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QT n. 22, 22 dicembre 2006 Cover story

Cultura alternativa cercasi

Il Centro Sociale alla ex-Zuffo: l’impegno per un posto di aggregazione tra i giovani, la tensione verso una nuova cultura, i rapporti con l’underground europeo, la sensibilità verso gli emarginati. E i rapporti con un’Amministrazione comunale che è un muro di gomma, generosa di vaghe promesse, avarissima nel mantenerle. Siamo alle solite? Gli adulti che danno il cattivo esempio?

La casetta sotto il viadotto è gradevolmente eccentrica: ricoperta di stravaganti murales, ispira contemporaneamente estraneità e simpatia. Entriamo: il bar è in stile metropolitano, semibuio, atmosfera raccolta, un’intera parete ricoperta di foto di personaggi icona del ‘900; con la ragazza dietro il bancone inizio il giochino di quanti ne riconosco. Poi la sala riunioni, relativamente piccola (“Stiamo ancora lavorando per recuperare uno spazio più grande”) e scalcinata: una decina i relatori, età media over sessanta, che si rivolgono a una trentina di persone, di età varia, dai ventenni ai sessantenni; tema, “Autoktoni”, ossia l’identità e l’economia territoriale nel mondo globalizzato, argomento vasto, troppo vasto e i relatori, da Mario Poyer a don Cristelli, a Walter Micheli, spaziando dallo slow food alle rievocazioni del ’68, vi si perdono; ma in fondo è secondario, quel che conta è il clima, la voglia di confronto e di conoscenza che si respira tutt’intorno.

Ecco, questa è la ex-Zuffo occupata, il “frutto dell’illegalità” che preoccupa il sindaco e solleva, in Consiglio comunale, lo sdegno della destra. Sono i giovani dell’abbozzato Centro Sociale di Trento, più volte messo in piedi e mai compiutamente realizzato; all’inizio preoccupavano i benpensanti, ma ora non più, si è visto che danni non ne fanno e ci si è abituati; comunque infastidiscono, o sono guardati con sufficienza. Siamo andati a vedere di persona e cercare di capire.

L’esperienza nasce nell’estate di quattro anni fa, anche allora con l’occupazione dell’ex-Zuffo (vedi Utopisti o fannulloni?). La cosa appare clamorosa, ci si straccia le vesti per l’”illegalità”. La palazzina, in disuso, allora era di proprietà di privati, i quali però non protestano più di tanto, quello stabile sotto il viadotto non dà reddito, e anzi, se il comune subentrasse... Il sindaco Pacher suggerisce: “Prima mettetevi nella legalità, poi vedremo, valuteremo un percorso…”. L’occupazione attira interesse, i giovani realizzano concerti e dibattiti; alla fine li si sgombera in nome della “legalità”.

Non molto tempo dopo i giovani affittano una sede in via Roma: “Tana liberatutti” viene chiamata, ed è sede di riunioni, dibattiti, cineforum, performance teatrali (vedi Programmazione Ci.Cu.Ta.). A volte si occupa, previo permesso, anche la via (siamo in zona ZTL), con alcune mostre all’aperto, o con cene per strada, come a Siena nei giorni del Palio. Sono iniziative simpatiche, ma è chiaro che in un locale di modeste dimensioni, in pieno centro storico, tutta una serie di iniziative sono precluse, a cominciare da quelle musicali.

Infine a febbraio l’occupazione della Palazzina Liberty in via Alfieri. Rivendicandone l’utilizzo in nome dei “diritti dei migranti”, della sistemazione dei senza dimora, come punto di riferimento per gli emarginati e al contempo polo positivo ed antidoto al degrado notturno dei contigui giardini di piazza Dante (Palazzina Liberty:
i giovani, la città, gli emarginati). E’ l’iniziativa più dirompente: la serrata critica alla politica sociale del Comune non viene accettata; e soprattutto per la Palazzina sono già previste ben altre destinazioni, “di prestigio” e comunque non campate per aria: una grande, raffinata gelateria con terrazza sui giardini.

Dopo una serie convulsa di trattative, impegni del Comune (su cui ritorneremo), minacce di sgombero manu militari, i giovani spiazzano tutti: durante la notte evacuano la Palazzina, che alla mattina la città trova libera, pulita come uno specchio (era in disuso, piena di calcinacci) i gradini d’ingresso cosparsi di rose. Il Comune risponde murandone tutti gli accessi.

E così si arriva all’odierna rioccupazione della Zuffo. Che nel frattempo è passata al Comune: è una bicocca, sotto un viadotto, in mezzo a un mega parcheggio di attestamento. Utilizzazioni possibili? Nessuna, se non la demolizione e il riuso dell’area per parcheggiare altre macchine, una decina, in un posto già dotato di centinaia di stalli. Insomma, la destinazione a sede per i giovani sembrerebbe ragionevole, anzi logica.

E forse doverosa, dopo tutte le promesse mai onorate. Ma di questo parliamo dopo.

Approfondiamo invece l’attività del Centro Sociale, battezzato Bruno, in nome dell’orso trentino abbattuto quest’estate in Baviera.

“Siamo entrati il 10 ottobre e abbiamo iniziato i lavori per rendere la palazzina agibile – ci dicono Donatello Baldo, Federico Zappini e Marco Guerini – Ed è subito stato bello, una gara di solidarietà: la maggioranza di quelli che ci hanno aiutato, li abbiamo conosciuti per caso. L’elettricista, il falegname, il molatore, erano qui a parcheggiare la macchina, ci vedevano al lavoro, e ci chiedevano ‘Ragazzi, che c’è da fare?’ e tornavano a darci una mano. Così gli unici costi sono stati le attrezzature e le materie prime”.

Come va con i soldi?

“Siamo sotto di 1.500 euro. Le spese che più ci pesano sono quelle irrazionali. Abbiamo chiesto alla Trenta l’allaccio per l’elettricità e l’acqua; ma occorre un’autorizzazione del Comune, che ce l’ha negata. Allora ci arrangiamo con taniche d’acqua e con un generatore elettrico, che però ci affittano a 500 euro al mese. E i cessi Toi Toi sono altri 300. Sia chiaro, noi non abbiamo chiesto niente di gratuito, solo la possibilità di allacciarci e pagare le bollette”.

Il Comune non vuole riconoscervi, la vostra occupazione è un atto illegale...

“Appunto. Ritorniamo al 2002 e alla prima occupazione di questo edificio. Allora Pacher ci disse: uscite dall’illegalità e affrontiamo il problema. Non è sortito niente. Allora abbiamo preso in affitto da un privato la Tana in via Roma: 670 euro al mese più le spese. Senza alcun contributo pubblico, nonostante qualcuno abbia sostenuto il contrario (l’associazione una volta ha preso, è vero, 3.500 euro, ma in quanto organizzatori del controvertice al G8 di Riva del 2003, manifestazione agevolata dagli enti pubblici). In realtà il Comune non ha mai riconosciuto l’attività della Tana: non un aiuto, non un euro. E ci sono stati più di cento concerti, decine di presentazioni di libri, mostre, film, sono state 600 le persone che ci hanno lasciato la loro mail per essere informati degli appuntamenti...

Insomma, uno spazio vero di cultura, non si capisce perché l’amministrazione non abbia mai voluto riconoscerlo”.

Poi l’occupazione della Palazzina Liberty, legata al problema della marginalità.

“Che ci siano i senzatetto lo abbiamo imparato alla Tana. Venivano lì a dormire, a cercare un posto caldo. E’ stato un nostro momento di maturazione: dalle manifestazioni contro la guerra, un po’ generiche, ci siamo trovati a impattare con concretissimi problemi, drammi sociali, di cui non avevamo conoscenza. Di qui la nostra battaglia perché fossero aperti altri dormitori, e qualcosa lo abbiamo ottenuto: hanno aumentato i posti letto, i giorni di apertura e altre cose”.

Insomma, il Comune non è sempre sordo?

“Non capiamo se certe cose le fa perché ci crede, o perchè ci siamo noi che rompiamo. Di sicuro non ci ringrazierà mai per aver sollevato problemi che poi magari riconosce reali”.

C’è chi insinua che con gli emarginati vogliate fare business.

“L’anno scorso i senza tetto che rimanevano fuori dai dormitori, li portavamo all’ostello, pagando noi i 17 euro di pernottamento. Noi non vogliamo diventare operatori sociali, abbiamo invece lavorato, e con piacere, assieme agli operatori di associazioni come la Caritas, di cui riconosciamo professionalità e senso di responsabilità. Il discorso del business ci fa ridere: il nostro tornaconto è vedere le cose cambiare, migliorare; nel Trentino della ‘magnadora’, dove chiunque si intesti un’associazione ha diritto al contributo, le accuse di vantaggi monetari rivolte proprio a noi sono un’idiozia”.

Ritorniamo alla Palazzina Liberty. Voi avete sgomberato a precise condizioni.

“Abbiamo sottoscritto, noi e l’assessore Plotegher, un accordo, che prevedeva due punti: da parte nostra la disoccupazione, da parte del Comune la ricerca di una sistemazione per permettere lo sviluppo del nostro progetto dell’Ambasciata dei Popoli. Noi abbiamo onorato il nostro impegno, il Comune no. C’erano quattro garanti dell’accordo, il direttore di Vita Trentina Ivan Maffeis, il Difensore Civico Donata Borgonovo Re, l’on. Sandro Schmid, il sindacalista Antonio Rapanà. Anche loro hanno convenuto, per iscritto, che l’Amministrazione non ha onorato il patto”.

Dibattito alla ex-Zuffo. Da sinistra: Mario Pojer, Stefano Bleggi, Walter Nicoletti, Paolo Tonelli, Walter Micheli, Vittorio Cristelli.

Ed eccovi tornare alla Zuffo.

“Abbiamo deciso l’occupazione anche perché la Tana era ormai inadeguata e cara. La nostra è un’associazione viva, partecipata: non chiediamo soldi, siamo disposti a pagare un affitto, se è questo che il Comune vuole. Noi vorremmo che l’Amministrazione riconoscesse la nostra esistenza”.

E per quali attività? Come sono andati questi primi due mesi?

“Abbiamo a disposizione spazi notevolmente più ampi della Tana: il che ha subito favorito una socialità più ampia. La gente viene la sera per ritrovarsi, per ascoltare un concerto, e il giorno dopo torna per darci una mano con i lavori. Abbiamo lanciato, in opposizione alle happy hour della birra pessima a prezzi stracciati, la sad hour (“ora triste”, n.d.r.): si paga una birra decente e in più si lascia un contributo per il progetto”.

Che politica dei prezzi e che politica culturale fate?

“Per i concerti si pagano biglietti simbolici, da 2 a 5 euro. E i Dj che vengono qui si accontentano di un rimborso spese, perché la loro cultura è nata nei Centri Sociali. A Trento questa nuova musica non c’è da nessun’altra parte...”.

C’è stata l’esperienza dell’Angie Pub.

“Che ora è un ristorante. E l’anima dell’Angie, Franz, lavora con noi.

E’ un discorso artistico che cresce nel confronto con la creatività degli altri Centri Sociali italiani ed europei. Oggi buona parte dell’underground europeo nasce nei Centri Sociali, e anche quello che nasce altrove, per i Centri poi ci passa: perchè qui trovano l’humus. Quanto al teatro, non siamo ancora attrezzati, ma lo saremo a breve. E sempre con spettacoli a prezzi molto bassi o gratis, pur pagando il gruppo, con i guadagni dalle consumazioni”.

Quali le età coinvolte? Anche voi in definitiva non siete più dei ragazzini.

“Eh sì. E difatti intendiamo spaziare anche nelle età: ieri al concerto reggae avevamo i teen agers, oggi al dibattito i sessantenni. E va bene così, questo vogliamo”.