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Ci vuole un’Europa dei cittadini

Giulietto Chiesa

Tre referendum popolari, 3 bocciature. L’Irlanda ha detto no al trattato firmato dai capi di Stato e di governo UE a Lisbona. Esattamente come i francesi dissero no, insieme agli olandesi, al Trattato presentato a Roma il 18/7/03. Poiché la differenza tra i 2 documenti è praticamente nulla, i 3 no popolari hanno lo stesso significato: una Costituzione con quei contenuti non è vendibile alle opinioni pubbliche, non ha un’anima decente. Per non dire che ha un’anima pericolosa per la democrazia.

Il colpo d’arresto del referendum irlandese non è cosa che possa entusiasmare chi guarda ai destini del mondo. L’Europa ne esce ridimensionata, indebolita. E in una situazione di crisi internazionale senza soluzioni all’orizzonte, avremmo avuto bisogno di un’Europa autorevole, in grado di contrastare la politica USA e di prendere la guida di alcuni processi planetari (il cambiamento climatico, la crisi energetica, la crisi alimentare) con un’impostazione di dialogo, di pace, di rispetto della legalità internazionale.

Ciò detto, bisogna anche dire che non tutti i mali vengono per nuocere e che il colpo all’UE delle multinazionali, delle banche senza controllo, dei governi che se ne infischiano dei popoli, delle burocrazie, dei servizi segreti che violano i diritti dell’uomo... tutto questo è un fatto positivo che potrà essere utilizzato dalle società civili europee per correggere, limitare lo strapotere dei forti e aumentare il controllo democratico. Si potrà discutere sul fatto che meno di 1 milione d’irlandesi mettono in scacco i 18 parlamenti che hanno già ratificato il trattato di Lisbona; o sul fatto che appena la metà degl’irlandesi è andata a votare; o che quasi nessuno ha letto il documento sottoposto a referendum. Tutti questi sono argomenti a doppio taglio. Perché si può fare la controdomanda: come mai solo metà degl’irlandesi ha sentito il bisogno di andare a votare, e la maggioranza ha comunque risposto negativamente? E la maggioranza dei francesi e degli olandesi, dove le mettiamo? E perché i capi di governo hanno deciso di far approvare il documento dai parlamenti (meglio controllabili) che non dai popoli? L’hanno fatto perché non volevano che emergesse la verità, che questo "processo costituzionale" è una caricatura piena di burocratica retorica, lontana le mille miglia dai cittadini del nuovo Stato.

Vedo già la soluzione dei potenti: togliamo di mezzo la finzione e rimuoviamo la regola secondo cui ogni riforma dev’essere accettata da tutti e 27 i membri. Così, invece di affrontare i problemi, si procederà con la regola del chi ci sta ci sta, e gli altri saranno costretti a cedere, o lasciati fuori dal processo comunitario. Esempio preclaro di questa operazione sarebbe la clausola - per i Paesi che dovessero aderire all’ormai terza versione del Trattato Costituzionale (dopo la bocciatura di Roma e di Lisbona) - che obbligherebbe Austria, Finlandia, Malta, Svezia, ad abbandonare lo status di paesi neutrali. E perché l’Europa non potrebbe avere al suo interno Paesi neutrali? L’Europa deve identificarsi con la Nato? Ovvio che ci sono forze che lo vogliono, forze sono palesemente al servizio non dell’Europa ma degli USA. E sono state queste a trascinare per i capelli un’UE recalcitrante in azioni militari che sono state chiamate "missioni di pace" al di fuori dei confini dell’UE, per scopi che non erano quelli dell’UE, per interessi che non coincidevano con quelli UE, e senza alcun dibattito pubblico, nemmeno nei parlamenti nazionali. Chi ha a cuore l’idea di un’Europa unita, non dovrebbe chiedersi se nel voto negativo d’irlandesi, francesi, olandesi, non vi sia anche il rifiuto di vedere l’UE trasformata in una fortezza militare che dovrebbe combattere il terrorismo agli ordini di un Paese che ha creato il terrorismo con le proprie forze, i propri servizi segreti, e usa il terrorismo ai suoi fini, come chiunque dovrebbe sapere? Certo, quasi nessuno ha letto il documento di centinaia di pagine, e tutti i protocolli annessi. Ma è forse colpa degli elettori, o non è anch’essa (l’inutile e artificiosa complessità) una trappola per evitare che si metta il naso tra le righe e si scoprano le magagne?

Mi pare di vederli, questi drappelli di funzionari che scrivono i documenti che poi i capi di Stato e di governo illustreranno (senza averli letti) ai mass media, che a loro volta (senza averli letti), li metteranno sui teleschermi corredati con schemini semplificati in parte sbagliati e in parte intenzionalmente falsificati. Si scoprirebbe che questo Trattato reintroduce la pena di morte. Certo non si vede a occhio nudo, ma quei drappelli di cui sopra ce l’hanno rimessa. Con tutte le cautele del caso, naturalmente, in "protocolli aggiuntivi", in "allegati", che però da qualche parte sono dichiarati "parte costituente dei trattati" e quindi hanno valore vincolante. La morte, cioè l’uccisione nella pubblica via, "non viola" i princìpi se "è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario" (art. 2, § 2 della Carta dei diritti fondamentali). E cioè quando? Quando si stia reprimendo "in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione". O per "eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta". E chi decide cosa sia una sommossa? Ed è necessario scrivere in un trattato di questo genere simili norme? E se le si scrive, non è perché, prima o dopo, qualcuno le possa utilizzare?

Ma si va oltre. Nell’art. 2 del protocollo n. 6 della Carta dei diritti fondamentali si scrive che "uno Stato può prevedere nella propria legislazione la pena di morte per atti commessi in tempo di guerra o in caso di pericolo imminente di guerra". E come si definirebbe un "pericolo di guerra imminente"? Quali sarebbero le autorità abilitate a decidere che siamo di fronte a una guerra "imminente"? L’Italia pre-Berlusconi era appena riuscita a togliere queste norme perfino dal Codice militare di guerra, e noi ce le vedremmo tornare indietro, via UE?

Certo che nessuno, salvo gli gnomi in giacca e cravatta che lavorano negli uffici dell’UE, ha letto tutto il testo. Perfino il commissario UE McCreevy, parlando a Dublino e caldeggiando il voto positivo degl’irlandesi, ha ammesso di non averlo letto, e ha aggiunto che difficilmente "una persona sana o decente lo leggerebbe dalla prima all’ultima pagina". Sfortunatamente questa sarebbe la Costituzione UE, quella che dovrebbe diventare la nostra legge comune e che autorizzerebbe, senza appello, direttive come quella che il 10/6 scorso, 2 giorni prima del voto irlandese, cancella la settimana lavorativa di 48 ore, conquista dei lavoratori di tutto il mondo occidentale (salvo di quelli USA).

Non so se i lavoratori d’Irlanda abbiano votato in base a quest’ultima novità, ma quel che conta è la lezione da trarne. La presidenza di turno slovena, pochi giorni prima di lasciare il posto a quella di Sarkozy, ha proposto ai ministri del Lavoro dell’UE di portare il tetto massimo per la settimana lavorativa da 48 ore a 60 e, per alcune categorie, come i medici, fino a 65. Ma anche in questo caso, in cauda venenum: il tetto dovrebbe calcolarsi sulla media del trimestre, quindi i tetti settimanali singoli potranno raggiungere perfino le 78 ore. E non è finita: viene inflitto un colpo decisivo anche alla contrattazione collettiva, lasciando aperta la via alla possibilità che il singolo lavoratore possa patteggiare come vendere la sua vita restante direttamente col datore di lavoro. Che è il nuovo terreno su cui le Confindustrie europee già stanno menando le nuove offensive.

È questa l’UE che vogliono ammannirci? Quella di una BCE che, al di fuori di ogni controllo, mette in circolo 400 miliardi di euro per sostenere il dollaro che cade, facendoci pagare il debito USA? Quella che paga le elezioni irakene, decise da Washington per mettere al potere gli uomini che piacciono a Washington? Quella che paga le elezioni in Palestina, ma che poi, quando le vince Hamas, lascia che Israele soffochi il processo di pace e circondi la striscia di Gaza? Quella che lascia Polonia e Repubblica Ceca trattare direttamente con Washington l’installazione di un nuovo sistema di missili dimenticando che la sicurezza UE è una, indivisibile e uguale per tutti, e che quindi decisioni del genere si devono prendere a Bruxelles e non a Varsavia o a Praga? Certo che ci vuole più Europa, ma non questa Europa.