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QT n. 11, novembre 2019 Servizi

85 anni di attesa

Da tanto il Parco Nazionale dello Stelvio sta aspettando il varo di un Piano Parco

Parco nazionale dello Stelvio

Il Parco nazionale dello Stelvio rimane un malato grave delle istituzioni del nostro paese. Era inevitabile che accadesse: lo smembramento di un territorio tanto fragile in tre realtà amministrative non poteva che arrugginire l’articolazione normativa e una visione ampia delle politiche gestionali del Parco. Ancora oggi, nonostante la pressione imposta al Comitato di gestione dell’area protetta dall’Osservatorio nazionale delle associazioni ambientaliste, sono presenti troppe criticità. Le diverse elaborazioni regionali e provinciali cedono alle sollecitazioni dei piccoli poteri locali, sia pubblici che privati.

Le associazioni ambientaliste chiedono armonia fra il piano e le norme di attuazione e per fare questo è evidente come un parco debba superare le carenze che sono state individuate nella gestione del paesaggio e di Rete Natura 2000.

Un parco nazionale non può sostenere interventi e divieti differenziati per ambito locale, né zonizzazioni approssimative non coerenti con le mappazioni. Si deve ricercare maggiore coerenza con le Linee guida del 2016-2017, nate dalla fucina partecipata della Cabina di regia delle aree protette del Trentino, a dimostrazione del fatto che con buona volontà e onestà politica si raggiungono obiettivi condivisi di alto profilo sociale, a differenza di quanto accaduto con la Translagorai.

I punti critici da risolvere e che sono stati ampiamente discussi con il presidente del Comitato di coordinamento e di indirizzo nazionale del Parco dello Stelvio, il lombardo Ugo Parolo, sono diversi.

Parco nazionale dello Stelvio

Si parte dalla partecipazione richiesta nella definizione della VAS (Valutazione ambientale strategica): non affrontare questo tema come prioritario significa allontanare sempre più la fiducia dell’associazionismo e delle popolazioni locali nei confronti dell’area protetta. Risultano irricevibili le proposte trentine di poter infrastrutturare ulteriormente in prossimità delle aree sciabili. Si richiede più attenzione ai cambiamenti climatici in atto. Si ritiene impensabile si delinei un quadro differenziato di norme che rendano difficili o contrastanti le stesse attività di vigilanza e controllo. Si accetta che possano anche essere concessi aumenti di volume nelle case sparse, ma solo quando si propongono criteri di qualità dell’intervento edilizio. Si rimane contrari al collegamento stradale Malles-Bormio per investire solo su una infrastruttura ferroviaria. Si dovrebbe chiarire attraverso quali percorsi si garantisca la transizione di un’economia basata sugli sport invernali, economia che non deve portare ad ulteriore degrado (si pensi alla situazione del passo dello Stelvio), anche se si è consapevoli che questa forma di turismo non può essere abbandonata.

L’Osservatorio delle associazioni chiede sia indetta una conferenza conclusiva sulla Valutazione Ambientale strategica del Piano Parco prima dell’espressione del parere vincolante del Ministero dell’Ambiente.

Sono 85 anni (il Parco è stato istituito nel 1935) che si attende il varo del Piano Parco; dopo lo smembramento del Parco stesso (2015) era stato promesso un nuovo Piano Parco entro e non oltre 12 mesi. Ne sono trascorsi 50. Sono quindi necessari tempi serrati del confronto arrivandovi con un no deciso all’aumento della cementificazione e a nuove invasive infrastrutture, investendo invece nella valorizzazione degli ambiti di tutela naturalistica.

Le associazioni chiedono una analisi più approfondita dei valori paesaggistici e naturalistici presenti nell’area protetta alla luce dei cambiamenti climatici in atto. È necessaria una maggiore omogeneità dei criteri che hanno individuato le zone di maggiore e minore tutela, quali attività autorizzare e quali vietare, una integrazione fra le diverse funzioni delle zone individuate. Se si seguono le linee guida approvate nel 2017 grazie al lavoro preparatorio svolto dal servizio conservazione della Provincia di Trento, risulterà semplice puntare sulla promozione e sul consolidamento di una filiera economica che investa con coerenza nello sviluppo verde, nella rigenerazione anche qualitativa del tessuto edilizio, della mobilità pulita e dolce.

In Trentino, invece...

Parco nazionale dello Stelvio

Quanto illustrato è il profilo del confronto che si sta svolgendo a livello nazionale. Guardando al Trentino, si rimane sbigottiti nel leggere la mozione presentata dalla minoranza consigliare del Comune di Pejo e approvata all’unanimità. A quanto pare, questi amministratori hanno giocato con il Parco per anni, parlando con una voce in determinate sedi ufficiali per poi, nei viottoli e nei bar del paese, boicottare il lavoro di qualità elaborato. Non è un caso che la mozione ricalchi il documento della Confcommercio e degli albergatori locali (documenti identici oltremodo ripetitivi). In breve si accusa il Parco di avere leso il diritto del Comune a elaborare la pianificazione locale; sembra che il Parco si sia appropriato del territorio, specie nel definire le linee generali della pianificazione delle aree D, quelle di protezione economica e sociale. Nei due documenti si ritiene che il Parco congeli ogni possibilità di sviluppo a differenza, si dice, di quanto previsto per il Sudtirolo, dove la pianificazione rimane affidata ai singoli comuni.

A questa ormai obsoleta litania dei poteri economici il Parco ha risposto ottenendo la certificazione CETS (Carta europea per il turismo sostenibile), un premio internazionale gestito anche da Federparchi, che qualifica un’area protetta, che garantisce che le linee dello sviluppo e della conservazione vengano decise in modo partecipato, che si investa in collaborazioni e condivisioni. Confcommercio e il Comune di Pejo vengono così smentiti anche dalle 28 azioni approvate dal Parco, maturate durante 7 incontri sul territorio: di queste azioni, che smuovono oltre 3,5 milioni di euro pubblici, 14 saranno gestite dal Parco, ben 4 dai due comuni, Pejo compreso, 3 dalla Società Funivie, 2 dall’Ecomuseo, altre 2 dalle Terme. Come emerge da questo quadretto, vi è un intreccio strategico fra le azioni tese alla conservazione e quelle destinate allo sviluppo delle economie locali. Ma ormai è cosa nota: certe categorie imprenditoriali della nostra provincia vogliono avere le mani libere per gestire, da padrone, il territorio. Non riescono assolutamente a riflettere su temi strategici per le future generazioni: i cambiamenti climatici e la qualità dell’offerta turistica e culturale.