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QT n. 9, settembre 2012 Monitor: Mostre

Sete, filande e cavalieri

Quando non c’erano solo “pomari”

C’è stato un tempo nel quale affacciarsi al terrazzino di Casa Campia - splendido palazzetto tardo-rinascimentale di Revò, che ospita fino alla fine di ottobre la mostra “Sete, filande e cavalieri” - non significava abbracciare con lo sguardo solo una distesa smisurata di pomari, effetto della monocultura della mela che ormai si è impossessata dei dolci declivi prealpini della Val di Non, sempre impreziositi dallo sfondo fantastico delle Dolomiti del Brenta (una vista che giustificherebbe, anche da sola, il viaggio a Revò). Quindi senz’altro utile risulta questa mostra che rinfresca la memoria su un’altra produzione agricola sviluppatasi ampiamente nella Val di Non fra il XIX secolo e i primi decenni del XX: la gelso-bachicoltura. Dai bozzoli del baco da seta veniva infatti un prezioso contributo monetario, il primo dell’anno, all’economia della famiglia contadina, che acquistava il seme (in aprile) ed allevava in casa i bachi fino allo sviluppo dei bozzoli (maggio), con un lavorio continuo e molto impegnativo di tutto il nucleo famigliare. Mentre la successiva trattura del filo di seta dal bozzolo poteva avvenire sia, all’inizio, in un contesto domestico, sia, successivamente, in filande. E merito indubbio di questa mostra - quindi delle due curatrici Vincenzina Forgione e Graziella Ruatti - è l’aver individuato e fotografato per l’esposizione quanto resta degli edifici delle numerose filande che hanno funzionato in valle dal secondo decennio dell’Ottocento fino agli inizi del secolo seguente (ma la filanda Viesi, di Cles, è ancora attiva negli anni ‘30, e la ditta rimane viva nell’attività di ricamo e restauro di paramenti liturgici fino al 1986, raccogliendo una preziosa collezione di tessuti antichi, ora di proprietà della Provincia). Di questa epopea di lavoro a domicilio, che potremmo nel complesso definire di manifattura agro/paleoindustriale, la mostra fa vedere i reperti: bozzoli e semi, tessuti, attrezzi, fotografie e documenti, che si snodano in un percorso espositivo nei suggestivi ambienti del palazzetto - ora comunale - in qualche caso rimasti mirabilmente integri anche nei loro arredi storici. Nota un po’ più dolente quella del catalogo, inizialmente neanche previsto per mancanza di fondi, reperiti i quali si è evidentemente messo insieme in fretta, semplicemente riproducendo i pannelli espositivi della mostra e le fotografie di alcuni oggetti esposti. Purtroppo senza potervi aggiungere un vero apparato scientifico, per l’inquadramento dei reperti in un più vasto contesto di storia economica, almeno regionale, in grado di illustrare anche, per esempio, i nessi (se ce ne sono!) della gelso-bachicoltura nonesa con la lunga precedente esperienza delle manifatture seriche di Rovereto, il principale centro di produzione serica dell’area asburgica nel Sei-Settecento.

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