiamo: anche l’utente che scavalca completamente il sistema, e decide che una certa visita gli serve perché lo ha fatto in passato o magari perché glielo ha suggerito un amico, viene fatto aspettare, ma non viene abbandonato. Basta che poi non protesti.

Rimane però il tema del ruolo e autorevolezza del medico di base. E su questo torneremo in un prossimo servizio.

C’è poi un secondo nodo: il Trentino come sistema di strutture in rete. Per cui gli ambulatori, le specializzazioni, sono diffusi nella provincia, per concentrare le competenze e contemporaneamente coprire il territorio: ma questo richiede che il cittadino si muova, non può pretendere di avere lo specialista sotto casa e subito a disposizione. E a nostro avviso l’assessorato non ha fatto abbastanza per far capire al cittadino i vantaggi e le modalità di approccio a questo sistema.

“Non sono d’accordo: anche nelle risposte in Consiglio Provinciale, abbiamo sottolineato proprio questo dato - ci risponde l’assessore Luca Zeni - E comunque dobbiamo riconoscere che rimane qualche area in cui bisogna fare un ulteriore sforzo” (il 3% di RAO non soddisfatti entro un mese).

Poca trasparenza

Insomma, tutto bene? Così sembrerebbe, da queste nostre righe. Calma. Anzitutto un fatto di stile, per niente secondario. Il lettore avrà notato come i nostri interlocutori, medici e primari, siano anonimi. “Mi raccomando, il mio nome non deve comparire - è stata la frase che ci è stata costantemente ripetuta - Noi non abbiamo i diritti civili”. È un verticismo, un autoritarismo, inaugurato da Ugo Rossi quando era assessore alla Sanità, coltivato e poi inasprito dal direttore dell’Azienda Luciano Flor, giunto a rivolgersi all’autorità giudiziaria per conoscere chi avesse rivelato “dati sensibili” riguardo il trasferimento problematico di una donna incinta da Arco a Trento e di un neonato in termoculla da Cles al Santa Chiara. Ma a parte la sindrome dell’uomo solo al comando a gestire un fortino assediato non dai tartari ma dai cittadini che chiedono trasparenza (c’è stato persino un tentativo di zittire pure i politici di opposizione), un uomo che poi non ha retto alla pressione ed ha abbandonato il campo, il tema più generale è come si gestisce un servizio essenziale, in cui basilare è la condivisione degli obiettivi da parte sia degli operatori che lì lavorano, sia dei cittadini, che nel sistema devono inserire se stessi, le vite proprie e dei propri cari.

È un campo in cui non dovrebbe esserci spazio per l’autoritarismo. “D’accordo, non può esserci un regime poliziesco, ma neanche l’anarchia in un settore così delicato in cui si intrecciano interessi e carriere. Un’organizzazione complessa ha bisogno di ordine” ci risponde democristianamente l’assessore Zeni. Noi dissentiamo, anche se riconosciamo all’assessore la massima disponibilità nel fornirci, e in tempi molto stretti, i dati che abbiamo chiesto.

Poi c’è la sostanza. I soldi.

Abbiamo parlato bene del bilancio dell’Azienda sanitaria. Ma non siamo convinti che il discorso sulla spesa corrente, in cui appunto siamo nel Nord i secondi più risparmiosi, esaurisca l’argomento. C’è anche il discorso degli investimenti, o meglio, delle costruzioni, in cui il Trentino dellaiano ha sempre svettato, profondendo valanghe di milioni in calcestruzzo. Sono dati secondari nel bilancio dell’Azienda sanitaria: negli ultimi anni variano tra i 30 e i 70 milioni su un bilancio di oltre 1.200. Ma sappiamo anche che tutta una serie di spese sono imputate ad altri capitoli: la costruzione di protonterapia anche nella Ricerca; l’incombente NOT nei Lavori pubblici.

In tutto questo c’è un pericolo: che il paziente lavoro di contenimento della spesa corrente, a iniziare dal personale, risulti uno stress dovuto in gran parte al parallelo imbarcarsi in avventure costruttive, purtroppo connaturate al dellaismo, e micidiali oggi.

Investire non nei muri, ma nelle persone” raccomandava negli anni ‘90 l’assessore all’Istruzione Vincenzo Passerini (non a caso l’unico benvoluto da insegnanti e studenti). E come nella scuola di quegli anni, così potremmo dire per il Trentino in genere, e la sanità in particolare, di oggi.

Infatti le dinamiche salariali sono state messe sotto controllo. Anzitutto limitando le assunzioni: dal 2012 ad oggi, il personale è diminuito da 7.662 unità a 7.499; i medici praticamente invariati, da 1.102 a 1.100. Eppure parallelamente si sono attivati nuovi reparti, nuove funzioni: day surgery all’ex Villa Igea, Villa Rosa a Pergine, protonterapia, volo notturno. In sostanza c’è stato un semiblocco del turn over: ogni due persone che se ne andavano, se ne assumeva una sola.

Questo ha portato a razionalizzazioni. Ma anche a carichi di lavoro sempre più impegnativi. Soprattutto per i medici: che se nel 2010 totalizzavano 232.000 ore eccedenti l’orario, una percentuale del 13,4% rispetto al totale delle ore lavorate, nel 2014 sforavano l’orario con quasi 273.000 ore, arrivando al 15,3%. E siccome il pollo di Trilussa è sempre un maestro, è chiaro che quest’aumento non è risultato uguale per tutti, ma concentrato sui medici ospedalieri che fronteggiano le operazioni e le urgenze. Per cui è risultato sconcertante che, quando è finalmente diventata non più rinviabile la normativa europea che impone, dopo ogni turno in teoria di 12 ore, altre 11 di riposo, e un massimo settimanale di 47 ore, l’Azienda sanitaria sia entrata in tilt. “Al di là di alcune rigidità forse eccessive di questa norma - ci dice un primario - il problema è come si pensa che lavori il medico stanco. Al camionista, se supera un tot di ore, mettono dischi alle ruote del Tir; è possibile che il medico invece possa, anzi debba, cumulare ore su ore? Che ci si imponga di dedicare al massimo 15 minuti a visita? Che se in un anno fai 8.000 visite, l’anno prossimo te ne chiedono 8.500?

All’allora assessora Borgonovo Re presentammo delle valutazioni secondo cui in Trentino mancano tra gli 80 e i 100 medici specialistici, con conseguente sovraccarico per il personale presente - ci dice il segretario del sindacato CIMO, Piergiuseppe Orlandi - L’assessora convenne. In questa situazione, col recepimento (tardivo) della direttiva europea non si capisce che il sistema rischia il collasso?”

Abbiamo infatti potuto stanziare 9 milioni per assunzioni - replica Zeni, cui abbiamo girato la domanda - E i numeri magari possono ballare, ma 9 milioni portano diverse assunzioni”; cioè, a 100.000 euro ciascuno, sono proprio i 90 posti di cui si era parlato.

Il ruolo della periferia

Ma c’è un altro punto, in cui il contenimento della spesa è contestato: la razionalizzazione della rete ospedaliera, ossia ruolo e utilità degli ospedali periferici.

Tab 5 - Costi strutture ospedaliere
AnnoTrentoRoveretoCavaleseBorgoClesArcoTioneTotale
2014302,74114,4424,1327,9135,5937,8924,14566,84
2015 (non definitivi)307,3711424,2728,2235,4438,1724,37571,84

Fonte: Azienda Provinciale Servizi Sanitari (dati controllo di gestione)

Dei 1.230 milioni di spesa dell’Azienda, circa 500 milioni vanno nei distretti sanitari, la non appariscente ma importantissima medicina di base (ambulatori, contratti con i medici di base, prevenzione, igiene pubblica), e 570 negli ospedali. Ripartiti come mostrato nella tabella 5.

Tab 6 - Ospedali trentini: indicatori di efficienza (rapporto costi/fatturato)
201320142015 (proiezione )
Trento 1,581,551,50
Rovereto 1,641,591,56
Cavalese 1,471,441,47
Borgo 1,821,791,65
Cles 1,531,511,51
Arco 1,941,981,93
Tione 1,901,851,80
APSS 1,621,621,55

A ogni prestazione sanitaria è correlato un DRG e relativo controvalore finanziario. Il rapporto costi/fatturato è costituito dal rapporto da quanto spende la sanità, in ogni ospedale, nell’effettuare la prestazione da una parte e dall'altra il valore della stessa, ossia quanto realizzerebbe se la facesse pagare. Le cliniche private hanno tale rapporto inferiore ad 1 (altrimenti falliscono). Gli ospedali pubblici rispondono ad altre logiche, ma comunque più basso è il rapporto, maggiore è l’efficienza. Fonte: Azienda Provinciale Servizi Sanitari

Come si vede, l’insieme degli ospedali periferici costa poco più di un quarto della cifra totale, e al contempo assicura una diffusione del servizio sul territorio. Il punto quindi non sono le cifre assolute, ma l’efficienza di questa spesa. Che viene invece evidenziata dalla tabella 6, in cui si vede che ci sono alcuni ospedali di valle (Cavalese e Cles anzitutto) che hanno raggiunto, attraverso specializzazioni mirate, un’efficienza superiore anche a Trento e Rovereto, mentre altri invece sono più in difficoltà.

Per ridurre i costi mantenendo un adeguato livello di servizio la soluzione non sono i tagli indiscriminati” ci dicono gli operatori. “Non bisogna chiudere gli ospedali, ma decidere su quali reparti puntare” sintetizza Orlandi.

E qui si torna alla questione dei punti nascita, su cui si è combattuta la partita tra Rossi e l’assessora Borgonovo Re. Il mondo scientifico sconsiglia di mantenere aperti punti nascita con meno di 1000 (ed eccezionalmente 500) parti all’anno per una questione di esperienza del personale: “Si perde competenza e si aumenta il rischio”. Eppure, anche i punti nascita con 2-300 parti l’anno sono stati mantenuti, magari a mezzo servizio. “L’ospedale è per il politico centro di potere, per tutti centro di lavoro”.

In realtà i valligiani che hanno vivacemente protestato per i punti nascita, anche quando a guidarli c’erano politici che a curarsi vanno altrove (e se donne, vanno a Trento a partorire) hanno una sacrosanta ragione di fondo: il timore che la progressiva asfissia decretata in questi anni ai loro ospedali faccia parte di un più generale processo di accentramento che svuota le valli di lavoro qualificato e di cultura, relegandole a fragile divertimentificio, e conseguente emarginazione. Sentiamo due primari.

Razionalizzare significa soprattutto considerare ogni elemento del sistema (ospedali grandi, ospedali piccoli, ambulatori, strutture private) come una parte che collabora col resto. Gli ospedali di valle, anziché cercare di replicare l’offerta del Santa Chiara, possono specializzarsi in particolari discipline: ad esempio, l’ospedale di Arco può caratterizzarsi per la pneumologia, mentre Cavalese, in virtù della vicinanza con la montagna, nella traumatologia”.

Il concetto corretto deve essere che se io tolgo mille ricoveri in un reparto di valle, devo poi metterne altri mille in un altro. Nelle sale operatorie di Trento, con l’urgenza fai la fila, aspetti anche due giorni, mentre in valle le sale operatorie lavorano poco. Quindi bisogna delocalizzare delle specialità. Il centro per i politrauma deve rimanere Trento, i traumi isolati che non compromettono funzioni vitali, che sono la stragrande maggioranza, devono venir trattati in tutte le altre 6 ortopedie, ognuna delle quali specializzata: nel ginocchio, nella mano, nell’anca...”.

Questo progetto è uscito, ma non è stato difeso e pubblicizzato. Perché la politica invece, ha lungamente pasticciato. Litigi tra assessora (Borgonovo) ed ex-assessore (Rossi), tra maggioranza e opposizione, dentro la stessa maggioranza, mai prospettando un disegno complessivo, ma varando alla fine il solito lento processo di asfissia: l’ostetricia ad ore, per cui pochissime puerpere nelle valli si sono più fidate dell’ospedale sotto casa.

L’assessore Zeni, naturalmente, difende le scelte fatte: “Noi dobbiamo tenere insieme sicurezza, lavoro, ricaduta sociale. Ora aspettiamo le risposte da Roma sulle deroghe ai 500 parti annui e poi rapidamente risolviamo una questione sopravvalutata ma anche dal grande significato simbolico”.

Concorda invece sulla necessità di specializzazioni decentrate: “Possiamo dare risposte a quasi tutte le problematiche con un accentramento a Trento degli acuti, ma lì non può esserci un ospedale da 2000 posti, un mostro che non esiste in nessuna parte al mondo, dovrà esserci la rete di specialità decentrate. Attraverso la trasparenza, che è essenziale, pubblicizzeremo questo dato, e sarà il cittadino a chiedere di andare nell’ospedale dove c’è lo specifico specialista”.

Serve un nuovo ospedale?

È in questo quadro che si inserisce il Nuovo Ospedale Trentino. I nostri lettori sapranno come ne abbiamo contrastato il senso: nella scheda a fianco l’ing. Salvati, tra i registi della ristrutturazione del “vecchio” Santa Chiara, spiega come è stato adeguato il nosocomio, e come in parallelo è sorta l’idea di farne uno nuovo, perché all’epoca di Dellai-Grisenti le centinaia di milioni per nuove costruzioni si trovavano sempre.

Ora, con le incombenti ristrettezze, mentre si cerca di risparmiare su tutti i fronti, sperperare 300 milioni (i primi) per nuovi muri, altrettanti per nuovi macchinari, per autentici capricci come le pretesa per cui “stanze a sei posti sono inaccettabili” (come ancora ci ripete Zeni) ci sembra una follia, una frusta ripetizione dei vizi dellaiani. Che nell’attuale contesto si tradurrebbe nell’ennesima compressione della spesa da investire nelle persone - medici e pazienti - per sperperare in calcestruzzo. Un attentato a un sistema che dovrà fare i conti con le possibili nuove ristrettezze dell’Autonomia.

Anche sui conti presentati da qualche consulente e accettati da diversi primari c’è da ridire: il NOT si ripagherebbe grazie ai risparmi sulle spese di gestione. Come il venditore di auto, che ti intorta dicendoti che ti conviene vendere la tua macchina di 5 anni e comperarne una nuova, perché risparmi. Le spese di gestione del Santa Chiara (compresi gli stipendi dei medici) sono infatti 300 milioni all’anno: ammesso anche, e assolutamente non concesso, che il NOT permetterebbe di risparmiarne il 10%, sarebbero 30 milioni, assolutamente insufficienti a ripagare una spesa che sarà di almeno 600 milioni.

Anche sulle finalità del Nuovo Ospedale c’è confusione. “Sarà un ospedale per i casi acuti, mentre l’ospedale distrettuale al servizio di Trento resterà all’attuale Santa Chiara” ci dice un primario. “Purtroppo si prevede di trattare sia i casi acuti che quelli meno gravi, replicando il difetto del Santa Chiara” ci dice un altro. “Tratterà solo i casi acuti, un ospedale super specialistico. Per i casi più comuni, gli abitanti di Trento faranno riferimento agli altri ospedali nel territorio” dice invece Zeni, prospettando una soluzione finora inedita e non sappiamo quanto popolare. Intanto il primario Galligioni (evidentemente autorizzato) ogni tanto spara sui giornali contro il decoro o addirittura la sicurezza dell’attuale nosocomio. Mah...

Santa Chiara, lo stato dell’arte

Alla fine degli anni 90, sul mio tavolo di neo responsabile dei Lavori Pubblici della PAT, trovai il progetto di ristrutturazione dell’ospedale S.Chiara, fermo da tempo, dopo che era stata fatta regolare gara di progettazione, vinta dal Gruppo di professionisti che faceva capo al prof. Ajmonino di Venezia.

Fu Paola Conci, assessore alla Sanità, a portare in Giunta una duplice decisione: dare inizio delle procedure d’appalto dei lavori e contemporaneamente dare corpo ad un gruppo di studio per definire l’assetto del futuro nuovo ospedale, il NOT. E nell’autunno 2001 i lavori ebbero inizio.

Il progetto Ajmonino prevedeva principalmente il rifacimento delle sale operatorie con la costruzione di una nuova ala dedicata, la ristrutturazione completa dei piani degenze, un aggiornamento generale degli impianti e un nuovo parcheggio a piano terra, fronte via Orsi.

Il progetto poi realizzato ha dato prevalenza ad un consistente ampliamento dell’area Pronto soccorso, che oggi risulta quasi raddoppiata e dotata di nuova elisuperficie attrezzata per il volo notturno, al Laboratorio di analisi e Servizio trasfusionale, pure aumentati nelle superfici e nelle disponibilità di attrezzature. I reparti di cardiochirurgia e chirurgia vascolare sono stati sistemati al piano rialzato in continuità con cardiologia e completati da una sala operatoria e posti letto di terapia intensiva. Gli ambienti così recuperati hanno consentito di migliorare gli spazi a disposizione di ortopedia, nefrologia e neurochirurgia che hanno completato in modo ottimale la dotazione specialistica del S. Chiara.

L’esistente area sale operatorie è stata solo parzialmente ammodernata e integrata con le sale dei reparti che di recente sono stati inseriti nell’ospedale.

I lavori di ristrutturazione delle degenze sono stati completati al 7° piano, ortopedia, al piano rialzato, area cardiologica e vascolare e al piano terra, cucine, guardaroba e locali accessori. Recentemente è stato sistemato il 6° piano per medicina interna.

Gli impianti sono stati fortemente potenziati e così i parcheggi, che oggi contano su 600 posti auto, di cui 250 interrati sul fronte via Orsi e 350 sul retro dell’ospedale. Il Comune ha aumentato il proprio parcheggio su via Crosina Sartori in occasione della realizzazione della nuova stazione servita dalla ferrovia Valsugana.

La vetusta e non funzionale Villa Igea, già sede di ortopedia, è stato recuperata per altre funzioni.

Nicola Salvati