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È guerra

Karl Kraus e la guerra infinita

“Gli ultimi giorni dell’umanità”, da cui è liberamente tratta questa pièce (andata in scena a Rovereto a Palazzo Alberti il 21 novembre), è un testo teatrale monstre: un’opera mastodontica, un vortice di parole. Nel 1990 provò a metterlo in scena Luca Ronconi al Lingotto FIAT di Torino, e dovette farlo recitare contemporaneamente su più scene, altrimenti le 3 ore di spettacolo sarebbero diventate 18 (e l’operazione costò 5 miliardi di lire, dietro c’era la FIAT, allora non ancora così in crisi, a finanziare).

L’ebreo viennese Karl Kraus cominciò a scriverlo un anno dopo l’attentato di Sarajevo e continuò a scriverlo per tutta la durata della guerra, pubblicando l’edizione definitiva nel 1922. È un testo sulla Prima Guerra Mondiale assolutamente unico. Canetti ne ha detto: “La guerra mondiale è entrata completamente negli ‘Ultimi giorni dell’umanità’, senza consolazioni e senza riguardi, senza abbellimenti, edulcoramenti e soprattutto - questo è il punto più importante - senza assuefazioni”. L’ebreo viennese Kraus aveva capito subito che quella guerra non sarebbe mai finita, avrebbe iniziato un tempo di violenze e massacri, ed avrebbe militarizzato tutta la società, che il confine fra fronte esterno e fronte interno sarebbe saltato, che la guerra sarebbe dilagata nella vita quotidiana di tutti e nell’immaginario collettivo. Il suo dramma è una interpretazione preventiva del successivo nazismo.

In questo centenario, senza più - ovviamente - i 5 miliardi della FIAT, a portarlo in scena ci prova Evoè, una compagnia di Rovereto fatta di giovani con le idee chiare, e ottime doti espressive. La sfida, da far tremare i polsi, è stata giocata con grande intelligenza, con un minimalismo scenografico che porta l’ascoltatore a concentrarsi sui contenuti storico-politici dello spettacolo, giocati su una riattualizzazione del testo di Kraus, mettendo in luce quanto di quella esperienza si è poi sviluppata allungando proprie radici fin nel presente, marchiandolo.

A delimitare i limiti spaziali della scena, dividendola dal pubblico, una corda d’acciaio armonico suonata dal vivo da un musicista (Antonio Bertoni) che è parte attiva dello spettacolo con gli stridori ed i ritmi angoscianti che riesce a cavarne. Niente 18 ore di spettacolo, e neanche 3. Durerà un’oretta o poco più, ma la dialettica originaria fra Criticone ed Ottimista (l’intellettuale incerto il primo, che finirà per allinearsi, e l’industriale che intravvede subito ottimi affari, e solo quelli, il secondo) c’è tutta, pur nella concitata concentrazione che ricorda le tecniche di montaggio a collage delle contemporanee avanguardie storiche. Ne risulta una spaventosa comicità, data dalla comune inconsapevolezza dei personaggi di ciò che provocano e subiscono, nelle ineffabili nozze di Stupidità e Potenza. La compagnia Evoè prova a metterci anche un po’ di speranza, chiudendo con l’ipotesi che uno sviluppo della creatività delle persone possa aprire un’altra via.

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