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La grotta dell’orrore

La faccia oscura del potere prima o poi viene alla luce e mostra eventi terrificanti. Ho letto con stupore e sgomento l’articolo di Paolo Rumiz su Repubblica del 22 maggio, relativo ad un massacro compiuto dalla truppe italiane e dagli ascari in Etiopia tra il 9 e 1’11 aprile 1939, tre anni dopo che la guerra d’Abissinia era finita, mentre continuava una sporadica resistenza. Le notizie sono ricavate da una ricerca compiuta dal dott. Matteo Dominioni ricercatore presso l’Università di Torino, che non si è limitato a studiare e raccogliere i documenti dell’ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito ma ha cercato altre prove (non necessarie) sul terreno recandosi in Etiopia, individuando la zona del massacro sulla base di una mappa dell’esercito italiano contenuta in archivio insieme ai documenti dell’epoca. Ha ritrovato la grotta dell’orrore, l' ha ispezionata, ha parlato con la gente del luogo, ha raccolto e incrociato numerosi racconti confrontandoli con i documenti italiani.

L’agghiacciante vicenda è la seguente. Dopo tre anni dalla entrata in Addis Abeba del gen. Badoglio alla testa delle truppe italiane e dalla proclamazione dell’Impero, migliaia di militari e guerriglieri etiopi resistono all’invasione straniera in varie zone del paese. Un gruppo consistente si trova a 100 chilometri dalla capitale nella zona di Debra Behan. Un migliaio di loro si è rifugiato in una vasta grotta a forma di foiba: non possono uscire perché circondati da forze soverchianti e sorvegliati dall’alto dall’aviazione italiana. Nonostante la situazione sia disperata, non si arrendono.

Per stanarli il comando supremo, su indicazione di Mussolini, ordina l’uso di bombe a gas e di iprite. Raccontano i figli e i nipoti di chi vide, che gli Italiani calarono nella grotta pesanti bidoni che poi furono fatti esplodere: erano pieni di iprite, che corrode la pelle e brucia le pupille. A quel punto, era l’alba dell’11 aprile 1939, mille superstiti escono dalla grotta, si arrendono e vengono immediatamente fucilati (così risulta dai documenti dello Stato Maggiore italiano), in grave violazione della Convenzione di Ginevra.

Il generale Pietro Badoglio.

Non è finita. Il Comando chiede di poter "bonificare" la grotta dove si presume vi siano altri resistenti. Così avviene: gli ultimi trovati vengono bruciati vivi e buttati nella foiba che si trova in fondo alla grotta.

Scrive Paolo Rumiz: "Peggio di Marzabotto, perché non fu una rappresaglia. Peggio di Srebrenica, perchè morirono anche vecchi donne e bambini". E ancora: "No, il camerata Kappler non fu peggio di noi. Il governatore di Gondar, Alessandro Pirzio Biroli fece buttare i capi tribù nel lago Tana con un masso legato al collo. Achille Starace ammazzava di persona i prigionieri, e poiché non soffrivano abbastanza, prima li feriva con un colpo ai testicoli. Fu quella la nostra missione civilizzatrice?"

Molti nostri combattenti in Africa orientale cantavano "Faccetta nera" e non sapevano quale fine facessero molte di quelle faccette nere. L’ignoranza porta all’inferno o, che è lo stesso, a Birkenau o ad Auschwitz.

Non voglio aggiungere altro, ma due domande sì: chi ha inventato prima "l’infoibamento", i titini o le camicie nere ? Quando l’Italia chiederà scusa all’Etiopia e risarcirà agli eredi i danni dell’infamia ?

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