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QT n. 11, dicembre 2010 Cover story

Buddisti trentini

In una società secolarizzata non è sopito il bisogno di spiritualità. Molti scoprono il valore di altre fedi vicine all’uomo e al suo dolore. Con più amore e meno chiese.

Un ricordo nitido si accende nella mia mente. Una cena conviviale. La classica rimpatriata fra vecchi amici che non si vedono da tempo, condita qua e là da qualche peccato di gola in salsa orientale. Poi il discorso scivola su argomenti meno terreni. D’improvviso Marco si defila e riappare con un bel tomo. Sono scritti del Dalai Lama. Come un oratore si cimenta in una piccola lezione di saggezza. Il coro degli astanti è unanime: “Ma tu non eri mica cattolico?”.

“Certo, - risponde di botto - ma ora sono diventato buddista! “.

 Non è così infrequente oggi incontrare persone che praticano un nomadismo spirituale. Una migrazione da una religione all’altra. C’è chi non accetta più come oro colato un’unica verità. E allora rompe gli argini della propria fede e inizia a vagare nel supermarket delle religioni. Perché l’offerta è vasta in una società multiculturale e globalizzata. Si getta il secchio in un pozzo più ampio per costruire pezzo dopo pezzo una religione su misura. Quella che ti fa stare bene, che placa le tue ansie. Che ti fa sentire più vicino all’Assoluto.

Raffaele, Isabella e Antonio hanno fatto questa scelta. Con loro cercheremo di capire come si vive una religione alternativa e perché affascina.

Sguardo ad Oriente

Cammino scalza con passo felpato. Lo spazio che trasuda d’Oriente cattura la mia attenzione. Le pareti sono avvolte da colori caldi: il giallo ocra e il rosso bordeaux. Indicano saggezza e compassione. Ovunque foto di maestri spirituali dallo sguardo bonario e sereno. Non manca il Dalai Lama. Simboli grafici accesi ricchi di particolari, detti mandala, stimolano la meditazione. Il suono delicato, che vibra da semplici strumenti in legno, batte il tempo di un’altra spiritualità. D’un tratto il rintocco squillante delle campane mi risveglia dall’oblio. Ci sono un sacco di statue di Buddha di diversa foggia che mi scrutano ben allineate. Ma non sono in Tibet. Il mio sguardo si posa sul campanile che fuori si staglia imponente. La facciata della chiesa, decorata da sbiaditi affreschi, è transennata causa lavori di restauro. L’ingresso è sbarrato da solide assi. Non si sa quando riaprirà, anche perché non è facile trovare un prete. Conto pochi passi che dividono due perimetri. Là c’è il tempio del Dio Creatore e onnipotente. Qua c’è il tempio che venera Buddha. Una mente illuminata che ci indica un percorso che tutti possiamo raggiungere. Un maestro saggio. Un uomo. Non un Dio. Eppure c’è chi ha chiuso la porta di quella chiesa per aprire un altro varco. Isabella e Raffaele, trentini d’adozione, hanno fondato con il figlio il centro buddista Vajrapani, sotto la guida di un lama tibetano. Si trova nel cuore di Bosentino, paese di poche anime adagiato ai margini del dolce e soleggiato altopiano della Vigolana. Riconosciuto dall’Unione Buddisti Italiani, che certifica la validità dei maestri spirituali, non è l’unico in Trentino. Ad Arco c’è un centro di meditazione, il Kushi Ling, ove risiede un maestro tibetano. Due templi sono spuntati a Trento. Un altro germoglio ha visto da poco la luce a Cinte Tesino. È un magma che scorre lento, quello della ricerca spirituale, ma che affiora sempre più in superfìcie. Fatto di persone con estrazione sociale eterogenea. Medici, casalinghe, studenti, impiegati. Vite diverse ma storie parallele, accomunate da un forte senso d’insoddisfazione interiore. Gente che si riunisce con cadenza settimanale per liberarsi dalle turbolenze dell’anima.         

Liberi dal dolore

Cosa si va a cercare in un centro buddista che mescola pratiche orientali a bisogni occidentali? Una guida interiore che t’illumini. Un nuovo equilibrio di sé. La capacità di recuperare dentro una forza che si credeva perduta.

È quello che è successo a Raffaele, un dirigente in pensione con barba bianca e piglio da professore saggio. Incapace di rialzarsi dopo una dura malattia, ha deciso di frequentare un centro buddista. Parla con tono pacato del suo incontro con un lama. Mi soffermo sugli aggettivi che usa per descriverlo: vicino, accogliente, caldo. In poche parole: partecipe del suo dolore. La compassione, cioè la capacità di cogliere la sofferenza dell’altro e di agire per spazzarla via, è un pilastro del buddismo. Ed è forse uno dei punti d’attrazione verso questa religione. In antitesi a quella cattolica descritta come fredda, distante, piena di dogmi. Colpevolizzante. Sono proprio questi aspetti a spingere Antonio a recidere i legami con la sua fede.

Cinquantenne, grafico, aria da ragazzo casual con sciarpetta blu al collo, ha deciso di aggrapparsi ad un’altra scialuppa: “A un certo punto della mia vita ho avvertito un forte disagio interiore. La religione cattolica non mi alleviava per nulla da questa sofferenza. Ormai la vivevo come un’abitudine. Non sapeva darmi alcuna risposta. Ed io la volevo a tutti i costi. Così ho iniziato un percorso di ricerca leggendo dei libri. All’Università ho seguito la lezione di un lama e diciamo che mi sono sentito subito meno solo. Poi ho scoperto questo centro che frequento regolarmente”.

La distanza dal proprio credo si allunga nel percepire formule vuote, che non riesci a capire. A dargli un senso. E allora cerchi una religione che scavi, che approfondisca ogni briciola di verità che ti viene trasmessa. Però la molla che spinge ad andare a fondo, a cercare oltre, è sempre la stessa: la tua infelicità. Non a caso si narra che Buddha iniziò la sua vita ascetica dopo l’incontro con la sofferenza. S’imbatté in un malato, in un cadavere, in un vecchio. Infine incontrò un monaco che lo traghettò sulla via religiosa. Si isolò a lungo nella foresta a meditare finché scoprì come annullare il dolore.

Ma riportiamo le cose all’oggi. Ad un osservatore esterno la meditazione recitando mantra con le ginocchia accovacciate non è facile da comprendere e suscita di primo acchito non poche perplessità. Forse ha ragione Raffaele, quando mi dice che per spiegare bisognerebbe prima sperimentare. Cerco comunque di capire, seppur in maniera grossolana, come faccia un buddista a cancellare il dolore con il controllo della sua mente. La meditazione serve a far chiarezza, a risalire alla sorgente dei pensieri. Altrimenti siamo in balìa di essi. Antonio mi viene in soccorso con l’esempio di un maestro: “Se in penombra vedo una corda arrotolata può scattarmi la paura perché penso sia un serpente. Però se accendo la luce scopro che è una corda”.

Allora la nostra sofferenza deriva dal turbinio di pensieri che abitano la nostra mente e di cui ignoriamo la vera natura?

“Se il buddismo non avesse la possibilità di farci conoscere questi aspetti non avrebbe motivo di esistere - chiarisce Raffaele -. Il dolore nasce dal desiderio, dall’avidità, dall’odio che ci fanno star male e creano una serie di reazioni a catena. Da un pensiero spiacevole nasce ostilità, poi odio, finché si passa all’azione. Non si tratta di comprimere questi pensieri che affollano la nostra mente, ma di liberarli, di dissolverli con pratiche che lasciano spazio ad emozioni positive, come l’amore e la compassione per gli altri”.

La “mia” religione

Quello che percepisco mentre scorrono le parole di Isabella, Antonio e Raffaele è che sentono il buddismo come una religione che gli si cuce addosso. Senza una piega. Perché vivono la fede da protagonisti, come se il prender parte attivamente facesse lievitare la loro energia spirituale. Non basta la rotta che il maestro gli indica con la sua saggezza. Conta altrettanto il lavoro di ricerca nella loro mente. Perché, come dice Buddha, quello che siamo dentro lo proiettiamo fuori. Anche i nostri errori. Tornare indietro in questa scelta sarebbe come decidere di non camminare sulle proprie gambe.

Questo concetto lo spiega in maniera eloquente Isabella, maestra d’arte sessantenne con fare spumeggiante: “Sia il cattolicesimo che il buddismo offrono una guida. Anche il bimbo quando è piccolo ha bisogno di genitori un po’ autorevoli, altrimenti sorgono problemi. Però il cattolicesimo è come un genitore che sta troppo addosso ai figli: non dà la possibilità di sperimentare. Ti dice cosa fare. Così si aspetta sempre un aiuto dall’esterno. Ma com’è pensabile cambiare le cose fuori se non parti da una trasformazione dentro te stesso?”

Il senso di responsabilità del proprio agire batte forte nel cuore dei buddisti. Nulla ti viene dal cielo. Tu hai in mano le redini del tuo destino. Tu raccogli solo ciò che hai seminato. Tutto è conseguenza delle tue parole, pensieri, azioni. Questo dice la legge di causa ed effetto, il karma. “Per questo lavoro interno - soggiunge Isabella - il buddismo è soprattutto una scienza della mente e si fatica a concepirla come una religione tradizionale. Alcuni la considerano più una filosofia di vita. In certi aspetti si avvicina alla psicanalisi”.

Buddismo facile?

Girovagando fra gli insegnamenti del buddismo, la prima cosa che balza agli occhi è la sua grande apertura. Porge le sue idee, ma non cerca d’imporle. E nemmeno di convertire chicchessia. Non fa alcun proselitismo. Chiunque desideri fare un’esperienza può entrare. È tollerante verso tutte le culture. Il Dalai Lama invita spesso a rispettare al massimo le altre verità. A pescare da ognuna di esse ciò che è utile per il proprio cammino spirituale. Insomma, non delimita alcun recinto. Anche un cattolico potrebbe diventare allo stesso tempo buddista.

Sondo questo terreno prima di entrare nel centro. Nella piazzetta stipata di macchine non circola nessuno. Dopo un po’ scorgo un crocchio di signore sulla mezza età. Spiccicano poche parole. Tutto quello che sanno dirmi è che si sono imbattute in qualche santone che trascinava ai piedi una tunica arancione. I paletti appaiono ben tracciati, quindi non si avverte la paura di un’imminente invasione di campo. “In effetti, - spiega Antonio - in principio non vedevi nessuno nei paraggi. Quelli che frequentavano il centro provenivano soprattutto da Trento. Adesso si affaccia qualcuno del paese. Comunque per l’inaugurazione abbiamo invitato il parroco e i rappresentanti del tavolo interreligioso. Inizialmente siamo stati accettati nella sala consiliare del Comune. Poi ci hanno chiamato per fare diverse conferenze in Università sia in città sia a Rovereto”.

Dunque sul buddismo molto si mormora, ma poco si sa. Nell’immagine collettiva è etichettata spesso come una religione da figli dei fiori. Chi non ricorda la strada dell’India imboccata dagli hippies per liberarsi da ogni condizionamento e ritrovare un proprio centro interiore? Ciò bastò a bollarla come fede chiusa nel proprio guscio, al riparo da un mondo percepito come avverso. Caduti questi stereotipi, viene da chiedersi quanto un buddista oggi possa lasciare la sua impronta nel tessuto politico e sociale in termini d’impegno concreto.

“È sbagliata - replica Isabella con tono deciso - l’idea del meditare staccati dal mondo. Il lavoro che fa un buddista dentro di sé, acquisendo conoscenza e consapevolezza, lo porta anche nella famiglia, in ufficio, nell’azione civile. Infatti sono nate molte Onlus buddiste che agiscono con un aiuto pratico nella società”.

Il ciclone commerciale che si è abbattuto sul buddismo negli anni Ottanta non ha certo contribuito a sgretolare l’etichetta di religione poco impegnativa.

Sull’onda del film di Bertolucci, il “Piccolo Buddha”, fiorirono una miriade di centri disseminati in tutta Italia che spargevano a piene mani le pratiche orientali più disparate. La moda finì per seppellire sotto la cenere i contenuti autentici della fede.

Ma ora cosa è rimasto della spiritualità genuina del buddismo?

“All’uscita del film - ribatte Antonio - agli incontri venivano anche duecento persone. Poi quando iniziavano le meditazioni in ginocchio, magari con le gambe che facevano male, man mano si defilavano. Direi che è una religione tutt’altro che facile. Nel ritmo frenetico d’oggi non siamo più abituati a lavorare su noi stessi. Quando le persone si fermano non sanno più stare in silenzio. Io stesso, quando praticavo le prime meditazioni, stavo male. Perché meditare è scavare dentro di sé, mettersi in discussione”.

Mi balena in testa una riflessione. Tutte le persone che bussano alla porta di questo tempio inseguono il prevalere dell’essere sull’avere, l’armonia fra corpo e anima, natura e cultura. Un approccio di cui l’Oriente per anni è stato maestro. Ora questo mito sembra polverizzato. Le immagini che ci arrivano dall’Oriente sono tutt’altro che edificanti. Tutto marcia a gran velocità. Le colate di cemento si fanno un baffo dell’ecologia. Le tensioni sociali e politiche non si contano. Dunque, è questo il frutto della culla dedita alla spiritualità autentica?

“La pratica meditativa - commenta Antonio - inizialmente era riservata solo ai monaci, poi si è aperta anche ai laici. Però in Oriente la popolazione comune agisce con una devozione sterile al Dalai Lama, come avviene nel nostro cattolicesimo. Insomma, la spiritualità profonda è in mano a pochi”.

Antonio interrompe d’un tratto la conversazione, deve congedarsi: fuori le incombenze quotidiane lo attendono.

Esco dal tempio con una sensazione strana: fra l’euforico e lo stordito. Come se il bagno d’energia spirituale mi avesse mosso qualcosa dentro. Sulla via del ritorno a casa, mi martella in testa una frase letta in un libro, Il monaco e il filosofo: “Continuando per tutta la vita ad inseguire obiettivi mondani, abbiamo la stessa probabilità di raggiungere una vera felicità di quanta ne abbia di catturare pesci un pescatore che getti le sue reti in un fiume in secca”. Non a caso l’autore del saggio, un famoso biologo parigino, ha abbandonato da tempo la brama di successo per farsi monaco buddista in Nepal.

Perché se ne vanno

La società occidentale procede da qualche secolo nella direzione della laicizzazione e della secolarizzazione. Negli ultimi decenni questo fenomeno si è accentuato con un progressivo allontanamento, oramai di massa e non più soltanto di élite intellettuali, dalla dimensione religiosa. Ciò non toglie che un mondo dominato dalla tecnica e dalla logica economica l’individuo senta la nostalgia di un orizzonte simbolico spesso perduto, desideri coltivare la propria interiorità, insegua un nuovo senso spirituale

Per questo i grandi sistemi religiosi continuano a vivere, seppur a ranghi ridotti. La ricerca di spiritualità (tralasciamo per ragioni di spazio il modello di una interiorità più laica) presenta tuttavia caratteristiche proprie al nostro tempo: è più individuale, più libera, più propensa alla contaminazione, più aperta e tollerante, meno definita, meno comunitaria, meno rigida, meno tradizionale. Si cerca una religiosità più attenta alla dimensione del corpo, più in sintonia con l’ambiente, in maggiore consonanza con la visione scientifica del mondo. Si desidera incontrare una via che promette un equilibrio interiore, una salute dell’animo e del corpo qui e ora, non una salvezza a venire. Ci si affeziona a un dio personalizzato, lontano dalle divinità rivelate oppure si preferisce assaporare una vaga energia universale che non prescrive obblighi morali.

La tradizione cattolica, soprattutto in Italia, fatica a rapportarsi con queste nuove esigenze. Spesso è un problema di percezione che nasce però da elementi storici incontrovertibili. La Chiesa è vista come un potere mirante a preservare se stesso e a imporre la propria visione sulla libertà dell’individuo. Il pensiero cristiano, soprattutto cattolico, pur essendo molto diversificato al suo interno, è considerato inattuale financo ostile alla scienza, agli ideali di democrazia e di tolleranza, alla crescita e alle libere scelte di una persona. L’incombenza del peccato, la paura del giudizio di Dio (e di quello più terreno della Chiesa), una certa proibizione di poter godere delle cose belle del mondo e infine l’idea di non poter intraprendere una ricerca individuale hanno finito per allontanare dalla pratica religiosa cristiana. Non è tanto una questione del nucleo fondamentale del messaggio cristiano, quanto di una determinata tradizione che ora si cerca di rinnovare con esiti alterni.

Di qui l’attenzione verso la tradizione spirituale orientale, soprattutto buddista. Certamente la componente esoterica, misteriosa, affascinante di un mondo a noi ancora quasi sconosciuto gioca un ruolo significativo. La curiosità di ritrovarsi in un ambiente nuovo, così diverso dalla stantia e incomprensibile religiosità tradizionale, l’idea, più o meno veritiera, di aver raggiunto un’oasi di pace e di tranquillità interiori, sono alla base del successo buddista in Italia.

Piergiorgio Cattani

Una religione senza voce. Intervista a Giampiero Comolli

E’ un viaggiatore instancabile che sprigiona tutta la sua curiosità intellettuale. Ha vagato a lungo dentro monasteri e templi buddisti sparsi in Asia e in Italia. Con lo sguardo di un laico che apre l’orizzonte a tutte le verità in maniera critica e riflessiva. Questa è l’impronta di Giampiero Comolli. Scrittore e giornalista, ha collaborato a varie testate fra cui l’Unità. Col suo aiuto cercheremo di cogliere luci ed ombre del buddismo, tema affrontato nel suo ultimo saggio: Pregare, viaggiare, meditare. Percorsi interreligiosi tra cristianesimo, buddismo e nuove forme di spiritualità, ed. Claudiana.

A quali problemi che ci affliggono il buddismo non sa rispondere?

“Esso ha elaborato risposte valide al disagio esistenziale. I centri sorti nel nostro Paese sono luoghi ove riscoprire se stessi e definire la propria identità personale. Offrono una cura di sé, una sorta di protezione del singolo di fronte al dolore, alla solitudine, alla perdita di senso della vita. Il buddismo risponde alla domanda d’identità individuale: chi sono io? Non sa però affrontare un altro disagio diffuso. L’ingresso in Occidente di migranti con nuove culture, religioni, lingue, ci pone un’altra domanda. Quella d’identità collettiva: chi siamo noi, europei, cristiani, musulmani? Serve una risposta anche per adottare nuove strategie di convivenza. Una risposta che spetta alla politica, ma che rimane inevasa. E allora si gira alla Chiesa che offre progetti di solidarietà più o meno adeguati. Sono convinto però che in futuro un buddismo occidentale più maturò saprà colmare questa lacuna”.

Dunque la considera una religione in via di definizione. Come può allora incidere sulla trasformazione sociale e politica?

“È un fenomeno in transizione perché i primi centri sono sorti una trentina d’anni fa. Le sue debolezze in ogni modo non dipendono da ciò. C’è un certo disinteresse della politica e della società civile verso questa spiritualità. Alla Lega del buddismo non importa niente, ma teme che firmando intese con questa ed altre confessioni debba riconoscere anche l’Islam. Con queste premesse non è possibile per i buddisti avere una definizione pubblica di sé. Se poi gettiamo uno sguardo ai media, si dà spazio solo agli esponenti del mondo cattolico. Al massimo si sente un rabbino. Ciò fa ripiegare su se stessi questi centri che hanno perso la forza propulsiva degli inizi. Il buddismo però non è solo ritiro dalla lotta politica per concentrarsi su di sé. I segnali arrivano: dibattiti con la società civile e manifestazioni pacifiste. Il suo approccio non violento, che dà spazio al dialogo, sarebbe utile in politica per alleviare il clima di delegittimazione dell’altro. Vedo bene in futuro un ambientalismo buddista, perché non distingue fra mondo umano e naturale. È sensibile a tutte le forme di vita. Il principio di non uccidere vale anche per gli animali”.

Quali rischi possono derivare da questo percorso spirituale?

“Questi centri ruotano attorno ad un maestro. Una guida che ti aiuta a prender consapevolezza attraverso un percorso autonomo. Capita però che il suo carisma e potere creino dei legami di dipendenza che ostacolano il cammino liberatorio degli allievi. In questo caso si crea un centro chiuso, senza un ricambio di leader, con poca apertura all’esterno: piccole nicchie impegnate nel mantenimento di se stesse”.

Esiste un fondamentalismo buddista?

“Certo, il buddismo non è immune da questo rischio. Come del resto il cristianesimo. In alcune zone come lo Sri Lanka alcune frange si sono unite al potere politico in lotte accese. In Italia, comunque, non vedo alcun pericolo di una tale deriva. Tradizionalmente è la religione che più si oppone a ciò”.

Oggi si assiste da un lato a una rivendicazione delle radici cristiane, sostenuta da movimenti come la Lega, dall’altro al fiorire di spiritualità aperte a tutte le verità, quali il buddismo. Perché quest’ultimo non sa porsi come antidoto al fondamentalismo?

“La lega fa una proposta populista rivolta ai ceti medio-bassi. Il buddismo non è una religione popolare. E nemmeno facile: richiede elasticità mentale, un nuovo sistema di simboli e codici, forte capacità d’elaborazione intellettuale. Non a caso si è diffusa fra persone culturalmente medio-alte, che amano leggere, viaggiare. Insomma con una certa apertura. Il contrario dei ceti cui si rivolge la Lega”.

Mi viene in mente una frase di Umberto Galimberti: “Un Dio dimenticato dalle religioni storiche agita le menti”. Come mai la Chiesa non è più in grado di rispondere ai bisogni del divino?

“Spesso le persone orientate ad una spiritualità alternativa non chiedono se Dio esiste. Non sono alla ricerca di una fede verso un’autorità esterna, sia essa Dio o la Chiesa. Cercano se stesse e addirittura temono un magistero ecclesiale che imponga un catechismo, una fede, una dipendenza che soffochi le potenzialità interiori. La Chiesa gerarchica, istituzionale, non sa più rispondere al disagio individuale. Un tempio buddista attira perché propone una “risacralizzazione del corpo”. Un corpo che la Chiesa ha dimenticato o addirittura represso con la sua sessuofobia. Nelle pratiche buddiste la via per ritrovare la propria anima coinvolge in maniera totalizzante il proprio essere: corpo e spirito”.

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Commenti (3)

Informazioni luce

Salve, da tempo non frequento più nessun tipo di religione, leggo spesso libri su Dalai Lama, in questo periodo sto leggendo 'Emozioni Distruttive'. Ed. Oscar Mondadori.
Ho bisogno di rinascere, ricercando me stessa. Desidero sapere se ci sono luoghi oppure associazioni in zona Rovereto.
Saluti.
Luce

un granellino di sabbia portato dal vento sole

parole, termini, aggettivi scritti da un uomo per descrivere le diversità per proporre una o l'altra idea, filosofia, religione...
l'obiettività è cosa rara nei giornalisti e negli uomini, necessita descrivere la diversità, nel mondo cattolico nascono "cellule" buddiste, nel mondo buddista nascono "cellule" cattoliche ? ....
Eterno dilemma dell'uomo in qualsiasi luogo della terra, è nato prima l'uovo o la gallina ?
La fede in qualsiasi cosa, probabilmente è la conseguenza della non conoscenza, dell'inconscio.
su questo stesso giornale i diversi autori trattano le "fedi" o "religioni" in modo diverso, in base alle proprie conoscenze, alle proprie informazioni, alle proprie convinzioni, giuste o sbagliate siano.
per esperienza chi si avvicina ad altra fede lo fa dopo un percorso di "depressione", aiutato a superare il periodo, viene "spinto" verso forme di autocontrollo della mente che ha come conseguenza attività di meditazione, tale attività e simile a quella proposta dal buddismo, per questo ci si avvicina a questa "fede" ... una cosa ragionata, non propria.

salve gio

Buonasera io sarei seriamente interessata ad avvicinarmi a questa filosofia.. Vorrei sapere se ci sono luoghi o associazioni a Trento (centro).. Grazie in anticipo.
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