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Congiunture astrali

Foto di Alessio Osele

C’è qualcosa di insolito nella bolla d’aria che mi circonda e dove fluttuo leggera. Liquido amniotico evaporato dove mi attardo a giocare. Non ancora appagata da incanti e sogni. Il brusco risveglio arriva con un sonoro richiamo a occuparmi della materia che si deteriora. Nelle dita scopro un inedito potere fulminante.

Tutto ha inizio il diciassette febbraio che, pur non essendo venerdì, ha qualcosa di funesto. O sono io che mi abbatto per poco. Di sicuro la mia frustrazione per la tecnologia aumenta a dismisura quando mi sento accerchiata da arnesi in panne. Ammetto… un po’ me la vado a cercare. Mi riconosco pigra, distratta, con la testa fra le nuvole. "Ma no, ultimamente sono migliorata!" Forse perché peggiorare era impossibile?

Inizio la giornata con il telecomando che non apre la serranda del garage. Da ottimista immagino basti sostituire le pile. Mentre effettuo il cambio ne approfitto per un paio di riflessioni. "Magari fosse così nella vita! Rigenerazioni assicurate."

Le batterie nuove però non risolvono il problema. "Venderanno pile esauste per buone?" Un vicino che passa mi assicura che le pile non c’entrano, è danneggiato. Occorre proprio acquistarne un altro. Anche due, penso convinta. E’ l’unico telecomando che non mi confonde!

Il cellulare più tardi esala gli ultimi respiri. Non tento nemmeno di rianimarlo, ho già subito un paio di repentini abbandoni con perdita della rubrica. Un piccolo lutto o, a seconda dei casi, un alibi di ferro. "Avevo perso il tuo numero, si era smagnetizzata la sim!" Memore di questo, alla prima esitazione di un tasto… oplà, nuovo cellulare di riserva. Sì, sto diventando astuta! Passo la serata trasferendo l’agenda con appuntamenti vari e compleanni, e mi sento ringiovanita. Molto simile ai tanti adolescenti intenti a masturbare il telefonino.

Il giorno dopo il telefono fisso non dà nessun segnale. Aprirei una parentesi sugli operatori telefonici, ma non ho parole. Solo insulti. Dieci giorni per riavere la linea. Per poi riperderla in altri due. Déjà vu. Il passato insegna. Allora, dopo un paio di mesi di isolamento forzato, mi ero decisa per una seconda linea. Fra me e me gongolo per questa dimostrazione di oculatezza. Sì, sono sempre stata poco accorta. La mia vita sicuramente avrebbe avuto un altro corso. Ma ho sempre associato la furbizia a qualcosa di disonesto. Schierandomi con gli ingenui, le vittime delle altrui abilità.

La sera decido di affrontare il digitale terrestre, incorporato nella televisione nuova. Ottimo. Si fa tutto con il telecomando. Un mostro con i tasti in seconda fila. Basterà leggere le istruzioni, ovvio. Mannaggia, non ci sono: e non le ho buttate insieme alla scatola. Ultima spiaggia, un amico sveglio che con un po’ di pazienza arriva alla soluzione. Adesso le istruzioni non le stampano proprio, si scaricano direttamente da Internet.

Ma solo nominandolo, la sera dopo anche il computer mi abbandona, insieme alla seconda linea. Alla faccia dell’accortezza di cui sopra. Potrei provare con una terza linea telefonica? No, adesso è meglio che mi prepari una bella tisana rilassante e controlli se ho qualche linea di febbre.

Con una risata penso che, almeno qui, non corro il rischio si rompa il termometro… digitale.

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