L’orsa e le chiacchiere
In occasione di non so più quale evento trattato dalla stampa locale con straripante logorrea, ci prendemmo la briga di contare il numero di articoli e di foto dedicate a quella storia, in modo da dare un'idea concreta della grandinata di informazioni, in larga misura superflue o ripetitive, che si stava abbattendo sui lettori. Con la tragedia di Caldes abbiamo rinunciato a ripetere l'operazione, sopraffatti da numeri che sorpassano di gran lunga la già esorbitante comunicazione riguardante a suo tempo il concerto di Vasco Rossi. Così se ne lamenta un lettore dell'Adige: “Assistiamo da molti giorni alle debordanti chiacchiere di una marea di improvvisati autocertificati esperti di orsi, di lupi, di ambiente montano, di agricoltura e allevamento montani, di sicurezza, di areali minimi di sostenibilità. Ciascuna di queste voci urlanti, ruggenti o ululanti chi rappresenta? Pochi o pochissimi attivisti spesso manifestamente privi di competenza. Mi ricorda molto gli innumerevoli sedicenti esperti virologi ed epidemiologi che ci hanno incessantemente perseguitato durante la pandemia”.
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Con la tragedia di Caldes l'eco giornalistica ha decisamente sfondato i confini provinciali e con uguale confusione di chiacchiericcio se ne sono occupati tutti i transatlantici televisivi, da “La vita in diretta” a “Le iene”, da “Zona Bianca” a “Controcorrente”, fino al giocoso “La zanzara” (che dà la ricetta slovena dell'orso in umido) e agli immancabili Barbara d'Urso e Bruno Vespa.
E poi, naturalmente il Web, dove come sempre le posizioni si sono ulteriormente incanaglite. Così ce le descrive Michele Serra: “Da un lato ci sono quelli che la pensano come il presidente della provincia di Trento, che nel 2011 aveva organizzato, alla festa della Lega, un banchetto a base di carne d’orso. Per quelli come lui l’orso, fondamentalmente, è una bistecca. È una visione, come dire, un poco da orso, perché anche per l’orso Fugatti è solo una bistecca. (…) Sull’altro fronte ci sono quelli per i quali l’abbattimento di qualunque animale è un tabù. L’animalismo, in molti casi, è una religione, con i suoi dogmi e le sue scomuniche. L’idea che una bestia possa essere in soprannumero rispetto al suo territorio, non li sfiora. L’idea che anche gli allevatori e i contadini, che ancora abitano la montagna e la presidiano come fanti in trincea, debbano essere protetti dai lupi e dagli orsi, non li tocca”.
Così stando le cose, è difficile pensare a una dignitosa soluzione della vicenda: “Tra chi considera gli animali selvatici un ingombro, una scocciatura che gli rovina le vacanze, e chi crede che l’unico animale cattivo sia l’uomo, e la natura sia una favoletta edificante, c’è un varco molto stretto. In quello stretto varco devono parlare la scienza, gli zoologi, i naturalisti, quelli che vivono ogni giorno tra l’uomo e l’orso e tra l’uomo e il lupo. Dovrebbero parlare loro e decidere loro: ma con tutto questo fracasso, la loro voce rischia di scomparire nel profondo della foresta”.
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Il 5 aprile, lo stesso giorno in cui l'orsa JJ4 aggrediva il povero Andrea Papi, Patrizia La Marca, 54 anni, veniva uccisa a Imperia da un rottweiler (dodicesima vittima in 5 anni di episodi analoghi in Italia) e a Fano il 28enne Giacomo Cesaretti moriva schiacciato da una pressa (nel 2022 i morti per incidenti sul lavoro sono stati 1.090). Al triste elenco potremmo poi aggiungere le 19 persone rimaste uccise, nell'ultima stagione venatoria, in incidenti di caccia e i 12 base jumpers deceduti negli ultimi 10 anni dopo essersi lanciati nel vuoto, quasi tutti dal nostro Monte Brento, nel Basso Sarca, senza che nessuno, a quanto pare, prendesse provvedimenti per regolamentare questa disciplina.
Tutti incidenti, fatalità da sbrigare nella cronaca di un giorno e non meritevoli di una discussione e di qualche proposta di intervento?
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Certo, sono chiare le ragioni che spiegano la sproporzione di “peso” mediatico fra queste storie e la vicenda di Caldes: in quest'ultimo caso si è trattato di una prima volta e del punto di approdo di una dura polemica in corso da anni, a cui si aggiunge un peloso interesse pre-elettorale. D'altro canto, però, ci sembra che la vicenda, nei suoi dati essenziali, sia abbastanza lineare e da non giustificare tanto spargimento di inchiostro: con la reintroduzione dell'orso, o per lo meno appena si è constatata la moltiplicazione degli esemplari, c'erano da prendere tutta una serie di accorgimenti, già messi in atto altrove, per evitare quanto più possibile quello che poi si è verificato. E invece non si è fatto niente.
Ora si parla di sfoltire, col fucile o col trasloco, la presenza degli orsi. I quali riprenderanno a moltiplicarsi e, permanendo l'inerzia di chi deve occuparsi della cosa, la storia di Caldes rischia di ripetersi. Forse è di questo che si dovrebbe discutere.