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Figli del mondo

Nascere al S. Chiara, un’esperienza multietnica

Mia figlia, venuta al mondo una domenica di aprile all’Ospedale S. Chiara di Trento, è nata in mezzo al mondo, appunto, accolta da una umanità dolente eppure piena di speranza di fronte allo stupore della nascita, che in mille lingue e con mille gesti diversi saluta.

Non c’è da stupirsi: le statistiche dicono che stranieri erano il 15,7% dei nuovi nati in Trentino nel 2008, quasi il doppio di quelli autoctoni.

Ho capito che scegliere l’ospedale pubblico sarebbe stato istruttivo da questo punto di vista quando - in contemplazione davanti alla culla - ho sentito levarsi dal cellulare di una puerpera vicina una musichina in stile arabeggiante. Il piacevole senso di spaesamento è aumentato quando poi nella stanza da cinque del reparto di Ostetricia sono entrate in fila indiana tre signore macedoni, con tanto di foulard in testa, sorridenti ed estasiate per l’arrivo del nipotino.

Questo strano viaggio fatto da fermi è in realtà cominciato ben prima di arrivare in reparto. Al corso preparto organizzato dal consultorio numerose erano le donne straniere, spesso accompagnate dai mariti: c’erano polacche, rumene, brasiliane... Qui la solidarietà creata dalla condizione di quasi-mamme ha permesso di superare le barriere culturali e di comunicare le proprie ansie e speranze attraverso il linguaggio dei sentimenti. Una prova in più che proprio in questi luoghi di comune esperienza (come la scuola) che lasciano fuori dalla porta la barbarie dell’attuale discorso sull’immigrazione, la possibilità dell’incontro si fa concreta.

Poi i primi segnali del travaglio e via verso l’ospedale: la lunga attesa in una stanza da sei persone, ciascun letto isolato dall’altro da una tendina gialla che pareva avere come unica funzione quella di permettere di ascoltare senza essere visti.

Lingue lontane e odore di curry, una signora pachistana vestita con un sari rosso, ornato d’oro, dai capelli nerissimi legati a treccia. Con lei tutto il giorno, per la disperazione delle altre ospiti della stanza, un bambino di due anni accompagnato da una ragazzina di 11. Annoiato dalla permanenza in ospedale accanto alla mamma incinta e sofferente, non poteva comunque stare a casa, perché la cugina che lo curava doveva stare con la zia per poterle tradurre le parole dei medici. Che responsabilità per lei parlare di diabete o di aborto...

L’altra mamma pachistana ospitata nella stanza, una giovane donna dal viso triste, avvolta in un sari verde, preoccupata da una minaccia di aborto, dopo un giorno di silenzio ha trovato conforto nelle parole di una signora trentina, anche lei ricoverata per complicazioni in gravidanza.

E se al mondo contassero soltanto mamme e bambini? Se la terra fosse come un grande reparto di ostetricia, dove gli uomini non fossero che dei (più o meno) silenziosi visitatori, pieni di rispetto davanti al mistero della nascita?

Ci sarebbe di certo qualcuno che rovinerebbe tutto: come quelle inservienti che, incaricate di rifare il letto delle signore orientali, in dialetto trentino si sono lasciate andare a commenti indegni della gentilezza e della bravura del personale (quasi tutto femminile) del reparto.

Comprese le donne delle pulizie, allegre e chiacchierone, estasiate davanti ai neonati nelle stanze da pulire e generose nel dispensare consigli alle puerpere. E a rincuorare i padri segnati dall’esperienza del parto, vissuta da spettatori (quasi) impotenti: “È una bambina?”, mi ha chiesto la signora con una scopa in mano e l’accento balcanico. “Che cos’è una bambina per il suo papà! È la sua gioia!”, mi ha detto entusiasta.

Come preferire le silenziose mura di una clinica privata per dare al mondo un figlio?

Eppure neanche da neonati gli uomini sono tutti uguali. Come una bomba ad orologeria innescata il giorno della nascita, la legge italiana prevede che a 18 anni il bambino nato da genitori stranieri diventi anch’egli “straniero”, perdendo la nazionalità italiana. Così piccoli, all’apparenza così indifesi... in realtà per lo Stato italiano questi neonati sono già dei nemici ai quali sbarrare la strada del futuro.

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