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QT n. 10, novembre 2010 Servizi

Le meraviglie dell’Open Source

Che cos’è il software libero e perché non è più roba da hacker

Solo qualche anno fa bastava sentire qualcuno parlare di Linux o di software libero per essere sicuri di trovarsi sull’orlo di discorsi incomprensibili o magari davanti a qualche aspirante hacker. Sembra però che qualcosa sia cambiato, e che ora questo mondo sotterraneo stia risalendo in superficie, e si apra al grande pubblico, portando così un’importante novità per tutti coloro che fino ad oggi non hanno potuto fare altro che pagare la mancanza di alternative. Oggi infatti l’utenza media, quella senza conoscenze approfondite che usa il computer più perché deve che perché vuole, ha la possibilità di scegliere tra due tipi di software che alla radice sono concettualmente diversi.

Da un lato abbiamo la possibilità di utilizzare i programmi come abbiamo sempre fatto: acquistando in un negozio la nostra bella copia di Microsoft Office, installandola, inserendo il codice seriale ed infine usando i programmi, ben consapevoli di farlo su licenza, con la proprietà che rimane di Bill Gates.

Dall’altra siamo oggi in grado di scaricare da internet programmi sviluppati in maniera collaborativa da una comunità che ci permette di usarli gratuitamente, senza porre alcuna condizione ma anzi consentendoci di vedere, capire e modificare il codice del programma stesso.

Codice di programma abbiamo detto? Qui l’utente medio si mette subito a ringhiare: “A me di questo codice non interessa, e se per scrivere una lettera devo mettermi a trappolare con codici...” Calma, vedremo come tutto questo, all’utente medio, comporta problemi minimali e invece significativi vantaggi.

Ma torniamo alle differenze tra i due mondi, software libero e proprietario. La portata concettuale ed ideologica della differenza tra di essi meriterebbe un approfondimento anche solo per comprendere com’è possibile che i due modelli possano coesistere nella stessa economia di mercato, tuttavia ci limiteremo per ora a delineare le ragioni pratiche che dovrebbero spingere pubblico e privato a considerare seriamente ciò che il software libero ha da offrire.

Parlo di pubblico e di privato perché, essendo la convenienza economica uno tra gli indiscussi vantaggi del software libero, ciò che per la singola persona può essere il risparmio di qualche centinaia di euro per la pubblica amministrazione si può tramutare in decine di migliaia di euro non spesi.

Come già accennato, il sistema del software libero è formato da comunità indipendenti di sviluppatori che in maniera volontaria e collaborativa danno vita a programmi o interi sistemi operativi contraddistinti da un il codice a disposizione di chiunque voglia migliorarlo. Il che li ha a lungo relegati in una minuscola nicchia del mercato, frequentata da addetti ai lavori ma soprattutto in grande svantaggio rispetto ai miliardari colossi dell’informatica. Col tempo, però, e soprattutto con il lavoro di migliaia di programmatori di tutto il mondo, queste realtà poco comuni si sono affermate sempre più. L’esperienza più significativa è quella di Ubuntu Linux: un sistema operativo libero e gratuito che solo pochi anni fa era inaccessibile agli utenti meno esperti, ma che ora, grazie ad una politica mirata e ben riuscita, può effettivamente presentarsi come alternativa a Windows e Mac senza richiedere all’utente particolari conoscenze.

Compatibile e sicuro

Il punto che può impedire la diffusione di software e sistemi operativi Open Source ruota infatti intorno al grado di adattabilità richiesto all’utente. Dover apprendere ad utilizzare qualcosa di nuovo, tanto più se si tratta di qualcosa di radicalmente nuovo, può essere così scoraggiante che si preferisce invece continuare a spendere centinaia di euro ogni tre o quattro anni per rimanere nel più consueto ambiente Windows.

C’è chi è poi preoccupato di trovarsi di fronte a problemi di compatibilità con Windows una volta passato a Ubuntu, ma anche questo, se mai una volta è stato un problema concreto, ora non lo è più.

Ubuntu Linux inoltre, per via della modalità “pubblica” in cui è stato scritto il suo codice, aumenta il grado di sicurezza e migliora le prestazioni del computer, facendo dimenticare presto la ben nota lentezza e vulnerabilità di Windows. Se nel codice è presente un bug, infatti, è molto facile per qualsiasi tecnico della comunità di sviluppo individuarlo e correggerlo, risolvendo il problema in tempi estremamente brevi.

Non solo: il software libero può essere adottato in maniera meno drastica, ovvero ricorrendovi solo per qualche programma ma continuando ad utilizzare un sistema operativo proprietario. In questo caso gli esempi più rilevanti sono Mozilla Firefox per quanto riguarda la navigazione web, OpenOffice che sostituisce perfettamente la suite di Microsoft Office, oppure Gimp, buon surrogato di Adobe Photoshop.

Nella pubblica amministrazione: difficile, ma non impossibile

Capitolo a parte è quello che riguarda l’offerta del software libero nelle pubbliche amministrazioni. Alle motivazioni economiche, tutt’altro che secondarie trattandosi di ingenti cifre di soldi pubblici spesi per acquistare le licenze per ogni terminale, si aggiunge qui una doverosa parentesi legata alla trasparenza del software Open Source. Utilizzando programmi dei quali non possiamo controllare il codice sorgente, perché di proprietà esclusiva dell’azienda che i programmi ce li fornisce, non siamo in grado di individuare con certezza le operazioni eseguite. Certo, abbiamo un’idea precisa delle risposte che il computer fornisce come output a determinate nostre azioni, ma non abbiamo nessuna conoscenza certa delle operazioni realmente effettuate. Il discorso potrà sembrare una sottigliezza tecnica, ma in un mondo che affida ogni aspetto della vita quotidiana alle tecnologie informatiche questo problema non è marginale.

Quando iniziamo a parlare di procedure ufficiali, ad esempio, o trattamento dei dati da parte di enti pubblici, è chiaro che la richiesta di trasparenza assoluta ha basi legittime. È per questa ragione che il ruolo dei programmi aventi il codice sorgente leggibile in ogni sua parte è destinato a crescere d’importanza, come alcuni ambienti accademici ed informatici già prospettano da qualche tempo. Nonostante un certo numero di ostacoli istituzionali che in Italia si frappongono tra il software libero e la pubblica amministrazione (uno su tutti, l’impossibilità di dialogare con l’Agenzia delle entrate attraverso sistemi operativi diversi da Windows), è interessante rilevare un certo movimento tendente al software libero in Trentino.

Informatica Trentina, la società per azioni che gestisce le esigenze (e risponde alle direttive) provinciali, ha da tempo investito in questo settore, avendo commissionato e programmato migrazioni da Microsoft Office a Openoffice in diversi uffici pubblici. Certo, Informatica ha notoriamente l’agilità di un brontosauro, e quindi i tempi di questa migrazione saranno biblici; resta comunque significativa la direzione intrapresa.

Un bell’esempio

Esempio di un esperimento appena concluso è il progetto di migrazione dei 350 dipendenti del Comune di Rovereto (14 i servizi comunali coinvolti) ad opera di un’azienda trentina che di questo si occupa, la Posit. Parlando con Massimiliano Zanol, che della migrazione si è occupato direttamente, possiamo mettere meglio a fuoco le ragioni che hanno spinto Rovereto a questo piccolo grande passo.

“Oltre agli evidenti risparmi nei costi, il Comune di Rovereto sentiva anche forte l’esigenza di svincolarsi da un unico fornitore: poter dire basta Microsoft” E questo perché nella situazione attuale, oltre a dover acquistare una licenza di circa 300 euro per ogni terminale, i tempi di aggiornamento (con il conseguente rinnovo della licenza) sono dettati dall’azienda fornitrice. Secondo Posit il costo della migrazione invece è piuttosto limitato: 80 euro, soprattutto rendendo i costi di mantenimento virtualmente nulli.

Il responsabile del servizio informatica, l’ing. Fabio Ropelato, ha quantificato un risparmio di 320.000 euro per i prossimi tre anni. Zanol assicura poi che la migrazione non è stata né traumatica per i dipendenti, né particolarmente lunga: “Soltanto due mesi: 20 giornate di formazione e 30 di supporto sul posto”

Oggi sono i 5000 utenti della Azienda Servizi Sanitari in procinto di affrontare la stessa novità, ai quali si farà seguire l’intera amministrazione della PAT. È un segnale molto positivo questo, che anticipa forti risparmi per la provincia e mostra una pubblica amministrazione che funziona, cosa che può fare solo piacere.

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Commenti (7)

Marco Ciampa

Risposta a:
>quanto influisce sulla diffusione del software >libero in Trentino il fatto che ci sia a Povo un >Centro ricerche della Microsoft?

Nulla direi, cosa centra l'informatica nella PA con le biotecnologie?
Giusto o sbagliato che sia ha lo stesso peso del centro ricerche FIAT di Trento nelle scelte di dell'azienda municipale dei trasporti...

Marco Ciampa

Diaolin(Natali)

Bell'articolo, concordo con Roberto su alcune inesattezze ma, nell'insieme, mi sembra un buon punto di partenza. Vorrei aggiungere anche che spendere la stessa cifra di prima investendola in conoscenza, il SL è di tutti, sarebbe già di suo un grande risparmio.

Diaolin

medienfriz

e per portarla in TransEuropaExpress non sarebbe male capire cosa fanno nel resto d'Eu.

robresoli

@AlbertoGianera: appena sarà online, posterò senz'altro il link all'articolo nella mailing list del LT, così vedremo cosa ne pensano. L'articolo è molto sopra la media di ciò che si legge sull'argomento, e anche la difficile impresa di dribblare i tecnicismi mi sembra riuscita. L'argomento licenze meriterebbe un articolo a sè, ma non è un tecnicismo. Alcuni concetti di base fanno parte proprio delle cose che ci rendono coscienti di cosa si può fare con il sw, e cosa ci viene dato in realtà quando lo acquistiamo. I nostri diritti e le loro limitazioni, insomma.

medienfriz

quanto influisce sulla diffusione del software libero in Trentino il fatto che ci sia a Povo un Centro ricerche della Microsoft?

AlbertoGianera

Salve, innanzitutto sono molto contento che l'articolo le sia piaciuto
(e spero sia stato apprezzato anche dai suoi colleghi di LinuxTrent).
Per quanto riguarda le imprecisioni che lei ha evidenziato le devo dare assolutamente ragione, ad esempio per quanto riguarda il rapporto tra software libero e licenze si dovrebbe scrivere molto, e non solo riguardo alla GPL. Tuttavia come avrà capito l'articolo si proponeva di evitare il più possibile i tecnicismi per essere letto anche da chi magari delle licenze non sa nulla (e soprattutto non sarà mai sfiorato da tale questione). È lo stesso ragionamento che ho fatto anche per altre cose, ad esempio non sono stato a puntualizzare riguardo alla differenza tra Open Source e software libero, appunto perché non avrebbe giovato all'economia dell'articolo.

Per ciò che riguarda la parte delle pubbliche amministrazioni allo stesso modo ci sarebbe stato tantissimo da dire, portare esempi virtuosi o altri da evitare, e magari come suggerisce lei entrare nel dettaglio della versatilità dei software liberi per costruire programmi su misura. Tuttavia il problema è sempre lo stesso: in questo modo si rischia di essere troppo tecnici. Allora ho preferito rischiare di essere semplicistico parlando della migrazione ad OpenOffice. Se poi Informatica Trentina si basa su questa stessa logica, beh può essere - a ragione - considerato un problema: I.T. non sta scrivendo un articolo divulgativo ma ha il compito ben più importante di migliorare e innovare l'informatica del settore pubblico, e sostituire Microsoft Office o Outlook non può che essere il punto di partenza.

robresoli

Ottimo articolo. Solo un paio di imprecisioni, che possono alimentare false credenze purtroppo diffuse.

- Il paragone tra il caso della persona che acquista il diritto d'uso di sw proprietario e chi scarica sw libero è giusto, ma per come esposto spinge a credere che il sw libero sia privo di licenza, cosa assolutamente falsa. Ad esempio moltissimi programmi liberi sono coperti da licena GPL, che introduce importanti vincoli nell'uso, ad esempio impedisce di derivare sw proprietari.

Le licenze d'uso dei sw liberi sono in generale scritte nell'intento di permettere proprio gli usi caratteristici: esecuzione, distribuzione, modifica e redistribuzione della versione modificata.
Un'altra credenza diffusa ma falsa è che il sw libero sia privo di Copyright.

- L'uso di sw libero nella PA non è motivabile solo come risparmio, ma soprattutto come plasticità e possibilità di adattamento alle situazioni più disparate. Inoltre andrebbe sempre sottolineata la possibilità di costruire il sw in maniera collaborativa, senza partire dal presupposto di calarlo dall'alto quando è già pronto, cosa purtroppo molto praticata da Informatica Trentina. Qualcosa si sta muovendo comunque, e il processo di adozione di OpenOffice è solo una delle attività in questo senso credo.

Roberto Resoli

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