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QT n. 12, 17 giugno 2006 Monitor

Cinema e fumetto: che delusione!

Al Mart una mostra sul rapporto (a dire il vero quasi sempre poco felice) del cinema con il fumetto: ma gli oggetti in mostra sono di scarso interesse, e le lacune molte. Un'esposizione non all'altezza del Museo.

La mostra in corso al Mart fino al prossimo 17 settembre ha l’ambiziosa intenzione di indagare i complessi e non sempre felici rapporti tra cinema e fumetto, ovvero su come i più noti personaggi dei comics siano stati declinati sul grande schermo.

Fumetto e cinema, dunque, due media abbastanza giovani, l’uno sorto nel 1895 con le sperimentazioni dei fratelli Lumière, l’altro comparso in via ufficiosa nel 1896, sulle pagine del quotidiano New York World con le avventure di "The Yellow Kid" disegnate da Richard Felton Outcault. Due mezzi che, in quanto tali, hanno le loro peculiarità, i loro ritmi, i loro sottili linguaggi, e la loro unione, al di là di qualche sparuto caso, ha raramente avuto un carattere di originalità e/o artisticità. Certo, a livello commerciale la cosa può portare a risultati brillanti; ma in questo caso la trasposizione cinematografica di un personaggio dei comics funge per lo più da spot al merchandising (abbigliamento, giocattoli, eccetera) che tali eventi copiosamente producono. Le derive di tale fenomeno sono i pietosi film, o peggio ancora serie televisive desunte dal merchandising stesso, come i 155 episodi del telefilm "Power Rangers" aventi come protagonisti gli omonimi giocattoli-robot, trasmessi tra 1993 e 1996 dall’americana ABC e successivamente giunti anche in Italia. Così, nei casi presi in analisi della mostra, mentre Asterix, Tex e Braccio di Ferro hanno segnato la storia del fumetto, la loro versione cinematografica non ha fatto altrettanto nella storia del cinema, dimostrando una volta in più la goffaggine di un medium che vuole imitare la peculiarità di un altro. L’imbarazzo di certe trasposizioni cinematografiche dei personaggi più pop del mondo dei fumetti è lo stesso, mutatis mutandis, che si prova di fronte a una fotografia ottocentesca che ripropone pari pari una scena storica o un convivio desunti da celebri dipinti.

Assai riusciti, al contrario, le trasposizioni che hanno saputo puntare sulla specificità del linguaggio cinematografico, non facendo diventare così i protagonisti parodie di loro stessi. E’ questo il caso del "Batman" di Tim Burton, avvincente e sicuramente ben riuscito, così come – un caso italiano - di "Zanardi", film di Renato de Maria che assembla –e quindi anche in questo caso non traduce alla lettera- alcuni dei surreali personaggi di Andrea Pazienza.

La mostra - preconfezionata, itinerante, co-prodotta dal gruppo Sky - non è decisamente il massimo che ci si poteva aspettare da un evento targato Mart. Le uniche opere originali, cioè le tavole poi trasformate in fumetti, non sono certo molte e, per il loro carattere di abbozzo in bianco e nero, mal si prestano ad essere esposte. Hanno insomma più che altro un interesse feticistico per i collezionisti del genere, al pari di taluni oggetti esposti, come il costume di Superman.

Poco cambia se passiamo ai prodotti di massa che costituiscono il cuore della mostra: fumetti e manifesti cinematografici. Fatichiamo, insomma, a condividere le parole del comunicato con cui l’evento è stato presentato: "Sono soprattutto i grandi e multicolori (!) manifesti a conferire un valore di assoluta originalità...". Alcuni - i distinguo sono necessari - appaiono indubbiamente pregevoli opere grafiche non certo facili a vedersi, come i manifesti anteguerra o quelli dei primi anni Cinquanta, e lo stesso vale per alcuni fumetti, come nel caso di Arcibaldo e Petronilla. I tre quarti della mostra sono però scanditi da fumetti e manifesti la cui musealizzazione è questa sì fumettistica, essendo tali oggetti facilmente acquistabili per pochi spiccioli nei negozi dell’usato o nei mercatini domenicali. E, per quanto riguarda il sopraddetto feticismo del collezionista, nemmeno questo può qui esser appagato, data la penuria di fatidici "numeri 1".

Assai ampio sarebbe poi il discorso sulla scelta dei personaggi presentati. Completamente eclissato è ad esempio il discorso sul rapporto fumetto-cartone animato, tutt’altro che marginale in una mostra sottotitolata "I personaggi dei comics sul grande schermo". Parimenti ignorato è poi il discorso extra-occidentale, sicuramente di più difficile analisi ma non meno importante, visto che la produzione cinematografica di paesi come l’India supera ormai quella dei colossi americani. E dire che a parlarne era stato già oltre un trentennio fa un acuto osservatore del mezzo come Umberto Eco, in una pubblicazione dedicata al fumetto cinese (I fumetti di Mao, a cura di Jean Chesneaux, Umberto Eco e Gino Nebiolo, Laterza, 1971). Ma, anche a rimanere sul piano occidentale, contemporaneo e dei fumetti di massa, le lacune sono clamorose. Il caso più evidente è l’assenza di Dylan Dog e della sua riuscita trasposizione cinematografica, "Dellamorte Dellamore" (1994), regia di Michele Soavi, con un protagonista d’eccezione, Rupert Everett. E dire che digitando le parole "cinema e fumetto" nel più importante motore di ricerca la prima voce non è una scheda sulla mostra del Mart, ma una tesi dedicata proprio a Dylan Dog e al suo film!

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