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Nonno Bepi

Nonno Giuseppe (Bepi), classe 1893, era nato e vissuto sempre a Sopramonte. Fu la prima guerra mondiale a portarlo fino in Galizia a combattere a fianco degli austriaci. Contagiato di febbre spagnola, fu mandato all’ospedale di Innsbruck, dove raccontava: “Morivano come mosche, chi chiamando mamma chi mutter. Ed io che ero il più piccolino tra quei giganti galiziani, prussiani e boemi, me la son cavata!”. Riceveva una piccola pensione di guerra che, orgogliosamente, gli faceva dire: “Ogni mattina quando apro gli occhi, trovo dieci centesimi sul comodino!” Per lui, contadino abituato, a sudare faticosamente ogni moneta, quello fu un vero regalo. Sposò Nonna Rosina e uno per volta arrivarono nove figli, sette femmine e due maschi, tutti partoriti nella stanza al primo piano della loro vecchia casa e tenuti lì fino a quando scendevano la scala da soli.

Vincent Van Gogh, I mangiatori di patate

Nonno era contadino, sfamare tutti quei figlioli significava lavorare duramente dall’alba al tramonto in quei quattro campi di patate, fagioli, frumento e mais che aveva. Con qualche mucca nella stalla, caprette e animali da cortile, avevano anche la scorta di proteine. E prati in Bondone da segare per dare fieno agli animali. Aveva lavorato anche con l’Impresa Sogno a costruire la strada che da Candriai portava a Vason. Tutte quelle femmine da maritare erano una preoccupazione e una alla volta andarono a servizio. Fu proprio nell’unico albergo in Bondone che accompagnò la mamma a servizio: aveva tredici anni e lei la chiama la sua “università”!

Gli aneddoti sul nonno erano tanti e ce li raccontavano per trasmetterci la sua esperienza. Da uomo mite qual era, fu stranissimo che in paese arrivassero i fascisti per fargli bere l’olio. Quel giorno in un bar a Piedicastello aveva sentito che la sera a Sopramonte sarebbero arrivati i fascisti a picchiare. Ne aveva parlato a cena e una cognata l’aveva poi raccontato ad altri. Nel cuore della notte i fascisti lo tirarono giù dal letto e lo castigarono per aver fatto la spia, obbligandolo a bere un quarto di olio di ricino.

Nonno era minuto di statura e grande di cuore, aveva bellissimi occhi azzurri che ho poi cercato negli uomini, e senza preferenze amava tutti noi con la stessa tenerezza. Era molto divertente, un compagnone per noi nipotini che lo adoravamo. Si lasciava accarezzare e pettinare come un bambolotto, e chiudeva beatamente gli occhi. Poi per gioco un nipotino diceva che era finita la brillantina per pettinare quei pochi capelli salvati al sole dei campi. Lui allora ci consigliava di sputarci sopra facendoci sbellicare dal ridere ogni volta. La prima filastrocca che imparavamo era un po’ volgare ma ci faceva tanto ridere: “Nono Bepi scalda leti fa la caca soto i leti...”.

Nonna Rosina con il luppolo faceva la birra in casa e poi la riponeva in bottiglie di vetro verde con tappo meccanico. Era una bevanda leggera e rinfrescante, che all’apertura faceva un po’ di schiuma. Nonna ogni tanto nascondeva le bottiglie di birra per non finirle troppo in fretta e allora lui le cercava per casa. Un giorno ne trovò una sotto il lavello in cucina, apri il tappo e bevve un sorso a garganella, ma era varechina che gli ustionò bocca e trachea. Era motivo d’orgoglio per lui aver sempre la dispensa piena di salumi e formaggi, così la domenica si andava tutti dai nonni e si mangiava insieme. Noi piccoli giocando in cortile, inseguendo le galline, cavando le carote fresche, ingozzandoci di more o ciliegie.

Quando Nonno veniva a trovarci era sempre festa. Papà gli tagliava i capelli, lo sbarbava con cura e lui già gongolava perché poi toccava a noi nipotini accarezzargli la testa. Il sole dei campi gli sveva stampato indelebili quadrati di rughe su nuca e collo, che cercavo invano di spianare con le dita. Quel giorno a pranzo per lui c’erano polenta e aringa affumicata, anguillotti e pesciolini sotto aceto... i suoi piatti preferiti. Bastava non vedesse una lucanica: cominciava a sudare copiosamente tanto da tamponarsi col fazzoletto. In guerra aveva avuto una grave intossicazione con lucaniche avariate e reagiva sudando appena le vedeva. Tattici i suoi fazzoletti: giallo ocra con arabeschi marroni, Nonno tabaccava e quando soffiava il naso tutto si confondeva.

Il gran dispiacere per la grave malattia di un figlio lo portò nel 1970 in modo rapido a lasciarci in un torrido giorno d’estate. Aggiungendo alla mia irrequieta adolescenza la perdita di un importante punto fermo che sapeva volere veramente bene, di quello sguardo buono che mi accettava senza mai sgridarmi.

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Commenti (4)

Iotintadiaria

Grazie Flavio! Il tuo commento mi fa molto piacere... sono ricordi semplici di come era la vita allora.

Flavio

Brava, complimenti, con poche pennellate hai ridato vita a tanti bei ricordi.

Iotintadiaria

Grazie a te, parente anonimo, con il mio stesso vissuto e amore per quel piccolo grande Nonno Bepi!

Doda

Brava Nadia avevo dimenticato il nonno Bepi, grazie per aver risvegliato dei bei ricordi.
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