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QT n. 15, 11 ottobre 2008 Monitor

Potessimo suonare come lui!

Stephen Stills in concerto

Ulli Sandner

In una canzone dei primi anni ‘60, Bo Diddley diceva "You can’t judge a book by it’s cover", non puoi giudicare un libro dalla copertina.

Se avessi dovuto giudicare questo concerto dalla bellezza del manifesto sarei andato a mangiare una pizza, ma così non è stato. Per fortuna, aggiungerei. Quello di giovedì 2 ottobre è stato infatti uno spettacolo emozionante, divertente e per nulla scontato. Uno Stephen Stills supportato dalla band e piuttosto in forma apre le danze con Helplessy hoping, uno dei brani più belli del primo disco di Crosby, Stills e Nash, raschiando la voce e accarezzando una chitarra che viene dritta dai sogni proibiti di ogni chitarrista. Rimane poi solo sul palco per la parte acustica dello show, dove cambierà chitarre e accordature come ad una sfilata di moda si cambiano i vestiti, cantando allegro Freetop flyer, Girl from the north country (omaggio ad un giovane Bob Dylan) e letteralmente squarciandosi la gola nel proporre una Change partners da brividi. Sostiene di essersi svegliato alle cinque di pomeriggio e quindi per lui è come cantare di primo mattino, la voce si fa più rauca ed evocativa nell’intonare Blind fiddler medley come un vecchio marinaio e si scioglie in un sorriso quando il pubblico applaude a ritmo Johnny’s garden, pescata dal bellissimo disco del ’72 "Manassas". Ancora un cambio di chitarra, le dita che arpeggiano Find the cost of freedom contro ogni guerra, poi Stills sentenzia che non gli rimane altro da fare che saltare nell’abisso e a piè pari si tuffa in Suite: Judy blue eyes, nuota nel blu di quegli occhi come centinaia di volte prima; sono un lago dove si riflettono le nuvole di Woodstock, sono corde che vibrano e scattano ad ogni bracciata fino a quando in fondo, quasi alla fine, entrano basso, batteria e tastiera a concludere la prima parte del concerto.

E se fino a questo punto era l’acustica, intima e sospesa, a fare da padrona di casa, ora è l’elettricità che gli urla nelle ossa della faccia e lo inchioda sul palco a cantare Rock & Roll woman, pezzo dei tempi in cui il nostro suonava con i Buffalo Springfield insieme ad un certo Neil Young. Con Isn’t it about time la batteria fila spedita come un treno, ma suona falsa come Giuda, con il rullante che sa troppo di Duran Duran per un suono così fangoso e sudato, sottosuolo ideale invece per far crescere la cover del brano The wrong thing to do di Tom Petty, biondo e apprezzato cantautore. È tempo di un lungo blues che gronda note pesanti e di una Make love to you quasi jazzata, di una Bluebird dolce come il canto di un corvo dalla voce d’usignolo e di una Old man trouble dove il musicista abbandona la chitarra per la tastiera e ci regala un’interpretazione memorabile dai mille cuori spezzati. Il finale dello spettacolo prevede la celeberrima For what it’s worth, Dark Star e la luminosa Love the one you’re with, che spedisce tutti a casa, sognando di poter un giorno suonare una chitarra bella come quelle che suona Stephen Stills."

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