Francesco Arcangeli, arte e vita
Alla Loggetta Lombardesca di Ravenna, fino al 23 luglio, 130 opere di straordinari artisti amati dal critico bolognese.
"Andare fino all’estremo di se stessi": bastano queste parole di Nicolas De Stael ad introdurre la bellissima mostra ravennate dedicata al grande critico bolognese Francesco Arcangeli, tutta giocata sul respiro profondo della sua sensibilità, mutuata dall’ottimo curatore nonché allievo Claudio Spadoni.
Quest’ultimo, con un enorme lavoro di archivio e con didascalie che troviamo in ogni sala, è riuscito a restituirci il sapore di una scoperta o di una inedita chiave di interpretazione coraggiosamente cercata fuori dal coro e proposta da Arcangeli in saggi esemplari.
E’ la parola "natura" che lega gli artisti dell’Informale padano (lombardo e bolognese) al momento genetico del Romanticismo, natura il cui significato "include tutto l’irrazionale degli elementi del cuore. Il momento in cui l’artista, invaso da un’intensa febbre psichica, investe di questa sua temperatura il mondo del rappresentabile, e radicalmente la riforma entro la sua interiorità, quel momento è tipicamente romantico."
Per Arcangeli il Romanticismo non parte quindi dai tedeschi, come la critica storiografica accademica ha sempre decretato, ma dagli inglesi come Constable per il quale "paesaggio non è altro che una parola per dire sentimento", come Turner sopra tutti.
Nel primo acquerello, che riproduce l’abside della St. Anselm’s Chapel, Turner tratta la materia come un gioiello nei giochi di luce che seguono una craquelure, ma nel secondo intolato "Sunset" del 1845 dalle ridotte misure (mm. 229x292) si scopre "l’immensità dell’universo... sfonda le vicinanze estreme del primo piano in una lontananza infinita". E poi, oltremanica, Courbet in primissimo piano, che nel 1855 pone come suo imperativo categorico "de faire de l’art vivant" e che Arcangeli definisce primo "peintre de la vie moderne", parafrasando Baudelaire, perché "dipingere la realtà d’ogni giorno... è un fatto umanamente profondo... cupa prefazione del primo soleggiato naturalismo monettiano, padre ideale della pienezza cosmica di Cézanne".
Ecco allora apparire l’accetta della critica che pota, taglia l’inservibile o l’asservito e restituisce senza bisogno del DNA le paternità ai veri protagonisti della rivoluzione della luce o della torbida materia, dove quel "proto"acquista il più puro valore semantico.
Anticlassicismo, vibrazione del colore con risonanze del cuore, buio primigenio, "visioni occulte" (a proposito di straordinarie opere di Klee): questo è un breve campionario di parole chiave dell’Arcangeli-pensiero. A ciò si aggiunga l’amore sviscerato per la provincia che, seppur provincia, quando punta al cuore delle cose, è provincia del mondo e porta inevitabilmente con sé la coscienza dell’esser-ci come messa in gioco (sempre pericolosa) delle proprie possibilità e dei differenti modi dello stare. Seguendo questa strada si corre il rischio di vedere, magari per un attimo, la "verità" fuori e lontano dalle diatribe del potere (Morandi in testa) o di incontrare "terribilità morali" (a proposito di artisti informali come Dubuffet, Wols, Fautrier), cioè figure che avevano intrecciato indissolubilmente arte ed esistenza, ai quali seguirà la generazione degli "ultimi naturalisti" come Morlotti, Bendini, Vacchi, Moreni, Romiti In mezzo i grandi Soutine, Segantini, Permeke seguiti dagli americani Pollock e Kline.
Il catalogo è davvero prezioso.