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QT n. 6, giugno 2012 Servizi

Il “Treno della memoria”

450 ragazzi dal Trentino e 150 dall’Alto Adige in visita ad Auschwitz per conoscere e ricordare

Francesca è seduta di fronte alla platea gremita di gente e guarda nel vuoto, un vuoto che ha ancora in fondo agli occhi: “È stato importante essere tutti insieme”.

Nel filmato proiettato qualche minuto prima, (http://bit.ly/trenoauschwitz) di fatto la similitudine potrebbe essere quella di un gregge di pecorelle che passano mute sotto la scritta in ferro “Arbeit macht frei”, raggomitolate nei piumini, sotto i berretti di lana. Mano a mano che si addentrano nelle baracche camminando gli uni accanto agli altri, gli occhi si sgranano, contenendo a stento l’emotività.

“Il disprezzo e l’odio sono là; - racconta Francesca gesticolando - li respiri, li puoi perfino toccare. Mio nonno è stato deportato ed io ascoltavo i suoi racconti, ma essere là...- pausa - Essere là è capire che il rischio dell’odio è sempre in agguato... - pausa, nodo alla gola - in quelle baracche divise a metà da un vetro... - altra pausa, più lunga delle altre - Ci siamo posti molte domande, per le quali non abbiamo risposte. Ci saranno sempre discriminazioni. - Il tono delle dichiarazioni si accentua - E allora non si può tacere di fronte a un amico che prende in giro un ragazzo di colore, o umilia un compagno di banco cinese, solo perché non si esprime bene in italiano”.

Applausi. È stata una serata così, coinvolgente, restitutiva delle loro emozioni, di un’esperienza intensa, ma non è stata soltanto questo la serata dei ragazzi del Treno della Memoria, qualche giorno fa nella sala Rosa del Palazzo della Regione.

Il tutto era perfettamente organizzato dai ragazzi autogestiti, in una scaletta assai ben calibrata tra filmati, testimonianze, narrazioni, canti e suoni.

Con il supporto dell’Associazione “Terra del Fuoco” hanno recitato brani di Primo Levi, della vicenda della S. Louis, una nave carica di ebrei che dopo molti mesi di dinieghi di approdo in ogni porto del Mediterraneo, tornò in Europa senza poter sottrarre i passeggeri all’Olocausto. Ed ancora la lettura della testimonianza agghiacciante di una ragazzina del ghetto di Cracovia, che descrive le atrocità delle SS nei confronti dei bimbi ebrei.

Ogni racconto, molti dei quali reperiti da “Terra del Fuoco” nei musei dei luoghi di sterminio, era intervallato da un diario di viaggio di un ragazzo o di una ragazza.

“Sambaradio”, il network degli universitari trentini, ha fornito, durante e dopo il viaggio, il supporto tecnico alla trasmissione in tempo reale dei filmati e delle testimonianze su Youtube; Bruno Zorzi, giornalista della Provincia, e Piero Cavagna, fotoreporter, il supporto professionale. Durante la trasferta sui quotidiani locali sono apparsi i loro articoli, e su “Trento Today” gli sms.

“Tutti quegli oggetti...”

Matthias è un ragazzone lungo e snello, siede accanto a me, di soppiatto legge i miei appunti, ma non ha il coraggio di chiedermi chi sono e perché sono lì. Se mi volto a guardarlo arrossisce.

Per rompere il ghiaccio mi presento.

E tu come ti chiami?

“Matthias”

Da dove vieni?

“Da Bressanone”

Hai voglia di raccontarmi qualcosa del tuo viaggio?

Si fa paonazzo, sotto un cespuglio incolto di capelli lunghi e biondi due occhi piccoli e azzurri fissano il pavimento.

Se te la senti, naturalmente....

Con spiccata pronuncia tirolese butta là una frase, come se gli stessi cavando un dente: “Abbiamo scritto il loro nome”.

Come... avete scritto? Dove l’avete scritto?

“C’erano centinaia di foto. Ognuno di noi ha scritto il nome di un deportato, per ricordare quel nome. Ma la cosa più impressionante erano tutti quegli oggetti, occhiali, protesi, tutti accatastati, le foto rubate ai parenti...”.

Come se fossero cose, non persone, mucchi di cose, è questo che ti ha colpito?

 “Sì è terribile”.

Filippo, dopo aver cantato un brano rap, dice che il “Treno della Memoria” è stata una delle esperienze più belle della sua vita: “Dobbiamo eliminare la zona grigia, quella dove vanno a morire le vittime della barbarie umana. Quando Falcone e Borsellino furono uccisi molti di noi non erano nemmeno nati, ma quella rappresenta la zona grigia delle nostre coscienze”.

Iniziative come il “Treno della Memoria”, che ogni anno, attraverso i Piani giovani di zona, porta nei luoghi della memoria dell’Olocausto centinaia di ragazzi tra i 16 e i 24 anni (450 nel 2012 dal Trentino e 150 dall’Alto Adige), sono nate in molte regioni d’Italia, in molte scuole e università. Altre scuole organizzano laboratori della legalità, alcuni magistrati percorrono in lungo in largo tutte le scuole d’Italia, per parlare di regole, di Costituzione, di coscienza civile.

Basterà tutto questo a formare cittadini degni di questo nome? Quel che è certo è che la scuola e la famiglia, in un contesto sociale franato, non hanno la forza, da sole, per rimediare a decenni di degrado morale, istituzionale, politico ed economico. Anzi, la bomba a Brindisi ha dimostrato che in questo dannato paese si può pure morire andando a scuola.

 Chi ha tempo dunque non aspetti tempo per dare il proprio contributo a questa, che non è più soltanto una nobile causa, ma una missione necessaria. E chi il tempo non ce l’ha lo trovi.

È l’ ultima chiamata prima che il Paese sprofondi.

Auschwitz per noi

Tu vai lì col cuore più leggero di quanto sei disposto ad ammettere ai tuoi compagni, perché di cose ne hai viste tu, e non hai proprio paura di rimanere scioccato.

Sei abbastanza sicuro di averla capita, la Shoah. In fondo hai visto buona parte dei film sull’argomento, e davanti allo schermo ti sei commosso e incazzato e vergognato tutto in una volta più di una volta. Hai anche una buona conoscenza storica dell’argomento, quindi sai bene quand’è iniziato tutto, com’è stato possibile che sia successo e di quanti milioni di morti stiamo parlando.

Riesci perfino ad immaginarti, se ti concentri un po’, quello che si deve provare quando si è in coda per una zuppa disgustosa ed è necessario lottare per essere più in fondo alla fila possibile, così da avere qualcosa di più nutriente che un po’ di acqua sporca. Poi però arrivi al campo.

Anzi magari perfino sul pullman, quello che ti porta da Cracovia e Auschwitz, sei in grado - ancora - di dedicarti a riflessioni un po’ sciocche, tipo come dev’essere diversa la percezione del campo per gli autoctoni che vivono qui intorno, che negli ultimi sessant’anni non hanno sentito parlare d’altro e la cui economia dipende grandemente dal mare di turisti venuti solo per Auschwitz-Birkenau.

Poi, però, arrivi al campo la mattina, e fa freddo. È un freddo diverso da quello di Cracovia, che pure non scherzava mica.

Sono sempre le mani le gambe e i piedi che gelano, ma corpo e mente danno vita ad una specie di ciclo di mutuo supporto: la testa trasforma l’unico suono che c’è, quello piacevole di passi sul ghiaietto, in nuovi brividi gelati.

La temperatura così bassa, a sua volta, esalta le parole di Primo Levi rendendole quasi intollerabili. Le sue descrizioni così fisiche ed umane ti avvicinano d’improvviso a sensazioni lontanissime e sconosciute, ed è dalla porta di servizio del corpo, bussando col freddo, che entrano in testa.

È un freddo diverso da Cracovia anche perché, si scoprirà dopo, questo qui ci mette molto di più ad abbandonarti, e non ha importanza quanto provi a stare al caldo.

Alberto Gianera