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Lo scoop

Questotrentino e l’inchiesta su armi e droga del giudice Carlo Palermo

Carlo Palermo

Divenuto sostituto procuratore di Trento nel 1975, di Carlo Palermo si comincia a parlare a livello nazionale quando all’inizio degli anni ‘80 prende a indagare su un vasto traffico di armi e droga, in seguito al sequestro avvenuto a Trento di oltre un quintale di morfina; un traffico che vedrà a vario titolo coinvolti un mercante d’armi siriano, un boss turco e alcuni ufficiali dei nostri servizi segreti affiliati alla loggia massonica P2.

Ma presto l’inchiesta si allarga ad un giro d’affari con Paesi del Terzo Mondo, con relativi finanziamenti e cospicue tangenti; e Palermo commette l’imprudenza di menzionare, su alcuni decreti di perquisizione intestati al finanziere socialista Ferdinando Mach di Palmstein, il nome dell’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi (amico dell’inquisito), senza avere ottenuto l’autorizzazione dal Parlamento.

E mal gliene incoglie: Craxi presenta contro il giudice un esposto al CSM, che al termine di un’inchiesta disciplinare gli toglie l’indagine. Il magistrato, a quel punto, si fa trasferire alla Procura di Trapani, dove appena un paio di mesi più tardi è oggetto di un attentato mafioso con un’autobomba che, senza colpire il bersaglio, uccide però una donna e i suoi due figli. Palermo, poco dopo, lascia la magistratura, dedicandosi alla professione legale e all’attività politica: prima deputato e poi consigliere provinciale a Trento.

Ma è tempo di vedere come Questotrentino entrò in quella torbida storia.

Lo scoop

Articolo di Questotrentino

Nel 1984 Eugenio Pellegrini, che quattro anni prima ha fondato con otto amici Questotrentino, ha da poco lasciato a Michele Zacchi la direzione del giornale, ma continua a far parte della redazione, dedicandosi a quel giornalismo investigativo che è la sua passione, e riesce a procurarsi alcune carte - coperte dal segreto istruttorio - dell’inchiesta del giudice Palermo. A 35 anni di distanza dai fatti, onestamente non ricordiamo - se mai Eugenio ce lo disse - come gli era riuscito il colpo. E non è più possibile chiederglielo: il nostro primo direttore è venuto a mancare lo scorso anno.

Pur consapevoli delle possibili conseguenze legali, decidiamo per la pubblicazione: “Quando ci pervennero questi documenti, gravi e importanti, coperti da un ormai fantomatico segreto di Pulcinella, ci sorse qualche preoccupazione, eppure decidemmo di farli conoscere, scelta questa che ci sembra giusta e doverosa. Perché la tecnica contraria, ampiamente usata anche in questo caso di accennare, di far trapelare e di riportare dei ‘si dice’ e dei ‘sembra che’, se dal punto di vista delle conseguenza giudiziarie è più sicura, d’altra parte spesso costituisce un comodo paravento dietro cui poter colpire, gettando il sasso e ritirando la mano. Riportando gli atti, invece, si può mettere in chiaro l’esatta entità di accuse e dichiarazioni, si può contribuire a ristabilire un minimo di verità”.

Bettino Craxi

Se Craxi ha paura di Palermo una ragione c’è” titola Questotrentino del 5 ottobre 1984 presentando e commentando quelle carte, che fanno “intravvedere un rapporto per lo meno viziato del capo dell’esecutivo con i vertici della magistratura. Solo un rapporto strettissimo fra il Procuratore Generale e il Sostituto Procuratore Generale della Cassazione da un lato e il Presidente del Consiglio dall’altro può aver prodotto nel giro di poche ore la sospensione immediata della operazione della Guardia di Finanza tesa al sequestro della documentazione, che poteva costituire prova definitiva del coinvolgimento del PSI, e dunque della violazione della legge sul finanziamento dei partiti”.

Le perquisizioni

Eugenio Pellegrini

La reazione del Palazzo è tempestiva anche nei nostri confronti: il 23 ottobre l’avvocato Carlo Striano scrive al sostituto procuratore della Repubblica di Trento Enrico Cavalieri: “Per conto e a nome dell’On. Claudio Martelli, vicesegretario del Partito Socialista Italiano,... le faccio pervenire copia di alcune pubblicazioni, sicuramente coperte dal segreto d’ufficio, apparse significativamente [cioè?, n.d.r.] su un giornale di Trento. La sfrontata pubblicazione dei documenti, che si assumono provenire dal Giudice Istruttore di Trento Carlo Palermo, conferma quanto già segnalato al Suo ufficio... A quanto risulta, nessun altro giornale locale ha mai pubblicato gli atti in oggetto, che vengono ancora una volta strumentalmente utilizzati per alimentare l’indegna campagna contro il Partito Socialista Italiano. Si confida nella pronta iniziativa dell’ufficio per l’accertamento e il perseguimento delle penali responsabilità”.

L’invito è subito accolto e due giorni più tardi scattano l’incriminazione degli autori degli articoli (Pellegrini e Zacchi) e le conseguenti perquisizioni: “Abbiamo avuto l’onore di essere il primo giornale del Trentino repubblicano ad essere perquisito; per ricordarsi di un tale provvedimento bisogna risalire all’Impero Austro-ungarico e alle vicende del ‘Popolo’ di Cesare Battisti... In provincia di Trento il problema del segreto istruttorio per lungo tempo è sembrato non sussistere. Le violazioni erano tranquillamente praticate e tollerate; una normativa assurda veniva di fatto superata con una gestione bonaria improntata al buonsenso. E questo anche quando, specie negli anni ‘70, i rapporti fra magistratura e stampa diventavano roventi”.

Seguiva una divertita cronaca dell’operazione, effettuata dai carabinieri: “Dalla redazione (o meglio, dalle stanze effettivamente perquisite, perché alcuni locali sono stati misteriosamente trascurati) il maresciallo Buffoni e i militi al seguito hanno portato via:

  • quattro fotocopie di articoli di Panorama e dell’Espresso;
  • l’originale di un articolo di Enrico Paissan sull’abolizione della scorta al giudice Palermo;
  • un manoscritto di Michele Zacchi, tormentato inizio di un articolo che il Direttore non riusciva a concludere.

La Benemerita cercava altresì le pellicole servite per la stampa del numero incriminato. Gli è stato spiegato che in tali pellicole non poteva esserci nulla di diverso rispetto a quanto pubblicato sul giornale una settimana prima, al che il maresciallo ha replicato che lui questo lo sapeva, ma che tali erano gli ordini ricevuti.

La ricerca, effettuata con squisita leggerezza, è avvenuta attorno all’ora di pranzo ed è stata contrassegnata dal deplorevole disinteresse dei pochi redattori presenti, i quali, in compagnia degli avvocati Adolfo e Gianfranco de Bertolini, pasteggiavano a birra e panini in un bar attiguo, tanto che il maresciallo si vedeva costretto a reclamare la loro presenza all’operazione.

Sempre a stomaco vuoto, i CC si trasferivano poi a casa di Michele Zacchi, ove l’inquisito e il suo avvocato terminavano il pasto con biscotti e altre delicatezze; ai militi veniva finalmente offerto il caffè, ma il maresciallo, con allusione dolosamente non raccolta, replicava: ‘No, grazie, lo prendo solo dopo mangiato’. Esito della ricerca: nulla.

A casa di Eugenio Pellegrini la faccenda sarebbe stata più rapida, se non che era lo stesso perquisito ad invitare i CC in cantina, sostenendo che laggiù egli conservava il grosso delle sue carte. In verità, fra pacchi di vecchi giornali, volantini ed altre immondizie cartacee, il solo documento rinvenuto è stato un comunicato della Federazione Trentina dei Cori, giudicato però irrilevante ai fini dell’inchiesta. Un giovane milite ha frugato negli scatoloni dove Pellegrini tiene la sua collezione di minerali, ma si è presto scoraggiato e ha rimesso tutto in ordine.

In quegli stessi momenti gli uomini della Legione di Bologna effettuavano un blitz nell’abitazione dei genitori di Zacchi, sequestrando due lettere in lingua inglese, apparse sospette in quanto incomprensibili. Infine, davanti al Giudice Istruttore Cavalieri, Zacchi e Pellegrini hanno confermato quanto già dichiarato al maresciallo Buffoni ed hanno consegnato le fotocopie delle carte di Palermo, fin lì inutilmente cercate (‘Bastava chiederle!’)”.

Non è successo niente

Finalmente, il 25 giugno 1985, viene emanata la sentenza, che condanna Zacchi e Pellegrini a un’ammenda di 300.000 lire a testa “per aver pubblicato la lettera inviata dal giudice Palermo ai presidenti della Camera e del Senato nella quale si prospettavano possibili irregolarità del Presidente del Consiglio in materia di sovvenzioni e si denunciavano le pressioni dell’on. Craxi volte ad ostacolare le indagini del giudice Palermo”.

L’inchiesta vera e propria, intanto, si avvia verso una triste conclusione: bloccata la pista politica, dopo ricusazioni, spostamenti di sede processuale, testimoni scomparsi, uccisi o evasi dal carcere, nonché qualche mossa imprudente dello stesso Palermo, i 31 inquisiti rimasti finiscono tutti assolti fra il primo e il secondo grado di giudizio, sicché, paradossalmente, la nostra misera condanna è tra le poche, se non la sola, emanate nell’ambito di quella fangosa vicenda dai mille risvolti.

* * *

(Gli articoli consultati o citati sono a firma di Renato Ballardini, Mario Cossali, Carlo Dogheria, Eugenio Pellegrini, Michele Zacchi)

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