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QT n. 4, aprile 2014 Monitor: Arte

Arte e persuasione. La strategia delle immagini dopo il concilio di Trento

La pittura della Controriforma a Trento

P. Farinati, Deposizione (1589). Trento, S. Bernardino

Chi è stato educato in ambiente cattolico prima del concilio Vaticano II, cioè negli anni ‘50 del Novecento, trova nella mostra in corso al Museo Diocesano di Trento (“Arte e persuasione.La strategia delle immagini dopo il concilio di Trento”, a cura di Domizio Cattoi e Domenica Primerano, fino al 29 settembre) la traduzione visiva dei capisaldi di quella educazione, nella loro versione per così dire originaria, cioè come vennero inculcati all’indomani del concilio di Trento attraverso le immagini sacre.

In una delle sue decisioni finali (dicembre 1563), in esplicita opposizione alle critiche della Riforma protestante, il concilio stabilì che era lecito usare le immagini: alle condizioni dettate dalla Chiesa. In realtà, da lì alla metà del Seicento, e oltre, il loro uso divenne uno degli strumenti fondamentali della propaganda cattolica.

Il Museo Diocesano affronta il tema in relazione al territorio del principato vescovile di Trento - lo fa per la prima volta - in collaborazione con la Sovrintendenza della Provincia e il dipartimento di Lettere dell’Università. Lo sguardo è laico e storicizzante.

Uno dei primissimi effetti di cui si parla è la censura della nudità. Se a Roma il papa dà subito ordine di mettere i “braghettoni” ai nudi della Cappella Sistina, in ambito locale si arriva in pochi anni a raffigurare il Cristo con la tunica anche quando viene battezzato nelle acque del Giordano (dipinto della chiesa di Barbaniga presso Civezzano). Tuttavia il programma controriformista è molto più ambizioso: non si tratta di imporre uno stile in senso stretto, ma di piegare l’apparato iconografico agli obiettivi della nuova strategia. Lo dimostrano i confronti, che vengono proposti in mostra, tra opere antecedenti e successive al concilio. Il tema della crocifissione, ad esempio, perde il carattere narrativo, denso di personaggi ed azioni, che vediamo qui ancora nella tavola del 1504 (Maestro dell’epitaffio) per assumere una semplificazione iconica tutta rivolta a suscitare commozione e devozione, come osserviamo nella tela di Ermanno Stroiffi (1640) dalla chiesa di Tirano di Sopra.

Il cuore di quella strategia di capillare controllo dei comportamenti sociali e individuali è l’affermazione di un’idea totalmente gerarchica della religione e della società: basta con l’aspetto umanizzante della divinità, col tono colloquiale delle “Sacre conversazioni” dell’epoca rinascimentale (come la Madonna di Francesco Verla del 1515); ora si impone una precisa distinzione di piani, con la divinità lassù in alto, più sotto le figure dei santi e dei chierici, in basso i fedeli. È appunto in questa affermazione della funzione intermediaria non solo dei santi ma del clero che troviamo lo specifico della Controriforma, in aperto contrasto con la concezione protestante del fedele in diretto rapporto con Dio.

Il tono è spesso ossessivamente didascalico. La “narrazione” post-tridentina, supportata e potenziata dall’importazione anche nel principato di Trento di vari ordini religiosi e la nascita di molte confraternite, si fonda sul meccanismo della colpa e del perdono, del castigo e del modo per evitarlo. E se una tela come la Messa di San Gregorio Magno di Paolo Naurizio (1590) mostra ai fedeli in modo didattico l’impianto gerarchico e clericale in cui deve operare la Chiesa, un’altra tela, di pittore lombardo (Madonna e santi intercedono presso la Trinità per le anime del purgatorio, dalla chiesa di Maria Assunta di Condino, metà del ‘600) offre una ruvida, impressionante summa della dottrina cattolica della salvezza, in cui le pene del purgatorio, le fiamme dell’inferno e il campionario dei relativi supplizi si prendono la maggior parte dello spazio.

In questo contesto, si assiste ad un enorme impulso dato al culto della Madonna, nonché a quello dei santi (inclusi quelli di recente nomina come Carlo Borromeo, Filippo Neri, Francesco Saverio) come depositari di speciali poteri di intercessione. Molte opere fanno leva sulla combinazione tormento-estasi (fra tutte, la figura di san Girolamo). Ma in epoca madruzziana (sono quattro i membri della dinastia dei Madruzzo che si susseguono al governo del principato tra il 1567 e il 1658) numerose chiese e cappelle vengono erette e cicli pittorici commissionati in onore della Vergine, nelle sue diverse qualifiche (fra tutte, l’Assunta e la Vergine di Loreto).

Date le premesse, i pittori che assumono questo tipo di incarichi accettano forti limitazioni alla creatività personale, anche se il talento di alcuni trova modo di farsi notare. Ma il filo conduttore della mostra non è tanto la ricerca delle eccellenze pittoriche, quanto l’indagine su quelli che diventano i luoghi canonici dell’iconografia post-tridentina. Il catalogo che l’accompagna è parte sostanziale del progetto, sia per gli approfondimenti, sia perché aiuta a delineare la “geografia”, la distribuzione sul territorio del principato di questa ampia, e qualitativamente disomogenea, produzione catechistica per immagini, efficace mezzo di radicamento, in una società ancora largamente analfabeta, di una concezione della religione e della società proseguita fino al secolo scorso, e di cui ancora oggi rimangono profondi sedimenti nella cultura dei paesi di tradizione cattolica.

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