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QT n. 3, marzo 2015 Servizi

Ancora sul quindicennio perduto

Gli anni dal 1999 ad oggi: come e perché il Trentino è andato indietro. E come mai la Giunta Rossi ne ha consapevolezza a giorni alterni.

È dei primi di febbraio un comunicato della Giunta Provinciale in cui si riportano gli ultimi dati Istat, con commenti fortemente positivi “Bene l’occupazione in Trentino (+1,3%) e nel confinante Alto Adige, unici territori assieme alla Lombardia ad avere registrato una crescita nel periodo 2011-2013; bene anche il Pil pro capite, che vede il Trentino posizionarsi al quarto posto in Italia (33,6 mila euro contro una media italiana di 26,7); bene infine la spesa per consumi, la terza più alta d’Italia”.

PIL provinciale pro capite (1995-2013) Valori in migliaia di euro, a prezzi costanti, anno 2005. Fonte: Istat - PAT, Servizio Statistica.

Ma scusate, che film è? Non era stata la stessa Giunta a licenziare poco prima un ponderoso studio dell’ Irvapp (Istituto per la Ricerca Valutativa sulle Politiche Pubbliche, un ente della Fondazione Bruno Kessler) che definiva “quindicennio perduto” l’ultimo periodo di politica economica del Trentino? Con una vistosa contrazione del Pil procapite rispetto al lontano 1995, dai 27.550 euro di allora ai 26.940 euro del 2012, con una caduta media annua dello 0,7%, mentre l’insieme della bistrattata Italia invece cresceva, sia pur solo dello 0,1%. Dati che quindi imponevano una correzione di rotta, e difatti la Giunta Rossi poneva proprio il rapporto dell’Irvapp come base del proprio “Piano di sviluppo provinciale”.

E invece adesso che succede? Contrordine, non è vero niente, va tutto bene, il Trentino è la solita isola felice? Si sta scherzando ora o si scherzava prima?

Enrico Zaninotto

Beh, questi divulgati nel comunicato sono dati noti - ci risponde il prof. Enrico Zaninotto, già preside ad Economia e coautore del rapporto dell’Irvapp - Anche noi abbiamo sottolineato la relativa positività dell’andamento occupazionale. Che però si sta deteriorando. Il punto vero è che la produzione del reddito (il Pil per intenderci, n.d.r.) sul lungo periodo non è soddisfacente”.

Insomma il prof. Zaninotto conferma che, al di là delle variabili e anche dei giochetti statistici (valutare la ricchezza a valori correnti - il valore di anno in anno - o a valori costanti - prendendo come riferimento il valore della moneta di un anno?) il Trentino è arretrato rispetto all’Italia. Come mai poi la Giunta Rossi prima dica che da questa consapevolezza bisogna partire, poi faccia una mezza marcia indietro, non è cosa che riguardi lo studioso, ma i giochetti della politica. A nostro avviso, conoscendo ormai i nostri polli, per loro il quindicennio perduto è un ottimo alibi per poter proclamare: “Guardate da dove ci tocca partire, cosa ci hanno lasciato” (sottinteso: cosa ci ha lasciato Dellai).

D’accordo, ma fino a un certo punto: anzitutto perché Rossi, Olivi, e con loro mezza giunta, di Dellai erano assessori; e poi perché un’altra idea di politica economica proprio non la hanno, e nemmeno di politica tout court. Il che inizia a spiegare come mai un giorno denunciano le risorse sprecate, il giorno dopo dicono che no, tutto va bene.

Meno ricchezza con più occupazione

Quello che però ci interessa è il merito delle questioni, vedere come sta realmente il Trentino.

Il punto è capire come mai da una parte il Trentino si sia impoverito più del resto d’Italia, e dall’altra l’occupazione abbia tenuto di più - afferma Zaninotto - Il fatto è che gli investimenti, soprattutto pubblici, hanno prodotto meno ricchezza del previsto, mentre la distribuzione di questa ricchezza si è rivelata migliore, più equa, che nel resto d’Italia”.

E qui siamo di fronte - meno male! - a un aspetto positivo: un’economia che sa distribuire, che attenua gli scompensi sociali dell’impoverimento. “Il che è dipeso da una serie di politiche sociali, ma anche da una particolare predisposizione del settore privato, dell’insieme della società: la piccola industria, tranne che nei settori stracotti (edilizia ed estrattivo) non solo ha tenuto, ma ha anche operato con una visione di comunità, cercando di licenziare il meno possibile. I dati infatti ci dicono che l’occupazione è diminuita sensibilmente meno di quanto sia diminuito il tempo di lavoro”. Insomma, ci si è distribuiti il lavoro e la ricchezza per non creare problemi sociali.

Bene. Rimane il fatto che il quindicennio perduto è stato caratterizzato da una ingente spesa pubblica. E a distanza di tempo va rilevato come tale spesa non sia risultata finalizzata alla creazione di un contesto economicamente più avanzato. Evidentemente si è sbagliato: dove?

“Si è insistito nel finanziare i settori decotti, a cominciare dalle costruzioni - risponde Zaninotto - E si è inoltre creata una struttura dualistica: da una parte imprese capaci di concorrere, esportare, innovarsi, dall’altra un grosso gruppo che non innova, soprattutto nei servizi, e a cui non si sono trasmesse le positività dei settori più avanzati. Questo perché innovarsi in tempi di crisi è difficile, ma anche perché le politiche industriali sono state poco selettive, poco discriminatorie: non si è aiutato chi aveva le gambe per camminare, ma chi era debole”.

È una dinamica ben nota. Chi ha un’impresa debole si rivolge alla politica, che si è rivelata incline ad aiutare. Questo meccanismo si intreccia con un altro, più perverso: la politica adotta certe imprese, le favorisce, e così facendo le indebolisce. L’impresa infatti non pensa più a razionalizzarsi, ma a compiacere il potente: è il caso clamoroso - per rimanere a esempi noti ai lettori di QT - della Cantina LaVis, o della Folgaria Carosello Ski, o dell’insieme del settore edile. Con i ben noti risultati finali.

Michele Andreaus

“E così si finisce col deprimere lo spirito imprenditoriale - afferma il prof. Michele Andreaus, ordinario di Economia e Management - Ci sono parecchi imprenditori che lavorano bene, esportano, innovano senza batter cassa in Provincia, ma una volta che hanno bisogno di parlare con l’assessore o il dirigente, non vengono considerati. Tu sei estraneo alla politica? Allora non esisti”.

“In effetti, pur se in alcuni casi ci sono stati degli interventi che hanno aiutato a progredire imprese meritevoli, nella media questa è stata la dinamica” - afferma Zaninotto.

I soldi a chi non li merita

Il caso forse più clamoroso è quello del cosiddetto lease back. Consiste nell’acquisto da parte dell’Ente pubblico della sede di un’azienda per poi riaffittargliela; il vantaggio, per un’azienda sana, sta nell’avere soldi freschi con i quali investire, espandersi e quindi sia pagare l’affitto sia restituire il capitale ricevuto. Solo che è stato utilizzato in minima parte per aziende in espansione, invece soprattutto - cosa teoricamente proibita - per aziende in crisi quando non decotte (la solita LaVis, ad esempio); col risultato che queste aziende, che già arrancavano, caricate anche dell’affitto si sono definitivamente schiantate. E la Provincia i suoi soldi ha finito per spenderli senza realmente promuovere l’economia, e adesso si ritrova con una serie di capannoni che arrugginiscono.

Questa incapacità ad attuare una seria politica industriale è testimoniata dall’andamento del settore delle case in legno, settore in cui il Trentino dovrebbe essere all’avanguardia: con la ricerca, le applicazioni tecnologiche, la presenza della materia prima, l’eccellenza delle realizzazioni, la promozione in tutto il mondo dal Giappone all’Abruzzo terremotato, sono state fatte le cose giuste per dar vita a un’industria fiorente. E invece no, siamo sempre alle tante piccole impresucce col portafoglio pieno di ordini, ma che non hanno né la mentalità né la capacità per accorparsi, crescere in dimensioni. Potremmo avere un’Ikea, abbiamo invece trenta artigiani. E l’ente pubblico, nonostante tutti i soldi investiti in ricerca e promozione, di questo non si preoccupa.

“È un caso classico - risponde Zaninotto - Ma è l’impostazione di fondo sbagliata, che favorisce non la crescita, la fusione delle imprese, ma la polverizzazione. Basta pensare che di fronte all’incapacità delle imprese di costruzioni a concorrere a certi appalti causa le ridotte dimensioni, non le si spinge ad aggregarsi, ma invece, per favorirle, si forzano le leggi spezzettando gli appalti”. E così si assecondano le tendenze più riduttive del mondo imprenditoriale, condannato alla marginalità e alla fragilità.

Il prof. Andreaus aggrava ulteriormente il giudizio: “L’aspetto peggiore consiste nella distruzione di capitale sociale perpetrato in questi anni. Il Trentino era caratterizzato da importanti reti di relazioni fiduciarie che ne hanno fatto la fortuna: la cooperazione, il volontariato, i pompieri. E sono state distrutte, soffocate dai soldi dellaiani. Quando non importa se gestisci una cooperativa con oculatezza, ma se sei vicino a piazza Dante (o a via Segantini), salta ogni discorso economico. Ma c’è di più: la solidarietà utilizzata per farsi i fatti propri (vedi il presidente di Federcoop Diego Schelfi che scrive alla Comunità della Val di Sole di fermare un supermercato di Poli concorrente di Sait che porterebbe alla ‘desertificazione dei piccoli paesi’) mina lo stesso concetto di solidarietà, così malamente strumentalizzato, incrinando la fiducia all’interno della società”.

I soldi appunto, utilizzati per sostituire la clientela alla solidarietà. Questa è la storia del quindicennio malamente perduto.