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Per chi suona la campana

Lo strazio della guerra rappresentato al cinema: attraverso la musica.

C onfesso che non mi riconosco in certe posizioni ultrapacifiste a tutti i costi. Indipendentemente da questa guerra (che stento a capire), penso che prima di proclamare la propria avversione totale a qualsiasi atto bellico bisognerebbe magari calarsi nei panni di chi ha vissuto nel 1936 in Spagna, nel ‘44 in Italia, nel ‘60 a Cuba, nel ‘94 a Sarajevo… Forse immedesimandoci in certe realtà comprenderemmo meglio che possono esserci situazioni in cui quando la campana suona non si può far finta di niente. E’ comunque una campana tragica, dai rintocchi cupi e misurati, che scandisce il silenzio senza ansia, senza convulsione: perché il lutto e la disperazione si commentano con pochi suoni, suoni freddi e profondi che ritmicamente e implacabilmente squarciano il silenzio. Quando penso alla guerra mi vengono in mente tre scene di tre distinti film. Si tratta di film molto distanti tra loro: per trama, produzione, attori, epoca storica... Tutti e tre però trattano di guerra e possiedono un potente sottofondo musicale.

La pietà di Ringo ne "Il buono il brutto il cattivo". Clint Eastwood si avvicina al soldato sudista agonizzante, gli offre le ultime boccate della sua cicca... Il soldato trema e lui, duro pistolero e bounty killer, lo copre col suo poncho e lo veglia mentre muore. Sotto, la musica di Morricone accenna un tema cantilenante, largo, niente affatto drammatico ma sottilmente triste...

Il Marine che si inginocchia in "Platoon". In mezzo alla merda del Vietnam, tra lo sconquasso di uomini e idee, nel pieno di un attacco di artiglierie e bombardieri, il soldato non ne può più, si arrende e si prostra, non al nemico, ma a quella terribile divinità che lo ha voluto lì, in quell’inferno inspiegabile. La scena è nota, emblematica, ed è divenuta un’icona cinematografica, ma deve molto, moltissimo alla musica: l’adagio di Barber, che si dispiega su una melodia lievemente malinconica, in una sequenza quasi minimalista e si protrae inesorabile nel suo girare intorno a pochi accordi, senza impennate in accenti patetici... E’ una melodia che gira, gira, apparentemente senza meta; tu all’inizio le dai poco bado e lei intanto scava sempre più in profondo, si avvita e si insinua in te, fino a farti crepare.

"Savior". La mamma, per sal-vare il suo neonato, si mette a cantare una ninna nanna davanti a un plotone serbo-bosniaco addetto alla pulizia etnica. Cantando sacrifica se stessa per far sopravvivere il figlio. E’ la scena più straziante che abbia mai visto rappresentata sullo schermo. Anche in questo caso gran parte della sua straordinaria potenza è fornita dalla musica, uno stornello popolare, con vaghe connotazioni orientali. Una nenia senza accompagnamento, serena e calma, perchè in fondo serve a far addormentare i bambini. E in quella occasione è un canto che riesce a parlarci insieme di vita, di amore e di morte.

In tutti e tre i film la massima efficacia di penetrazione delle scene nelle nostre coscienze è condizionata dalla musica. Paradossalmente (ma non troppo) il coinvolgimento emotivo che produce non si deve a stilemi drammatici, patetici e romanticheggianti. Tutt’altro: il miglior commento sonoro agli eventi più intrisi di disperazione risulta essere misurato e freddo, di forma definita, razionale e ciclica, che nel suo lento reiterarsi evoca il don-don di quella fottuta campana che cadenza la tragedia di ogni guerra.

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