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Pleiadi

Da un bel giorno in poi i bambini esistevano, perché le mamme di allora o vestivano a festa, a lutto o ingrassavano e poi nasceva un cuginetto. Non andavo ancora a scuola e doveva nascere una sorellina, così dicevano, ed io lo speravo tanto. L’avremmo chiamata Patrizia e mamma aveva già preparato coprifasce, calde babbucce e cuffiette rosa da tanto, era sicura sarebbe stata femmina. La culla di vimini che aveva ospitato tutta la nostra generazione era pronta.

Disegno di Flavia Decarli

Di sicuro c’era che mamma aveva sempre intuizioni... se le sentiva prima. Soprattutto le disgrazie, o quelle azioni o bugie che uno avrebbe anche nascosto volentieri. Lei se le sentiva, aveva un presentimento. Lei lo sapeva che c’era qualcosa sotto o dietro, dipendeva dal soggetto. Lei non riusciva a dormire fino a quando non tornavano tutti a casa. Si agitava, non trovava sonno, girava per casa sbattendo ogni tanto il calcagno destro, per rafforzare quello che sosteneva. Del resto è risaputo che le donne istintivamente indovinano, e che sbagliano solo quando riflettono!

Una notte mamma ci sveglia dicendo che andava in ospedale, di fare i bravi, ubbidire alla zia e riprendere sonno. Il mattino mancava anche papà e, uscito anche il fratello che andava a scuola, rimasi sola con la zia più giovane. Al suono del campanello mi precipitai sul pianerottolo. Riconoscevo il passo di papà e per far innervosire la mamma lo imitavamo spesso. “Papà papà è nata Patrizia?” Sì sì, rispondeva lui salendo le scale, e io di corsa, a dirlo alla zia. “È nata Patrizia!” A pranzo già facevo le linguacce a mio fratello, perché adesso eravamo in due alleate. Sicuramente papà non voleva darmi un dispiacere, capiva che ci tenevo tanto. Insomma, nessuno voleva ferirmi e nessuno mi diceva la verità, poi un paio di giorni dopo mio fratello mi grida che sono proprio un’oca, che era un maschietto. Rimasi basita - avessi conosciuto allora l’espressione - ma ingoiai, perché non volevo dare un dispiacere a papà!

Mamma tornò a casa con questo strano bambino tutto fasciato, brutto, magro e lungo, e quando lo cambiava, dovevo uscire perché scappava l’angioletto. Il primo giorno di scuola non mi accompagnò, perché da solo non lo poteva lasciare e non avevamo neanche una carrozzina o un passeggino. Mamma si sfiancava a portarlo sempre in braccio, fino a quando lui imparò a camminare da solo. Ed era ancora più nervosa perché non la lasciava dormire. Non era stato un buon affare questo fratello. Per me era naturale avere solo sorelle: si aiutano, si capiscono, sono cresciute insieme con te, mangiato uguale, bevuto lo stesso latte. Quelle di mamma poi erano addirittura sette e rappresentavano tutta la mia vita sociale infantile.

Sette come le Pleiadi, si spostavano nella stessa direzione con la stessa velocità, unite dal legame di sorellanza. Asterope era la più buona e mite, con il carattere del nonno. Quella che andò a servizio e tornò piena di arie. “Mangiavo la pasta col vitello a Milano!” Nonno non si scompose: “Prendi pure il piatto e vai a mangiare nella stalla insieme al vitello!”

Taygeta non volle maritare e rimase in casa con i nonni, faceva l’operaia alla Michelin. Tutti i giorni su e giù Sopramonte-Trento in bicicletta, fino a quando arrivò la corriera. Nonostante i figli non facessero per lei e i nipoti invadessero la casa, nonostante la ricordassi spesso con il muso, la storia che raccontava era bellissima: di principesse e draghi, di rose che appassivano se dicevi bugie.

Merope era la mia stella mamma che aveva sette cuspidi e infiammava il cielo quando si arrabbiava, sgobbava per noi senza tregua dall’alba al tramonto. Io, ingrata, non le ho mai ricambiato tutto quello che mi ha dato. Alcyone era giusta e coraggiosa, allegra e positiva, non s’impuntava mai. Electra era bionda e bella come Virna Lisi, erre arrotata e con tanta dolcezza dentro, faceva le torte più buone della valle, ma esagerava con burro e zucchero e ingrassava i figli più che crescerli. Maia assomigliava alla Loren, era stata bravissima a scuola e leggendo un suo tema, decisi che da grande volevo scrivere. Era quella che brillava più vicino nel mio microcosmo familiare, avevo fatto la damigella al suo matrimonio e nella sua casa trovavo ricchezze che nella mia mancavano.

Celaeno era la più piccola, quella della gran discordia con Merope, che rivoluzionò il loro moto interno creando uno scompiglio simile al big bang. Allora le Pleiadi si sparpagliarono per il cosmo, ferendosi anche a distanza, ignorandosi o alleandosi con certe altre. Cocciute e irremovibili, o “bandiere” come le definiva mamma, vissuta soffrendone tantissimo senza mai ricredersi o cedere, portandosi dietro le sue ragioni. Sorores... dolores!

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