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QT n. 5, maggio 2011 Servizi

Nuova consapevolezza

Dai Medici per l’Ambiente ai Giovani Farmacisti: sulla scelta dell’inceneritore la società civile si allerta

“Vi scongiuro - e la voce si faceva accorata - non seguite la strada dell’inceneritore. È la maniera più stupida di affrontare il tema rifiuti, li si disperde nell’aria e si crede di aver risolto il problema. Invece, e vi parlo da medico, si creano problemi sanitari. Vi prego,rifletteteci”. Con queste parole, Roberto Cappelletti, già sindaco ed ora assessore a Centa San Nicolò, nonché dei Medici per l’Ambiente, gelava la platea di amministratori. Era la conferenza d’informazione sul Piano provinciale di smaltimento dei rifiuti, incentrata sul tema della riduzione e raccolta differenziata più che sullo smaltimento finale del residuo; eppure, convitato di pietra, lo spettro dell’inceneritore aleggiava nell’aria, evocato in diversi, contrapposti interventi.

Anche se a difendere l’inceneritore erano poi rimasti - ovviamente dietro l’assessore Pacher e il presidente Dellai - il sindaco di Trento Andreatta, con una partigiana lettura dei dati dell’OMS, e il sindaco di Rovereto Andrea Miorandi, a compimento, quest’ultimo, di un personale tragitto da tecnico referente delle associazioni ambientaliste (vedi Inceneritore: un’offesa per tutti su QT n°1 del 2003) a dipendente della Ladurner, che lavora nel campo dell’incenerimento (“Sono contro l’inceneritore che brucia il rifiuto residuo” ci diceva ancora in campagna elettorale, vedi QT di aprile 2010, oggi ha cambiato idea).

Di fatto è solo l’inerzia che porta avanti il progetto. Il passare del tempo ha reso evidente la contraddizione di fondo: l’incompatibilità tra differenziata e incenerimento. Quest’ultimo, per essere economicamente vantaggioso, abbisogna di notevoli quantitativi di rifiuti (di sicuro superiori alle 100.000 tonnellate annue) e costanti nel tempo. Con la raccolta differenziata ai livelli attuali (65%), e che la pressione della pubblica opinione spinge sempre più in alto, le 100.000 tonnellate non ci sono, e soprattutto non sono garantite per il futuro. L’hanno scritto a chiare lettere le ditte che si sono ritirate mandando deserta la prima gara d’appalto: “perplessità in ordine alla garanzia e certezza sui flussi dei rifiuti”. Quanto alla furbata con cui in Provincia e Comune pensavano di aggirare il problema - se non ci saranno abbastanza rifiuti, faremo bruciare scarti di legna, come una qualsiasi stufa - ne è evidente l’inconsistenza: non si può far funzionare un impianto così complesso e costoso per funzioni minimali, sarebbe come usare una Ferrari per andare a comprare le sigarette.

Appurato quindi che è impensabile aumentare i rifiuti importandoli o contrastando la differenziata, l’unica soluzione è pagare di più l’incenerimento. Ma i cittadini sono allertati, sul bando sono stati accesi più fari, anche questa soluzione è tutt’altro che semplice.

E d’altronde cresce la consapevolezza dei pericoli sanitari. Le assicurazioni di Andreatta (“costruiremo un impianto dell’ultima generazione, sicurissimo”) cominciano ad apparire per quello che sono, parole senza senso.

“È un’affermazione peregrina in sé - ci dicono Sergio Cattani e Davide Tonon dell’Associazione Giovani Farmacisti - Gli ultimi impianti non sono sicuri, appaiono sicuri. Fino a che, dopo un tot di anni, non si hanno i risultati degli studi epidemiologici. Ma allora faranno una nuova generazione di impianti, e diranno che quella, finalmente, è sicura. E così via”.

Il difetto infatti sta nel manico, nel fatto che l’inceneritore disperde i rifiuti nell’aria, non dopo averli trasformati chimicamente. Nei fumi e nelle polveri si annidano inquinanti che dopo anni vengono rilevati e ne vengono studiati gli effetti nocivi. Allora si cambia il processo, intercettando quegli inquinanti ma creandone altri, che verranno rilevati e studiati dopo un altro congruo numero di anni. E così via, continuando ad inquinare.

Contro questa dinamica però, sta crescendo la consapevolezza. Abbiamo visto i Medici per l’Ambiente, che già nel settembre scorso avevano diffuso un approfondito ed allarmato studio su “evidenze epidemiologiche, tossicologiche e sperimentali relative agli inquinanti emessi dagli inceneritori di rifiuti”. Oggi è scesa in campo anche l’Associazione Giovani Farmacisti: “Raggruppiamo i farmacisti under 38, e intendiamo valorizzare il nostro ruolo dentro e fuori la farmacia - ci dicono - Noi siamo un presidio per la salute, il nostro compito primario è dare consigli alla gente, più che vendere pastiglie. E come possiamo consigliare di andare a fare due passi, se l’aria è inquinata?” Con l’inceneritore, recita un loro comunicato “diossine, cadmio, arsenico, mercurio e un grosso insieme di particelle, dette PM 10, PM 2.5 e PM 0.1 andrebbero ad inquinare l’aria che respiriamo, la terra che coltiviamo, l’acqua che beviamo e con cui vengono irrigati i campi”.

I giovani farmacisti intendono sensibilizzare, oltre alla cittadinanza, anche l’insieme della categoria, e l’Ordine dei Medici. Di cui contestano “la disponibilità a farsi carico dei rilevamenti epidemiologici, nei progettati monitoraggi sugli effetti dell’inceneritore. Il problema non è appurare quanti danni l’impianto ha fatto, ma impedire che li faccia!”

Rileviamo con piacere questo mobilitarsi della società. Riuscirà a fermare quella porzione di politica (Dellai e alleati subalterni) che invece vuole andare avanti a testa bassa?