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Caseclima

Non dovreste liquidare tutto come fosse l’infanzia a ingigantire case, cose e ricordi: è un fatto che dal ‘60 in poi utilizzarono noi bambini per sperimentazioni ambientali e psicologiche. Eravamo monitorati da esperti che seguivano le nostre reazioni a famiglie problematiche, percorsi scolastici inadeguati, abuso di metodi correttivi, violenze o molestie sessuali, smodato uso di olio di ricino e girasole. Risalgono ad allora le prime avveniristiche “caseclima”, embrioni di futuri “Grandi Fratelli”.

Tante caseclima insieme creavano un variopinto rione popolare scoperchiato. Case sonanti, con concerti e strilli a tutte le ore: 12 famiglie e oltre 30 bambini! Assoli a squarciagola, replicando sempre la più bella, prima che inventassero il tasto replay. Al primo piano Gemma cominciava con “Un fiume amaro dentro me...”, Giulietta al piano di sopra proseguiva con “Affida una lacrima al vento...”, a fianco Antonia con “Quarantaquattro gatti in fila per sei...”. Al piano di sopra ero io che, oltre a cantare Battisti e De André, infilavo come per sbaglio “Son tutte belle le mamme del mondo...”, perché le volevo bene, anche se mi sgridava sempre. Quando intonavo “O mein papà...” mi commuovevo da pelle d’oca e la voce ondeggiava perché era una velata dichiarazione d’amore, una serenata per papà.

Poi il clima cambiava bruscamente e le case diventavano urlanti. Al primo piano oggi litigano violentemente con urla e botte, tutti i vicini a origliare. Noi piccoli, dapprima smarriti, ci siamo poi rinforzate le ali. Se poi tornava la quiete, aspettavamo tutti che Paolo scendesse in cortile, braghette corte, lividi sparsi, mocio al naso, ma le figurine doppie da scambiare, non le aveva dimenticate! Non serviva spiegarsi cos’era stato, oggi era toccato a lui, ieri era successo a Franco e domani poteva succedere a me. In quasi tutte le case c’erano mamme manesche o papà severi, a scuola non imparavamo i diritti dei bambini. Molti papà bevevano e crescendo si capiva che era un brutto affare, nelle case aumentavano le liti, le botte, i fuggifuggi, i giorni di lavoro persi.

Le mamme erano chiocce che tenevano uniti i bambini, animavano i pianerottoli con scambi di tazze piene di farina, un limone o un paio di uova. Si davano sempre del Lei, chiamandosi “Signora Rossi” o “Signora Bianchi”, si ritrovavano come sorelle senza sfiorarsi mai. Diventavano riferimenti se la mamma non c’era, e andavi da loro: una fetta di pane e marmellata c’era sempre per tutti. Ogni tanto qualche mamma scoppiava e urlava forte la sua rabbia contro gli uomini che facevano i padroni e i comodi loro. Contro i sacrifici e la fatica di arrivare a fine mese, facendo ogni giorno una torta diversa con il poco che c’era in casa.

Soffrii molto per la scomparsa improvvisa della cara signora Moretti, l’onnipresente dirimpettaia, alla quale la mamma, stendendo i panni sul poggiolo, aveva confidato: “La Nadia è diventata signorina!”. Ed io avevo sentito e dalla vergogna non volevo più uscire da casa, ma poi capii che era come fosse una zia e le zie i segreti li sapevano tenere. Quelle finestre della mia infanzia che si spegnevano in ordine casuale, naturale ma spietato, perché i bambini crescono e le mamme invecchiano, mi lasciavano una gran tristezza. Sposandomi, il condominio dove sono andata poi ad abitare era talmente silenzioso che veniva paura a star sola, quando faceva scuro. Brevi saluti se incontravi qualcuno, gran sorrisi ai miei bambini, poi la porta si chiudeva e ritornava il silenzio. L’assenza di vicine affabili e chiacchierone, di quell’habitat popolare chiassoso, mi sembrò un tonfo nella solitudine e ci volle un bel po’ di tempo per ritrovare la strada di casa seguendone le voci.

Poi venne ad abitare sotto di me una nuova famiglia. Scoppiarono subito liti furibonde tra la mamma e la bambina sugli otto anni. Dopo mangiato la madre voleva che facesse il riposino, mentre lei urlava come un’ossessa, gelandoti il sangue. Il giorno dopo incontravi la bambina in cortile che diceva: “Signora, la prego, mi aiuti, la mamma mi ammazza di botte se non dormo!”. Intervennero assistenti sociali e preti della parrocchia... La piccola urlava ogni giorno, ma il padre sorrideva disinvolto quando lo incrociavi, come il problema non lo riguardasse. La mamma aveva sempre più gravi problemi con l’alcool e un giorno la rinchiusero o se la riprese la sua famiglia. Alla bimba arrivò la fidanzata di papà a farle da mamma e le cose tornarono a posto per un po’. Qualche mese dopo era la nuova mamma a gridare: “Faceva bene quell’ubriacona di tua mamma a pestarti di botte!”

Ecco, vivere di nuovo cullata dagli strilli dei vicini è stato come tornare in una casa dai ricordi sbriciolati.

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