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La gioia di Beethoven per il teatro Zandonai

“Oggi è un giorno di celebrazione, celebriamolo con canti e danze.” Così scriveva Beethoven, nei primi abbozzi del recitativo del basso che prelude all’Ode an die Freude della Nona Sinfonia, e sono parole che calzano a pennello con il clima festaiolo che ha fatto da cornice a quello che certo è l’evento culturale del mese (forse dell’anno), la riapertura del Teatro Zandonai di Rovereto.

Dodici anni di restauri e infinite polemiche, fino all’ultimo minuto, per i biglietti che non si potevano acquistare on line (quei pochi non riservati ai vip), per la mancata conchiglia acustica (per quest’occasione noleggiata), per i ritardi, gli errori, le dimenticanze; ma tant’è, finalmente si è arrivati al gran giorno, la città vuole festeggiare, dimentichiamo per qualche ora ciò che non ha funzionato e godiamoci il teatro.

Per pochi eletti il concerto inaugurale dell’Orchestra Haydn, e allora se la città non va in teatro è il teatro che esce in città, sulle strade, con l’Opening Mob che verso le 18 ha portato in corso Bettini l’Orchestra Lumière, il coro diretto da Gianni Caracristi e cinquecento tra danzatori, trampolieri e figuranti, per uno spettacolo che ha riempito di spettatori fino all’inverosimile tutta la via. Poi si aprono i battenti del teatro e l’attesa della musica si fa intanto curiosità per questo luogo che per i roveretani era ormai vissuto a stregua di un’araba fenice.

È così l’applauso entusiasta e prolungato del pubblico a dare il benvenuto all’Orchestra Haydn, che riempie il palco assieme al Coro del Teatro Municipale di Piacenza.

Simbolico il programma, con la Nona di Beethoven: unico brano in cartellone, perché resti il teatro il protagonista, ma ricco di magniloquente trionfo e foriero di una visione di bellezza ideale che vuole rinfrancare lo spirito. Insomma, niente di meglio per festeggiare e rendere omaggio a quello che vuole promettersi essere un altro grande luogo di cultura a Rovereto. L’Allegro iniziale, nonostante qualche sbavatura distratta degli archi nelle prime battute, evidenzia la pregnante direzione di Alvo Volmer, tesa e controllata nel primo tempo, dove sul suono compatto degli archi si staglia nitido il colore dei fiati, in un cesello meticoloso di costruzioni dinamiche. Il gesto del direttore diventa ricco ed energico nello Scherzo, dove il lavorio incessante degli archi ne rievoca lo spirito di baccanale, mentre si distende nell’Adagio, dove però ci è parso notare una minor cura degli aspetti dinamici. È il Presto conclusivo però, che tutti attendono, con il coro, grande novità per il genere sinfonico di quel periodo, e i pregevoli solisti Sabina Von Walther, Annely Peebo, Dominic Woritg e Sebastian Holecek, baritono dal morbido fraseggio.

È un treno in corsa questo gran finale, un crescendo di ripetizioni e variazioni di quel luminoso testo di Schiller che è l’Inno alla Gioia, un canto che diventa danza e speranza e che sfocia infine (nonostante un arresto un po’ brusco sull’ultima battuta) in un entusiastico applauso di cinque minuti (ci siamo presi la briga di tenere d’occhio l’orologio, così, a onor di cronaca). “Siate avvinti, o milioni, questo bacio vada al mondo intero”: così dice il poeta tedesco in queste rime di giubilo e splendore e anche noi alziamo un brindisi come il sindaco Miorandi, che lo ha condiviso con la popolazione in strada dopo il concerto, perché queste parole di speranza rivolte all’umanità intera siano il miglior augurio per il futuro del Teatro Zandonai.

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