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Troppe morti in Valsugana

Marco Rigo - Associazione Medici per l’Ambiente

La scienza medica ha provato con certezza la relazione di causalità tra alcuni tumori, come ad esempio il Linfoma non Hodgkin, e l’inquinamento ambientale più precisamente legato alla diffusione di diossine, pcb, metalli pesanti, ma anche benzene. Questi concetti sono stati accettati con i lavori sulla cancerogenesi chimica di cui Lorenzo Tomatis era uno scienziato di riferimento.

Questo ambito ha dovuto confrontarsi con altre linee di ricerca sulle cause del cancro che erano molto più sponsorizzate, o meglio ben accette, dal mondo scientifico; ad esempio quelle delle ipotesi virali secondo le quali per far insorgere un cancro era necessario l’intervento di un virus.

Sono ambiti che probabilmente conosceva bene Martina Agostini che, fresca di studi infermieristici, aveva compreso la matrice ambientale della sua malattia così da spingerla a costituirsi parte civile nel procedimento “Fumo negli occhi”.

Questa sua adesione potrebbe significare che Martina era cosciente che inquinare l’ambiente rappresenta un delitto contro l’umanità perpetrato da coloro che si sono nascosti dietro motivazioni economiche, politiche o sindacali. Continuando così ad inquinare, o a permettere di farlo, arrivando a contestare e contrastare i principi di precauzione, relegandoli a fenomeno di fanatismo fuori dalla realtà, se non dal mercato.

In una lettera pubblicata sul Trentino il 4 gennaio 2011, sua sorella Serena scriveva: “E il dolore e la rabbia crescono a dismisura, togliendo il fiato, quando i medici sapendo che abiti in Valsugana ti rivelano una delle principali cause di questo calvario: le Acciaierie di Borgo, tanto discusse, ma allo stesso tempo tanto pubblicizzate. Forse sarebbe utile riflettere”.

La sua morte, come anche quella di Manola Pasquazzo qualche mese fa nello stesso paese, come quella di Stefano Cenci, come quella di tanti ammalati in Valsugana della stessa malattia, in attesa dell’inevitabile, risveglia certamente le coscienze e riaccende le motivazioni per le quali alcuni medici stanno impegnandosi a fornire il proprio contributo, talvolta soli, più spesso assieme a molte altre persone di buona volontà. Un impegno doveroso che interroga sia coloro che, dentro le istituzioni, minimizzano o negano ogni problema, sia quei medici che tacciono ostinatamente, ostentando nei migliori dei casi un fatalismo inquietante e, nei peggiori, l’ignoranza sulle delicate questioni della cancerogenesi chimica e delle sue implicazioni sociali e politiche, ma soprattutto sul dovere del medico.

La scienza è ben accetta e sbandierata dai politici solo quando è un’ancella prona a sottoscrivere gli ambiziosi progetti per lo “sviluppo” dell’umanità; diversamente diventa solo allarmismo.

La complessità della patogenesi che porta alla trasformazione e alla progressione neoplastica impedisce spesso di riconoscere un nesso causale preciso, offrendo a molti negazionisti l’alibi per assolvere attività pericolose per la salute. Quanto è ormai accertato dalle evidenze scientifiche permette tuttavia di indicare responsabilità morali precise nei confronti di chi, sapendo, ha taciuto e non ha fatto niente per cambiare le cose, siano essi imprenditori, ingegneri, tecnici dell’Appa, sindaci nascosti sotto le sottane della Provincia. Questa, come un Giano bifronte, da un lato difende a parole l’ambiente e dall’altro autorizza emissioni di diossina 1000 volte superiori a quanto raccomandato da tutte le agenzie di riferimento, ostinandosi a dire che quel provvedimento era corretto e “secondo la legge”. Summum ius, summa iniuria.

Purtroppo solo la legge dei grandi numeri, l’epidemiologia, ci potrebbe svelare dopo molti anni i veri killer, ma questo significa che dovremo solo contare i morti alla fine sapendo per certo che ci saranno.

Speriamo che queste morti non siano state inutili. Nessuno potrà ora ridicolizzare coloro che hanno chiesto giustizia perché oltraggerebbero la loro memoria.