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QT n. 4, 22 febbraio 2003 Servizi

Gli ultimi anni della nostra vita

Come avviene, in una RSA, l’invecchiamento dei vecchi.

Una delle questioni centrali che si pone all’interno delle cosiddette società progredite è rappresentato dal progressivo invecchiamento della popolazione. Alcuni dati riferiti alla città di Trento sono particolarmente significativi: nel 1990 gli ultrasessantacinquenni erano 15.554, nel 1999 risultavano pari a 18.748 con un incremento di quasi il 3%; la previsione indica che nel 2005 gli anziani saranno 21.144 e nel 2010 ben 23.252, per raggiungere il numero di 34.827 unità nel 2030 pari a circa il 30% della popolazione residente in città.

Questo trend per alcuni versi invece che rappresentare un fatto positivo, una conquista sociale, come in effetti dovrebbe essere l’allungamento delle aspettative di vita e la diminuzione della mortalità precoce, sta diventando una specie di tragedia collettiva per la incapacità delle istituzioni di tener conto, di stare al passo con questo importante mutamento demografico organizzando risposte adeguate. Ma l’aspetto più significativo rispetto ai servizi residenziali non è tanto rappresentato dall’aumento dei 65enni quanto dall’aumento "dell’invecchiamento dei vecchi", cioè dall’aumento degli ultra 75enni e 80enni.

Le statistiche confermano infatti che si è sensibilmente allungata la vita media, ma non è diminuito il periodo medio che si passa come disabili gravi, con l’ulteriore complicanza che assistere un anziano non autosufficiente di 90 anni anziché di 60 anni non è la stessa cosa né dal punto di vista biologico, né da quello sociale.

La qualità dei bisogni sanitari conseguentemente si sta fortemente modificando, tanto che emergono sempre più problematiche nuove con risvolti organizzativi e gestionali per le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) di forte impatto quali:

- Le malattie cronico-degenerative, età-dipendenti rappresentano la parte prevalente dell’attività di cura dei medici. Le prime tre cause di morte sono infatti le malattie cardiovascolari, i tumori e le malattie cerebrovascolari, con l’aggiunta, per le persone anziane, delle demenze.

- I farmaci e le cure chirurgiche hanno una capacità limitata di risoluzione delle patologie croniche legate all’età.

- Le persone tendono ad ammalarsi in età avanzata di più malattie contemporaneamente.

- La disabilità si accompagna sempre più spesso ad un’alta instabilità clinica e quasi sempre non dipende da un’unica condizione che l’ha provocata, ma da un insieme di piccoli o grandi danni funzionali o strutturali, che singolarmente non sarebbero in grado di togliere l’autonomia, ma che insieme determinano la non autosufficienza.

- Alla disabilità fisica spesso si associa quella psichica come conseguenza dell’edemia esplosiva delle demenze senili (nelle RSA tali patologie rappresentano percentuali molto alte circa il 50%).

L'universo della non autosufficienza, pur nella sua molteplicità di forme e gradualità, può essere suddiviso in due grandi tipologie: le forme cronico degenerative e le forme di demenza senile.

La prima tipologia comprende soggetti colpiti da sindromi con andamento cronico-degenerativo non guaribili (osteo-artropatie degeneranti, morbo di Parkinson, arteriosclerosi generalizzata, vascolopatie di tutti i distretti arteriosi, distrofia muscolare, paraplegia da spina bifida, sclerosi a placche, ecc.) o da eventi morbosi (esiti di ictus celebrale) che richiedono comunque attività terapeutica, riabilitativa e assistenziale continua, allo scopo di prevenire le conseguenze negative connesse alla immobilità e di limitare i ricoveri in ambiente ospedaliero.

La seconda tipologia comprende soggetti colpiti da forme di demenza senile grave e difficilmente reversibile di deterioramento mentale, non necessariamente collegato ad altre compromissioni funzionali, anzi spesso associato ad una accentuata ipermobilità relativa e iperattività notturna.

Quando l’anziano non autosufficiente entra in RSA con tali patologie, spesso è per rimanervi indefinitivamente fino alla morte. Questo "passaggio", che avviene con sempre maggior frequenza dopo una fase acuta della malattia trascorsa in ospedale, impone un approccio alle problematiche della persona completamente diversa non solo sotto l’aspetto medico, ma soprattutto sotto quello delle relazioni sociali, o meglio delle relazioni interpersonali fra operatori della struttura residenziale, ospite e famigliari. Dalla fase di ingresso in Rsa, momento particolarmente delicato, alla definizione del piano di assistenza individualizzato, all’inserimento nella vita interna dell’istituzione, viene data particolare rilevanza agli aspetti relazionali, proprio per garantire oltre alle cure mediche necessarie quella qualità di vita possibile rispetto alla malattia presente.

La differenza sostanziale di approccio alle problematiche dell’anziano non autosufficiente fra RSA ed ospedale sta proprio nell’impostazione di fondo, che non è solo legata al superamento di una fase acuta della malattia ed alla conseguente dimissione, ma al "prendersi in carico" la persona nella sua globalità di storia vissuta e di rapporti famigliari e di ambiente di vita. Non a caso la pratica dell’esame in équipe, in cui partecipano varie figure professionali, dal medico all’infermiera, alla fisioterapista, all’animatore, all’operatore di assistenza, di tutte le fasi legate al piano assistenziale dell’anziano ospite, ai suoi miglioramenti o peggioramenti, consentono, attraverso verifiche periodiche, di meglio "calibrare" le risposte ai bisogni sanitari e sociali dell’individuo.

Nel tempo (la permanenza media dell’anziano nelle RSA dall’ingresso alla morte supera ormai i 5 anni) si stabilisce così fra personale e ospite un rapporto umano ricco di sfaccettature e tale da favorire una migliore percezione dei bisogni, delle necessità complessive della persona, garantendogli conseguentemente risposte più in sintonia con i "desiderata".

In questo contesto l’approccio rispetto alle questioni etico-morali poste dalla cronicità e irreversibilità di alcune patologie "facilita" in qualche modo la condivisione di quanto stabilito dall’art. 37 del Codice di Deontologia Medica: "In caso di malattia a prognosi sicuramente infausta o pervenute alla fase terminale, il medico deve limitare la sua opera all’assistenza morale e alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze, fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità della vita."

Su questo fronte va anche precisato che le RSA non dispongono di attrezzature sanitarie specialistiche e intensive (apparati rianimativi) e quindi per loro natura limitano gli interventi curativi all’interno di un ambito che non può essere quello delle acuzie-emergenze. L’obiettivo sostanzialmente è quello di fornire cure e assistenza mirate alle condizioni critiche patologiche del singolo ospite nel rispetto dell’autonomia decisionale dell’anziano e in un ottica di qualità di vita residua.

Per quanto a mia conoscenza, non esistono a tutt’oggi all’interno delle RSA "protocolli" specifici che stabiliscano in cosa e come si estrinsechi "l’autonomia decisionale del paziente" come enunciato nell’art. 34 del CDM: "Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non può non tenere conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso". Permane invece, per le ragioni precedentemente esposte di particolare "vicinanza" fra paziente-ospite, familiari e organizzazione socio-sanitaria della RSA, una attenta fase di ascolto delle volontà espresse dall’ospite se lucido o dai suoi familiari rispetto alle azioni possibili nella fase terminale. Non ritengo conseguentemente ipotizzabili all’interno delle RSA fenomeni di accanimento terapeutico come pratica di negazione delle valenze della persona, rispetto alla presunta "potenza" dell’intervento farmacologico e/o strumentale.

Certo che le patologie sempre più presenti all’interno delle RSA richiederanno a breve una riflessione su come si potrà meglio garantire la volontà della persona in un momento della sua vita particolarmente difficile e come tale degno della massima attenzione e rispetto da parte di tutti.

Renzo Dori è presidente della RSA "Margherita Grazioli" di Povo.