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Torniamo alle malghe

Francesco Borzaga
Mucche al pascolo

Ho letto con interesse l’intervento del dott. Mauro Colaone, ex dirigente provinciale delle foreste, apparso sull’Adige e dedicato agli effetti della tempesta Vaia e al necessario ripristino dei territori devastati. In particolare il dott. Colaone parla del possibile recupero delle molte malghe che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, sono state dismesse, abbandonandole al bosco. Si tratta di un numero assai considerevole, posto che, di quasi 600 malghe un tempo attive, ne sono rimaste circa 250.

Una trasformazione imponente, che ha portato ad un impoverimento del paesaggio, con la scomparsa di una presenza umana plurisecolare (si pensi ai dipinti della Torre dell’Aquila al Buonconsiglio), ma pure alla cancellazione in Trentino del piccolo allevamento famigliare, già fondamento della nostra agricoltura di montagna.

Il dott. Colaone sostiene che il fenomeno non sia da imputarsi a scelte politiche sbagliate, ma sia solo una conseguenza di evidenti ragioni socio-economiche. Su questo non sono d’accordo. L’abbandono della piccola zootecnia costituì a mio avviso una scelta precisa di Bruno Kessler, la cui visione urbanistica, improntata a visioni di efficienza, trovava negli allevamenti industriali di pianura un modello e un punto di riferimento.

Mi confermano in questo giudizio diverse conversazioni avute anni fa con allevatori solandri che mi riferirono di pressioni arrivate dal loro conterraneo Kessler. Oggi la situazione dell’allevamento trentino contrasta assai con quella della zootecnia sudtirolese. Certo, politicamente assai favorita e che trova un solido punto di appoggio nell’istituto del maso chiuso, ma che comunque rappresenta un punto di forza di quella agricoltura e mantiene un posto di eccellenza a livello nazionale.

Anche sull’onda della crisi economica che si sta profilando, cresce presso i nostri Comuni l’attenzione verso il potenziale economico costituito dalle malghe, siano esse attive oppure recuperabili.

Così, ad esempio, il comune di Folgaria sta affrontando il problema di una loro generale riqualificazione, non solo in termini di recupero patrimoniale, ma anche di cura e riqualificazione dell’ambiente. Il comune di Borgo sta riportando a pascolo due ettari già boscati e ricondotti all’uso agricolo. Il comune di Pinzolo, nel suo disciplinare tecnico-economico, prevede per il concessionario l’obbligo di caricare le malghe con bestiame di proprietà di censiti del luogo.

È questo un aspetto importante. Proprio in val Rendena giunge infatti notizia di malghe assegnate a prezzi favolosi, con offerte ben quattro volte superiori alla base d’asta, in grado quindi di far girare la testa agli amministratori interessati. Si mormora che dietro al miracolo si celi la possibilità di lucrare i ricchi contributi dell’Unione Europea. Sempre in Rendena, a Pelugo, è viva l’opposizione ad un progetto di allevamento industriale, accusato fra l’altro di rappresentare una minaccia per le falde acquifere. Si tratta di pericoli reali e importanti. Ricordo per il passato scandali legati a possibili contributi europei, credo riferiti a malga Lares.

Quanto all’allevamento industriale, questo non ha portato negli anni all’auspicato rilancio della zootecnia, ma piuttosto ad una monocoltura del mais e a casi di inquinamento, ad esempio in quel del Lomaso.

Credo comunque che l’allevamento industriale non possa trovare spazio in Trentino, essendo inevitabilmente destinato a soccombere nella concorrenza con i grandi – e discutibili – allevamenti della Padania. Più saggio mi sembra ritornare umilmente ai piccoli allevamenti della tradizione alpina, basandoli sulla cooperazione, sulla qualità e sulla tipicità dei prodotti. Qui ci sarebbe spazio per giovani allevatori, da indirizzare tecnicamente e da sostenere il più possibile. In questa prospettiva, e per ridare alla zootecnia un ruolo fondamentale nel panorama della nostra agricoltura, servirà un impegno serio e durevole dei nostri politici e dei nostri amministratori.

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