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QT n. 9, 3 maggio 2008 Servizi

Il “laburismo” vincente della Lega Nord

Paura dell’immigrazione, ostilità verso la classe politica, difesa del tessuto industriale del nord, interclassismo e un carattere popolare. Queste le carte giocate da Bossi.

Francesco Ronchi, Jérôme Fourquet

Silvio Berlusconi e la Lega Nord sono i due grandi vincitori delle elezioni politiche del 13 e 14 aprile. La coalizione berlusconiana è stata scelta da 17.063.874 elettori, guadagnando circa 1.230.000 voti rispetto alle elezioni del 2006. La Lega è passata dal 4,1% all’8,3%, aumentando il proprio consenso di circa un milione e mezzo di voti rispetto al 2006. La progressione della Lega rappresenta dunque la chiave per comprendere la poderosa vittoria del centro-destra.

Il successo della Lega è in parte legato al sentimento di ostilità e sfiducia maturato nell’opinione pubblica rispetto alla classe politica italiana. In maniera più marcata rispetto alle elezioni del 2001 e del 2006, questi sentimenti sono stati esacerbati e vellicati dalla Lega durante la campagna elettorale. Ma, oltre alla riattivazione di questa fibra protestataria, la rinascita leghista testimonia soprattutto lo spaesamento, ma anche la capacità di reazione, di quel Nord sfidato dalla mondializzazione. La progressione leghista si è infatti nutrita di due dinamiche maggiori: la paura dell’immigrazione e la difesa del tessuto industriale dell’Italia del Nord.

A partire dalla fine degli anni ’90, il tema dell’immigrazione si è al centro del discorso della Lega. Nel marzo 2008, secondo un sondaggio SWG, l’immigrazione e l’insicurezza erano agli occhi degli elettori leghisti, i temi più salienti.

Sarebbe tuttavia insufficiente ridurre lo sfondamento leghista alle sole questioni dell’insicurezza e dell’immigrazione. La strategia della Lega non si è semplicemente fondata su questi temi, ma ha cercato di diversificare il proprio messaggio, valorizzando altre tematiche.

Durante la campagna elettorale, Umberto Bossi ha dichiarato che "la Lega era il partito dei lavoratori", a fianco di "quei poveri del Nord che devono rubare nei supermercati per sopravvivere." La Lega ha quindi sviluppato un profilo "laburista", valorizzando il suo ancoraggio popolare. Questo riposizionamento "laburista" può essere interpretato come una risposta congiunturale alla spettacolare progressione del tema del potere d’acquisto registrata nell’opinione pubblica: se, nel giugno 2007, solo il 25% degli elettori italiani consideravano prioritario il tema del caro-vita, sei mesi dopo, nel dicembre 2007, questo problema era giudicato prioritario dal 45% degli elettori, concentrati soprattutto tra le classi popolari dell’Italia del Nord.

Tuttavia, il posizionamento laburista " della Lega non si riduce ad un semplice posizionamento tattico. Al contrario, essa ha una radice più profonda e rappresenta una componente originaria del discorso leghista recentemente riattivata. Tra il 1995 e il ’96, prima della svolta securitaria della fine degli anni ’90, la Lega aveva infatti già valorizzato la sua natura "popolare e operaia".

D’altronde, questo carattere popolare riflette la società di cui la Lega è, almeno in parte, l’espressione. Nel Nord-Est, si è infatti installato un capitalismo di massa con una matrice chiaramente popolare: secondo i dati della Fondazione Nord-Est, il 58% degli imprenditori del Nord-Est sarebbe composto da ex-operai. In questo contesto, il "laburismo" leghista sembrerebbe strutturarsi attorno all’idea di una rinnovata alleanza fra datori di lavoro e operai, uniti nella prospettiva di difendere e proteggere il mondo della fabbrica di fronte allo spettro della deindustrializzazione e della competizione internazionale. E’allora evidente che il "laburismo" leghista spariglia le antiche divisioni di classe, proponendo un nuovo sincretismo sociale.

I risultati delle elezioni politiche marcano la consacrazione di questa visione "a-classista". I sondaggi elettorali mostrano infatti che l’elettorato leghista si compone di imprenditori, ma anche, in maniera crescente, di operai (che sono infatti sovrarappresentati all’interno dell’elettorato della Lega), prefigurando in questo modo una sorta di rinnovata allenza dei produttori.

L’evoluzione laburista della Lega Nord si è ugualmente tradotta in termini di geografia elettorale. Da questo punto di vista, a differenza della progressione del 1996, la Lega non cresce semplicemente sulle proprie radici pedemontane, ma rivela una significativa capacità di allargare il proprio bacino elettorale, insediandosi anche in luoghi ad alto contenuto simbolico come Marghera, il feudo dell’operaismo italiano, in cui il Carroccio passa dal 4% del 2006 a oltre il 14%.

Geograficamente il partito di Bossi supera anche la barriera del Po, estendendo la sua influenza verso le terre rosse emiliane e toscane. Nella Valle del Bisenzio, nel cuore del distretto tessile pratese, la Lega ottiene così oltre il 3% dei voti.

In filigrana, dietro questa progressione, si può individuare l’emersione di un nuovo leghismo proveniente da sinistra. Secondo le analisi post-elettorali sviluppate dai principali istituti di sondaggio, questi trasferimenti in uscita dalla sinistra avrebbero penalizzato soprattutto la Sinistra-Arcobaleno, che avrebbe perso tra i 100.000 e i 150.000 voti a favore del Carroccio.

Sebbene non si debba sovrastimare l’importanza quan-titativa di tali flussi elettorali, questi trasferimenti testimoniano tuttavia l’esistenza di una dinamica leghista di apertura verso la sinistra.

E’ d’altronde interessante ricordare che, dopo l’annuncio dei risultati elettorali, Umberto Bossi ha dichiarato che la falce e il martello andavano ormai sostituiti dalla " falce e dal carroccio ".

La progressione della Lega, lungi dal testimoniare uno spostamento a sinistra, del suo elettorato (pochi elettori leghisti si posizionano infatti a sinistra), potrebbe piuttosto significare l’articolazione di una nuova linea di frattura che trascende la divisione fra destra e sinistra e si riconfigura attorno all’opposizione tra una "società aperta" e una "società chiusa", che domanda protezione di fronte alla mondializzazione.

Secondo un sondaggio SWG realizzato durante la campagna elettorale, per il 36% degli elettori italiani l’applicazione di politiche commerciali protezioniste sarebbe la soluzione più efficace per rispondere alla stagnazione economica, mentre il 37% privilegia l’ipotesi di misure di liberalizzazione dell’economia.

La Lega Nord sembrerebbe aver cavalcato questa linea di divisione, proponendo alla società del Nord una nuova allenza protezionistica tra "classi produttrici", siano esse operaie o imprenditoriali. Il tema del protezionismo permette infatti alla Lega di unire, di federare, la fabbrica e la frontiera, il ritrovato "laburismo" e il più antico rifiuto dell’immigrazione.

In questo senso, per l’Italia, la vittoria della Lega potrebbe segnare il ritorno in forza del protezionismo economico e sociale.

[/a]- Francesco Ronchi è analista elettorale a SWG.

- Jérôme Fourquett è vicedirettore dell’istituto di sondaggi francese IFOP e opinionista per Le Monde e Le Figaro.