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Fede e ragione: siamo fermi a S. Tommaso

A proposito dell’ultima enciclica di Papa Wojtyla.

L'articolo del filosofo Umberto Curi, sull’ultima enciclica del Papa "Fides et ratio" suscita qualche perplessità. Condivido il giudizio positivo sulla serietà del documento e sulla apertura verso orizzonti culturali diversi, anche extraeuropei, come le filosofie orientali. Di grande rilievo è anche l’energico richiamo allo studio, rivolto - come scrive il prof. Curi - non solo ai teologi e ai giovani seminaristi, ma anche ai preti quali pastori di anime e ai fedeli per superare il livello catechistico (la verità in pillole) e ristabilire così un contatto vero fra la cultura della Chiesa e quella del mondo moderno. A tale fine il Papa esorta ad affrontare con rigore e impegno l’analisi della filosofia greca, di quella medievale e delle diverse tendenze del pensiero contemporaneo. Sotto questo profilo ci sono delle novità positive nel documento, che tuttavia non mi sentirei di definire, come invece fa l’amico Curi, "di grande respiro teorico" e neppure "il punto più alto e impegnativo" di tutto il pontificato del Papa polacco.

A mio giudizio Karol Wojtyla, per il quale provo sincera ammirazione e stima, è stato ed è un grande Papa, perché ha tentato con intelligenza e determinazione, ed è in parte riuscito, a liberare la Chiesa dai vincoli che la legavano, forse suo malgrado, a una certa struttura economica e a un certo tipo di società, quasi fosse il bastione a difesa della civiltà occidentale, identificata nel capitalismo. Anche nei momenti di più dura lotta contro il comunismo ateo ed il "socialismo reale", il Papa non ha mai dimenticato di combattere sull’altro fronte. Ora, dopo la caduta del muro e dell’impero sovietico, è cresciuto il suo impegno a difendere l’uomo e la sua dignità contro i soprusi e gli orrori della mercificazione globale.

Al centro della sua predicazione e della sua azione Papa Wojtyla ha sempre messo l’uomo come persona, la cui dignità nessuna struttura economica e nessun regime politico devono umiliare. In questo, a mio parere, sta la sua personale grandezza e la grandezza del messaggio che instancabilmente rivolge al mondo. Non mi pare invece che vi sia alcuna innovazione nell’enciclica "Fides et ratio". Sono pronto a ricredermi, ma ne sarei sorpreso conoscendo il conservatorismo teorico di Papa Wojtyla e i naturali confini della teologia cattolica.

Qualcuno ha scritto ironicamente che l’enciclica avrebbe potuto intitolarsi "Aut fides aut ratio" (o fede o ragione). Secondo Umberto Curi invece l’incipit dell’enciclica va preso sul serio: "La fede e la ragione sono come due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità". Ciò implicherebbe una novità teologica perché, se da un lato significherebbe negare ogni supremazia della ragione sulla fede, dall’altro precluderebbe ogni primato della fede sulla ragione. Equidistanza, o meglio autonomia e reciproca collaborazione.

In effetti alcune espressioni dell’enciclica sembrano suggerire questa interpretazione, per esempio là dove è scritto che "l’uomo è naturalmente filosofo" (par. 64), oppure che la definizione dell’uomo come "colui che cerca la verità" è essenziale (par. 28).

Al documento non sfuggono -ed anzi le esplicita - le domande di fondo della ricerca filosofica: "chi sono? da dove vengo e dove vado? perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa vita?" (par. 1). Scrive l’enciclica che a queste domande non si può rispondere, o si dà una risposta erronea, se la ricerca non inerisce "nell’orizzonte della fede" (par.16): "Non è possibile infatti conoscere a fondo il mondo e gli avvenimenti della storia senza confessare alcontempo la fede in Dio che in essi opera" (par. 16).

Non suona questa affermazione come subordinazione della ragione alla fede? Come incapacità della ragione a raggiungere da sola la verità? Il paragrafo 79 sembra togliere ogni dubbio: "E’ auspicabile - scrive il Papa - che filosofi e teologi si lascino guidare dall’unica autorità della verità così che venga elaborata una filosofia in consonanza con la Parola di Dio". Come si vede, la Chiesa è ancora ferma a S. Tommaso, peraltro grande filosofo: "Ratio ancilla fidei" (la ragione ancella della fede). Se le cose stanno così, non c’è da scandalizzarsi. Solo la fede è la pietra angolare su cui può reggere la Chiesa, non la ragione che è dubbio metodico, incertezza, domanda. Il Papa è pastore della fede, non seminatore di dubbi come Socrate. La fede crede di conoscere la verità, non ha bisogno di cercarla. Perché stupirsi?

La Chiesa ha fatto pace con la scienza (intesa come conoscenza scientifica) proprio perché la scienza non si pone le Grundfragen: "Chi sono? Dove vado? Perché non c’è il nulla? Che senso ha il mondo?" Con la filosofia, che queste domande si pone e di queste si nutre, è inevitabile il conflitto. La collaborazione auspicata dal Papa è possibile solo a condizione che la fede conservi il primato, l’ultima parola, il discrimine fra verità e errore. Ciò vale per i credenti, ovviamente, ed è ad essi che si rivolge l’enciclica. Per i non credenti il cammino verso la verità è assai più aspro, dubitoso, a volte disperante, perché, come è stato scritto, la ragione consegna all’uomo l’intera responsabilità di creare senso alla propria esistenza.

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