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QT n. 16, 8 novembre 2008 Monitor

Post-apocalisse disneyana

“Wall-e” tenero, poetico umorismo disneyano e dura, radicale critica all'umanità occidentale.

La Terra è desolata. Il nostro pianeta è coperto dai rifiuti, inospitale, marcio, fallito. L’unica specie vivente sopravvissuta sembra essere – come da pregiudizio – quella degli scarafaggi. Anche di questi indistruttibili insetti ne rimane tuttavia vivo solamente uno. A mostrarci un futuro così tragico non è uno dei soliti film post-apocalittici alla "Mad Max" ma una tenera pellicola di animazione della Disney/Pixar, "Wall-e". E lo scarafaggio, quindi, non è un insetto ripugnante ma un simpatico esserino marrone con un’espressività che sarebbe inutile pretendere dalle blatte che infestano le nostre cantine. L’unico altro abitante della Terra è un robottino, Wall-e, che ha l’incarico di ripulire, tutto solo, l’enorme immondezzaio. Wall-e ingoia rifiuti e produce cubetti con cui costruisce giganteschi grattacieli. Prova a fare ordine. I primi dieci-quindici minuti di film trascorrono così. Con un robottino che si muove nella wasteland terrestre e si innamora di qualche piccolo oggetto abbandonato dagli uomini. Dieci-quindici minuti in cui non succede nient’altro che questo. Pier Paolo Pasolini l’avrebbe subito rubricato sotto la voce "cinema di poesia". Sono sequenze senza dialoghi, del tutto affascinanti, ironiche, riempite di piccole gag visive da cinema muto. Wall-e si appassiona a piccoli oggetti dimenticati e inutili, li raccoglie, li colleziona – un cubo di Rubik, un frullino, una trota di plastica da appendere al muro… Si innamora del musical "Hello, Dolly" e prova a ripeterne le mosse.

Dopo averla riempita d’immondizia, gli esseri umani hanno abbandonato la Terra e da settecento anni navigano nel cosmo a bordo di un’immensa nave-crociera – obesi, trasportati-nutriti-puliti da un’infinità di robot che fungono da badanti. Su questa astronave, gli uomini hanno perso il ricordo del contatto fisico e parlano solo attraverso dei telefoni a ologrammi. Tutto quel che fanno è consumare, mangiare, bere, seguire le mode. Il tutorato dei robot è totale, come in una versione ancora più terrorizzante di "Matrix": le macchine non usano gli umani per estrarne l’energia vitale, non hanno nemmeno più tale utilità. Gli uomini sembrano solo dei goffi e viziati animali da compagnia dei robot, che con essi si distraggono mentre, nel frattempo, hanno il compito serio di governare la rotta.

Al di sotto della patina leggera dell’umorismo disneyano si legge quindi il riflesso di una dura, radicale critica al nostro way of living. Che ci sta conducendo sull’orlo di una catastrofe ecologica e ci renderà dei soggetti privi di decoro, costretti all’interno di un’esistenza insignificante: tra macchine, immondizia e scarafaggi, gli unici esseri veramente disgustosi sono gli uomini. Il classico antropomorfismo degli animali e delle creature della Disney serve qui a coprire un vuoto: se gli umani diventano inguardabili, non resta che identificarci, come spettatori, con teneri e generosi robottini.

 

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