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La stagione teatrale è finita. Viva la prossima!

“I due gemelli veneziani”

Conclusa la regular season del teatro a Trento, ora gli spettatori già in crisi di astinenza guardano con speranza alla programmazione cosiddetta minore e alla stagione estiva. Quanti sono gli spettatori teatrodipendenti, nella nostra città? Bisognerebbe studiarsi un po’ i dati, per fare qualche ragionamento e ricavarne qualche presagio, auspicio o, più semplicemente, disagio. Quale teatro per quale pubblico, peraltro? Per accontentare il gusto di spettatori affatto diversi, nella stagione di prosa del Centro Santa Chiara, con l’abbonamento “grande stagione” si ricevono proposte lievemente devianti, genere “musical” o “altro teatro”, le quali generano un’audience che il critico teatrale difficilmente può valutare senza accedere ai summenzionati dati statistici.

Di sicuro, se capita di vedere uno spettacolo almeno due volte, possono colpire le notevoli differenze nel numero di presenze in sala. Misteri. A volte può dipendere dallo scarso appeal dell’autore, del regista, dell’attore/attrice principale, della compagnia, od anche, semplicemente, dalla concomitanza di più spettacoli nella stessa sera, per non parlare della convitata catodica fissa, Nostra Signora Televisione.

Il pubblico dei teatri è cambiato, come la comunità di cui fa parte. Si tratta di mutazioni antropologiche e culturali pressoché irreversibili, legate alle “nuove” abitudini, alla formazione culturale dei giovani e degli ex-giovani, all’offerta locale, alle disponibilità economiche. Ormai un cartellone teatrale si organizza tenendo conto di una notevole varietà di parametri, tra i quali il “fattore umano” non gioca un ruolo secondario. I gusti e le simpatie – culturali, personali – non restano certo al di fuori delle valutazioni per cui la programmazione prende corpo nei mesi che precedono la presentazione ufficiale. In ogni caso, come diceva Goldoni, l’applauso universale è inattingibile, per cui sarà sempre difficile far contenti tutti.

La stagione 2008-09 era iniziata con la Compagnia Mauri-Sturno e la loro proposta del «Vangelo secondo Pilato», che ricordiamo con simpatia per la qualità recitativa sempre apprezzabile dell’anziano attore, capace di tenere lunghissimi e intensi monologhi, emulato a dovere dal suo sodale Sturno. Non da meno, successivamente, era stato il «Re Lear» del Teatro Stabile di Genova, con Eros Pagni a illuminare la bella prestazione dei suoi numerosi comprimari. La sorpresa, tuttavia, è arrivata con un musical sui generis, «Montagne Migranti», la cui esile trama è stata ben compensata dall’originalità della proposta spettacolare: un omaggio alla cultura corale trentina, alla World Music e all’emigrazione trentino-italiana nel mondo. Superando d’un balzo il mese di dicembre, in cui certamente ha onorato il teatro l’invenzione di Ugo Chiti dedicata a Kafka («Le conversazioni di Anna K.»), e affidando ad altri il commento per «L’ultima sera di Carnovale», «Dramma italiano» e «Romantic comedy», conviene lasciar traccia scritta di una seconda, bella e musicale sorpresa messa in scena per tre sere, al Teatro Cuminetti, dai “Cantoria Sine Nomine”, per la regia di Elena Galvani e di Jacopo Laurino: si tratta di «Il pioppo nella neve», una semplice ma efficace elegia teatrale costruita su testi di Bertolt Brecht, per la “Giornata della memoria”.

Glauco Mauri

Se a fine gennaio «Il gabbiano» di Cechov, allestito dal Teatro Stabile di Bolzano, ha suscitato pareri discordi, anche su queste pagine, certamente non si può annoverare tra le peggiori proposte della stagione; la messa in scena “tradizionale” ha diritto alla cittadinanza quanto una “coraggiosa” interpretazione registica, che non sempre, in quanto tale, risulta automaticamente essere superiore alla prima. “Abusus non tollit usum”, verrebbe da commentare...

Alla difficoltà di mettere in scena l’ultima incompiuta opera di Pirandello, «I giganti della montagna», non si sono sottratti attori e attrici diretti da Federico Tiezzi, che a metà febbraio hanno riscosso meritati applausi per il loro generoso impegno nel rendere accessibile al pubblico un testo onirico, pregno di simbolismi e di velate allusioni al contesto storico in cui il dramma vide la luce.

Preceduto dalla nuova travolgente “cavalcata” di Moni Ovadia (vedi «L’armata a cavallo» della stagione precedente), tre ore di spettacolo senza pausa, attraverso la storia dell’U.R.S.S., e dall’esperienza (per il pubblico) del teatro in lingua originale con traduzione in cuffia («Sonja» di Tatjana Tolstaja), nella terza settimana di marzo il raffinato «Romolo il Grande» dürrenmattiano, impersonato da Mariano Rigillo con ammirevole ironia, ha rievocato l’inizio del countdown per la cultura europea latinocentrica, e il più prosaico conto alla rovescia per la stagione di prosa 2008-09, che si è conclusa con «I due gemelli veneziani». La commedia goldoniana, facente perno sullo sdoppiamento di Massimo Dapporto in due personaggi, pur non dispiacendo nel suo insieme non ci ha convinto del tutto per due aspetti essenziali: la staticità della scenografia, elemento che di solito, in quanto rarefatto, impone una recitazione compensativa; e la prova d’attore di Dapporto, non sempre adeguatamente e schizofrenicamente (come necessario) in parte nell’impersonare l’uno o l’altro gemello.

Su quattordici spettacoli, una decina almeno ha abbondantemente meritato un giudizio più che buono: può darsi che siamo di manica larga, ma nel complesso pensiamo di non essere lontani dal giudizio medio del pubblico. Speriamo nella prossima stagione.