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QT n. 9, ottobre 2010 L’editoriale

140 anni dopo

Il 19 settembre, giorno della festa di San Gennaro e del miracolo della liquefazione del sangue tanto atteso dai partenopei, il cardinale di Napoli Crescenzio Sepe lanciava un grido di dolore sulla sua città: “Ora sembra che siamo arrivati ad un punto di svolta: niente è scontato, né il pane né la speranza”. Peccato che lo stesso cardinale sia da tempo indagato per corruzione dalla Procura di Perugia insieme all’ex ministro Pietro Lunardi nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta “cricca” che avrebbe lucrato sui Grandi eventi.

L’indomani si celebrava il 140° anniversario della Breccia di Porta Pia, cioè la conquista di Roma da parte delle truppe del Regno d’Italia e la conseguente fine del potere temporale della Chiesa. Per l’occasione il Segretario di Stato Vaticano cardinale Bertone ha incontrato proprio davanti alla Porta il Presidente della Repubblica per sancire la nuova pacificazione, anzi l’armonioso clima di collaborazione tra i due Stati.

Lo Stato del Vaticano nasce come garanzia istituzionale e internazionale per proteggere il Papa da pressioni esterne e per permettergli una piena libertà di azione. In realtà dentro questa cornice si nasconde un evidente residuo dell’antico potere temporale, che però oggi si traduce spesso in una nebulosa di privilegi, in una zona oscura dove l’accomodante e spesso truffaldina mentalità italiana nella gestione del denaro pubblico va a nozze (indissolubili?) con le accorate omelie clericali che invitano alla sobrietà e alla giustizia sociale.

Numerosi libri sono stati scritti anche recentemente per descrivere il farraginoso sistema con cui la Chiesa (intesa qui come Vaticano e realtà istituzionale) gestisce l’enorme massa di beni mobili e immobili accumulata nei secoli e il flusso di denaro che arriva ogni anno nelle casse. Occorre ammettere che la burocrazia necessaria per gestire questo apparato è di per sé destinata ad avere numerosi buchi neri, ma proprio per questo si comprende come la presenza di un potere temporale per quanto limitato in seno alla Chiesa Cattolica sia un fardello gravoso che ne pregiudica pesantemente la credibilità e l’autorevolezza.

Ancora oggi è lo Ior (Istituto opere religiose, ossia la banca del Vaticano) a fare notizia: il giorno successivo all’ “abbraccio” di Porta Pia il nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza sequestrava, in via preventiva, 23 milioni di euro dello Ior, depositati su un conto del Credito Artigiano Spa. Due alti responsabili della banca vaticana, tra i quali il presidente, Ettore Gotti Tedeschi, finivano indagati dalla Procura di Roma per omissioni legate alla violazione delle norme antiriciclaggio. Poche parole, dettate da tutte le agenzie di stampa, che bastano per segnalare che qualcosa non funziona. Dove c’è una banca, il malaffare è sempre dietro l’angolo, si potrebbe dire.

L’irrisolta questione di fondo ci rimanda al 1870 e poi al Concilio Vaticano II, due eventi che potevano modificare alla radice l’aspetto politico della Chiesa, ma che in realtà non sono riusciti ad imprimere la necessaria per quanto difficile svolta epocale: l’effettiva fine del potere temporale in mano al clero. Certo, il Papa non è più Re e di sicuro i Pontefici vivono modestamente (Ratzinger rasenta la frugalità), ma non si può dire lo stesso per il resto della Curia romana e per le centinaia di monsignori e laici che lucrano sulle ricchezze vaticane. Probabilmente se i preti si occupassero di argomenti di fede (che non vuol dire rinchiudere i cattolici nelle chiese) anziché di gestione di denaro, i laici si comporterebbero nella stessa maniera o peggio, ma almeno ci si salverebbe la faccia di fronte all’ammonimento evangelico per cui “non si possono servire due padroni”, ma bisogna scegliere tra Dio e il denaro.

Ma più degli scandali finanziari quello che stride è l’attaccamento al potere e ai mezzi che permettono di raggiungerlo e di mantenerlo, oggi impersonati dall’influenza politica e dai mezzi di comunicazione. La Chiesa degli ultimi anni è attentissima su questi fronti, con esiti che però sono quasi disastrosi.

Ritornano in mente le parole di Don Lorenzo Milani: “Per un prete, quale tragedia più grossa di questa potrà mai venire? Esser liberi, avere in mano sacramenti, Camera, Senato, stampa, radio, campanili, pulpiti, scuola e con tutta questa dovizia di mezzi divini e umani raccogliere il bel frutto di essere derisi dai poveri, odiati dai più deboli, amati dai più forti. Aver la chiesa vuota. Vedersela vuotare ogni giorno di più”.

E questo si potrebbe applicare anche al nostro Trentino.