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QT n. 2, febbraio 2009 L’editoriale

Che farà Dellai?

Che cosa farà da grande Lorenzo Dellai? Questa è stata una domanda ricorrente che ha accompagnato le tappe della sua lunga ascesa politica fin da quando a ventinove anni divenne il più giovane sindaco di una città capoluogo di regione. Ora Dellai si appresta a compiere il terzo mandato di Presidente della giunta della Provincia di Trento. Quindici anni possono bastare, dice lui. E noi siamo d’accordo e gli crediamo. Reputiamo una battuta invece la sua dichiarazione secondo cui, alla fine del mandato nel 2013, il Nostro darà vita ad una "scuola di formazione politica". L’obiettivo di Dellai è Roma. Non vuole però andarci per sedere tra i banchi dei peones di maggioranza o opposizione. Non vuole ripetere l’epilogo del suo maestro Bruno Kessler che, una volta diventato senatore, in Trentino perse la sua influenza che non acquisì mai a livello nazionale. Dellai vuole andare a Roma per contare. Diventare il nuovo De Gasperi? Non esageriamo, però non bisogna mettere limiti alla Provvidenza. Ministro sì, dirigente di partito pure. Già, ma di quale partito?

A questo punto incrociamo le dichiarazioni dellaiane di queste ultime settimane, parole che sono rimbalzate sui quotidiani nazionali dando risalto a uno dei pochi esponenti del centrosinistra vincitore di qualsivoglia tipo di elezione tenuta negli ultimi mesi. Dellai si colloca tra i critici, se non i liquidatori del Partito Democratico. Alcuni suoi ragionamenti intorno al PD sono condivisibili: Dellai critica la fallita pretesa di Veltroni di rappresentare tutte le forze alternative alla destra, la carenza di una leadership forte, l’incapacità di fare una vera sintesi tra le diverse culture politiche che hanno costituito il partito. Su questo aspetto Dellai rimprovera al PD di non essere altro che un partito socialista (qualcuno, come il sindaco Chiamparino, ha detto: "Magari fosse così!", ma non è questo il punto) e di aver messo in un angolo la cultura del popolarismo di cui lui si sente uno degli eredi.

Dellai però va oltre, minando alla radice la stessa ragion d’essere del PD, il nucleo del progetto prodiano. "Si è dimostrata eccessiva l’ambizione che lo muoveva: fare la sintesi e rappresentare culture politiche diverse" afferma Dellai in un’intervista a La Stampa. Di qui la necessità di costruire un nuovo centro degasperiano con una connotazione più territoriale. È il progetto di Enrico Letta e di Rutelli da attuare dopo le elezioni europee: spaccare in due il Partito Democratico e costituire nel tempo un rassemblement centrista insieme con Casini. Intanto, proprio alle europee, Dellai metterà in scena il secondo atto del suo "laboratorio politico" cominciato con le provinciali di novembre. Il Presidente sponsorizzerà una lista territoriale con la Svp, apparentata con l’UDC(paradossalmente Dellai appoggerà il Partito Popolare Europeo il cui riconosciuto leader in Italia è Berlusconi).

Solo così, riproponendo uno schema che vede alleati un centro a una sinistra socialista, si potrà in futuro battere la destra. Può essere vero, ma in questa operazione si intravede un ritorno all’indietro.

In tutte le sue peripezie Dellai è rimasto sempre se stesso, cioè un democristiano che guarda a sinistra, come Moro e come Degasperi. Solo che oggi sulla sua strada non ci sono questi statisti, bensì un Casini a braccetto con Totò Cuffaro, un Rutelli insieme a un Buttiglione, un Tarolli amico dell’ex governatore della Banca d’Italia Fazio. In questo schema il bipolarismo va superato per tornare alla politica dei due forni del partito di centro. Possibile? Forse. Auspicabile? Probabilmente no. Anche perché non è scritto da nessuna parte che questo centro ondivago si allei con una sinistra esangue e non invece con una destra postberlusconiana. Rinunciare poi al sogno di una sintesi tra pensiero politico cattolico e laico significa abdicare all’unico progetto capace di farci superare le secche di un clericalismo di ritorno.

Nonostante ciò Dellai, in Trentino come a livello nazionale, continuerà il suo progetto. Il PD di Pacher e Kessler resterà a guardare, magari applaudendo al "nostro leader"?