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QT n. 21, 7 dicembre 2007 Servizi

Folgaria: neve per sempre?

Gli impiantisti in difficoltà passano al contrattacco. Con un “workshop” sui cambiamenti climatici perlomeno discutibile.

“La neve artificiale ha resistito alle piogge". "Il professor Fazzini benedice i nuovi impianti di Folgaria".

Sono alcuni dei titoli con i quali i nostri quotidiani hanno commentato i risultati della conferenza tenutasi a Folgaria sul tema "Sciabilità presente e futura". Titoli che confermano quanto emerso dal convegno, con giornalisti, come spesso succede nelle nostre valli, che offrono credibilità alle istituzioni, fanno risaltare solo l’aspetto polemico e di conflitto che emerge dal dissenso sociale, privando la cronaca di altri contenuti emersi.

La giornata tenutasi a Folgaria è un esempio su come si costruisce il consenso su un progetto di sviluppo discutibile come quello accanitamente preparato per il futuro degli altipiani.

Le amministrazioni locali proponenti e la società Carosello Ski ormai erano in difficoltà. Uscivano sconfitte dal tentativo di inserire il piano neve della società sciistica e relativa speculazione edilizia nella decennale vertenza con il comune vicentino di Lastarolla. Presso l’opinione pubblica provinciale erano ormai deboli nel tentativo di far ricadere ogni responsabilità dell’aggressione alla valle delle Lanze e dei Fiorentini sulla Regione Veneto: infatti le progettazioni e l’esecuzione delle opere, realmente iniziate in Veneto, sono tutte commissionate dalla Carosello Ski con sede a Folgaria. E guarda caso, gli impianti che si stanno costruendo sul confine veneto non avrebbero alcun senso se non immediatamente collegati, attraverso Costa d’Agra e Passo Coe, alla rete sciabile trentina.

Sono progetti ormai smascherati quanto a efficacia della proposta tecnica, poiché gli impianti e le piste, oltre a sconvolgere un patrimonio naturalistico e storico unico in Trentino, non sono sostenibili per le pendenze medie delle piste proposte: quando va bene, si arriva al 12%.

In Provincia, come confermato lunedì 26 novembre dall’assessore Mauro Gilmozzi, il progetto viene sostenuto solo perché voluto dai sindaci locali. Un progetto quindi mal sopportato, nel quale nessuno fuori dagli altipiani crede, ma nonostante ciò la Provincia ci mette 17 milioni di euro (decisi in un patto che doveva rimanere segreto) e rimane sconfessata la promessa avanzata dal Presidente Dellai, nel corso di una riunione pubblica, di costituire un tavolo di lavoro composto da operatori turistici, istituzioni locali e ambientalisti per riprogettare lo sviluppo degli altipiani. La Provincia, lo ribadiamo, sta sostenendo la follia della Carosello Ski solo perché il voto del novembre 2008 è ormai alle porte. E sugli altipiani in teoria governa la sinistra diessina.

E’ poi arrivata la mazzata del caldo inverno 2006-2007, durante il quale gli effetti sconvolgenti dei cambiamenti climatici sull’industria dello sci sono apparsi evidenti a chiunque sia dotato di buon senso: scarsità di acqua, impossibilità di preparare le piste di sci con l’innevamento artificiale, deficit spaventosi delle aree sciabili meno appetibili: quelle poste sulle Prealpi italiane, Polsa, Monte Baldo, Bondone, Vetriolo-Panarotta e ovviamente Folgaria –Fiorentini, con bilanci tutti deficitari e che poggiano su equilibri quanto mai fragili.

Durante l’estate la questione dei cambiamenti climatici ha tenuto banco su tutta l’informazione internazionale e alpina, arrivando a modificare in modo tangibile l’atteggiamento del cittadino nei confronti di ulteriori previsioni di ampliamenti delle aree sciabili.

A questo intreccio di fatti e relative sconfitte politiche e mediatiche la società impiantistica doveva rispondere. Il metodo scelto è stato quello di settorializzare il più possibile un momento informativo, ed ecco quindi l’amministrazione comunale proporre un irrituale e farsesco workshop (praticamente a senso unico, con un unico relatore ed uno striminzito dibattito) che analizzi solo le previsioni di precipitazioni nevose nei prossimi anni sulla zona degli altipiani.

L’esperto chiamato, il prof. Fazzini, docente universitario a Ferrara e Camerino, ha così dimostrato con una innumerevole serie di dati come nei prossimi trent’anni, anche prendendo a modello la previsione più catastrofica dell’innalzamento della temperatura media sulle Alpi di oltre 2,5°C, che le giornate sciabili scenderanno dalle attuali 114 a 104, che le precipitazioni nevose caleranno al massimo di due, tre centimetri all’anno. La conclusione del sindaco diessino Olivi è esplicita: sugli altipiani la sciabilità dell’area sarà garantita anche fra trent’anni. Messi all’angolo gli ambientalisti, non rimaneva che confermare che lo studio rispecchia i risultati di analoghi lavori svolti dalle università d’oltralpe. E’ rimasto però assente un approccio multidisciplinare. I cambiamenti climatici avranno infatti anche risvolti sociali, oggi imprevedibili.

Ma le università d’oltralpe ci hanno anche insegnato come il cambiamento climatico in atto nel mondo, ma in modo ancor più significativo sulle Alpi, può essere affrontato solo con un approccio complessivo, altrimenti ogni dato più essere strumentalizzato o per la difesa dello status quo (situazione di Folgaria e trentina) o all’opposto dal catastrofismo più insensato.

Queste università sull’argomento lavorano da decenni e sono strettamente e strutturalmente legate all’azione culturale dell’associazionismo ambientalista e alle riflessioni e conseguenti decisioni politiche dell’Unione Europea.

Parliamo di Grenoble, di Berna, di Vienna, ma anche di importanti studi presenti in Italia: pensiamo alla società di meteorologia che fa capo a Luca Mercalli, o a Luca Lombroso.

La scienza, ovviamente, parte dalle cause che provocano i mutamenti climatici e non dagli effetti: non è mai accaduto sul nostro pianeta che in tempi tanto brevi si accumulasse in atmosfera una tale quantità di agenti modificatori del clima, cioè quelli che provocano l’effetto serra, in modo particolare la concentrazione di CO2. Non siamo quindi davanti ad una situazione di ordinaria evoluzione e riequilibrio climatico come accaduto più volte nei secoli e millenni scorsi, ma ad un evento per lo meno accelerato e gravemente amplificato negli effetti dall’agire umano.

Ovviamente si quantifica la proiezione statistica del cambiamento climatico e rimane ovunque dimostrato come gli effetti saranno accentuati e quindi causeranno situazioni di emergenza specialmente sulle zone montuose, in modo particolare sulle Alpi. Questi effetti vengono poi studiati, intrecciati fra loro con una lettura solistica. Citandone solo alcuni si accentuerà la riduzione dell’accessibilità alla risorsa idrica, si avrà fragilità e riduzione della fertilità dei suoli, l’accentuazione dei fenomeni estremi, sia siccitosi che di precipitazioni, emergenze idrogeologiche, caduta della biodiversità naturale, veloci mutamenti sociali dovuti alla crisi di alcune economie consolidate, specie nel settore turistico.

Da questi studi, condivisi ormai da tutto il mondo scientifico, emerge un dato preoccupante, a Folgaria taciuto: oggi una stazione invernale per sopravvivere deve avere a disposizione almeno fra i 92 e i 100 giorni utili all’innevamento artificiale. Per valutare i giorni utili non è sufficiente creare la base delle piste in tardo autunno: le piste, sempre più veloci, capaci di accogliere una massa enorme di passaggi giornalieri, si consumano e ogni notte devono essere reintegrate della neve consumata. Nell’attuale situazione di quantità di CO2 presente in atmosfera (senza quindi prevedere ulteriori aumenti), si calcola che ad una quota fra i 1500 ed i 1700 metri (le quote inferiori non vengono nemmeno più studiate) le giornate utili alla produzione dell’innevamento artificiale crolleranno in venticinque anni a circa 72- 75. Risulterà quindi improbabile poter sostenere a queste quote l’industria delle neve. Inoltre si devono aver presenti le giornate con tormenta o nebbie, certo non idonee alla sostenibilità della pratica dello sci alpino.

Altre indicazioni che provengono da queste università e dai convegni internazionali dovrebbero far rifletter tanti nostri sindaci e politici provinciali.

Il cambiamento climatico in atto non deve venire vissuto come un dramma. Se si ha la sensibilità e la cultura per accompagnarlo esso può divenire un’opportunità, specialmente per le aree oggi naturalmente e paesaggisticamente più integre. L’abitante delle pianure e delle città avrà sempre più bisogno di trovare spazi liberi, rilassamento, momenti di silenzio, ci sarà fame vera di natura e conoscenze dirette. Si apriranno spazi per nuovi lavori, nella ricerca, nella ristrutturazione e ricostruzione dei territori alpini, nella riqualificazione paesaggistica e quindi turistica, nella innovazione culturale. Le vallate alpine che si muoveranno per prime si troveranno avvantaggiate, mentre chi rimane fermo rischierà una marginalizzazione irrecuperabile, portando intere collettività in una crisi sociale ed economica di difficile soluzione. Questo è il rischio che corrono le località turistiche invernali italiane.

E intanto fuori piove e la neve sparisce.

La settorializzazione dell’argomento ha impedito anche altre valutazioni strettamente legate ai cambiamenti climatici.

Prima di stabilire che rimarranno comunque 104 giorni utili allo sci ci si sarebbe dovuti chiedere per quanto tempo le future precipitazioni nevose, o la produzione di neve artificiale, mantengono neve al suolo. In Appennino arrivano nevicate incredibili causa l’alto tasso di umidità presente e appunto temperature medie più elevate di quelle verificate sull’arco alpino. Gli sci-alpinisti, appena nevica in Appennino, corrono lungo la dorsale montana e per tre-quattro giorni trovano un paradiso di escursioni unico, straordinario. Poche volte i versanti rimangono agibili per una settimana, la neve scompare in fretta. E’ anche possibile, direi probabile, che l’aumento delle temperature medie porti sulle Alpi un certo aumento delle precipitazioni nevose. Ma dovremo pur chiederci quanto questa neve rimarrà al suolo. Infatti contemporaneamente al convegno che incensava la presenza della neve all’esterno, una fitta, violenta pioggia scioglieva in tutto il Trentino tonnellate di neve appena prodotta artificialmente, fino a quota 2000. Pochi giorni prima, in tutte le vallate turistiche trentine si era alzato un grido di liberazione: vittoria!, si gridava in tutte le valli, apriamo il 18, il 25 novembre, già 300 sciatori sul Bondone! Un grido subito soffocato.

E’ anche opportuno chiedersi quanto si sperperi in termini di risorsa idrica e di energia nel fare neve artificiale per vederla poi scomparire in soli due giorni, quale etica vi sia in questo comportamento. Ed è doveroso chiedersi se l’energia elettrica necessaria alla produzione di neve avrà costi compatibili con l’attività sciistica, vista la continua crescita dei costi della materia prima e quale compatibilità un tale uso venga ad avere con la lotta reale alla produzione di CO2.

Più che per i risultati sulla sciabilità del futuro, il convegno di Folgaria va studiato come esempio negativo della strategia dell’informazione: si settorializza e si tecnicizza al massimo un evento, si sposta il momento informativo (approfittando anche della debolezza del nostro giornalismo) all’obiettivo che si vuole raggiungere e lo si divulga utilizzando più fonti possibili: le istituzioni pubbliche, Comune e Provincia, la società impiantistica messa bene in prima linea come benefattrice della collettività, l’associazione degli albergatori, ancora convinta che il turismo lo si costruisca sulla ricaduta dell’industria della neve invece che investendo sulla qualità del servizio proposto (in quei giorni a Folgaria gran parte dei locali pubblici destinati al turismo erano chiusi), e un’Azienda di promozione turistica ancora ferma alla proposta degli anni ’80.

Lo sforzo è costato al Comune di Folgaria, solo con l’incarico al docente, 9.000 euro. Nel frattempo la Provincia Trento ha costituito un tavolo di lavoro, questo sì multidisciplinare, che sta valutando in modo complessivo gli effetti dei cambiamenti climatici sul nostro territorio. Durante l’estate il Comune di Moena aveva riflettuto con incontri efficaci le conseguenze del cambiamento climatico, a settembre a Saint Vincent CIPRA Internazionale aveva tenuto un convegno di altissimo profilo sulla situazione energetica nelle Alpi e il protocollo di Kyoto. La SAT, con una cifra inferiore, in occasione dell’ultimo suo congresso, intratteneva l’opinione pubblica provinciale con una settimana di approfondite analisi sull’insieme degli effetti dei cambiamenti climatici sulla montagna e nei riguardi dell’economia turistica. In contemporanea con l’iniziativa di Folgaria, il 23 e 24 novembre a Merano si teneva la Conferenza delle Parti degli Stati alpini e di CIPRA che discutevano appunto dell’emergenza dei cambiamenti climatici.

Era sufficiente inserirsi in uno di questi percorsi per riuscire ad offrire agli abitanti e agli imprenditori degli altipiani strumenti più utili ed efficaci per indirizzare il loro sviluppo e le scelte per il futuro. Una conferenza così costruita, a livello culturale, ma anche imprenditoriale, porta solo danni: incancrenisce situazioni di rancore e incomunicabilità, emerse e con contenuti preoccupanti durante il dibattito, specialmente sul fronte istituzionale e degli albergatori locali ed impoverisce il confronto culturale alimentando una banale semplificazione.

Il peggior nemico della montagna è il localismo, il progetto provinciale dell’attuale maggioranza, tanto esaltato nelle conclusioni del sindaco Olivi; ci si dovrebbe invece preoccupare della chiusura culturale che sembra si stia diffondendo nelle comunità trentine, grazie a scelte imprenditoriali e politiche irresponsabili.

La politica del futuro, anche in montagna, sulla questione energetica potrà a armio e della sobrietà. E con 17 milioni di euro, distribuiti su un progetto di cura e riconversione della gestione del territorio, negli altipiani si farebbe una rivoluzione, sociale ed imprenditoriale.

Questi milioni gettati invece nei denti degli scavatori che oggi sconvolgono la valle delle Lanze, o su Costa d’Agra, servono solo a ripianare i gravi deficit di alcune società sciistiche prive di una reale prospettiva di sviluppo e sostenibilità. E in poco tempo, come accaduto per Val Jumela, si scioglieranno assieme alla neve: non fra trent’anni, ma molto, molto prima.