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QT n. 15, 18 settembre 2004 Servizi

Il tramonto della sovranità nazionale

La lezione della vicenda irakena: l’indipendenza degli Stati è secondaria, quello che conta è l'interdipendenza. L'analisi di Benjamin Barber e il commento del politologo Sergio Fabbrini.

"Non esiste più per le nazioni un interno e un esterno"; "non esiste libertà, né uguaglianza, né protezione dalla tirannia, né sicurezza dal terrore sulla base della sola indipendenza". E l’America, sia con Bush che con Kerry, sbaglia quando "continua a credere che la democrazia debba essere preceduta dalla liberazione nazionale". Questo perché, come drammaticamente evidenziato dall’11 settembre, "il terrorismo non è il prodotto di Stati-nazionali, ma di nuove forze interdipendenti" il cui potere "non è in simmetria con quello militare delle nazioni egemoni", non ha muri dietro i quali lo si possa confinare, ma ha dimostrato che può rendere "sempre più debole persino la nazione più potente del mondo, specialmente quando agisce da sola". Quindi "mentre un tempo, per proteggere il proprio destino, le nazioni dipendevano dalla sola sovranità, oggi esse dipendono l’una dall’altra". Sono, appunto, interdipendenti.

Il prof. Benjamin Barber.

Questa l’analisi di Benjamin R. Barber, già consigliere di Clinton, sulla situazione attuale, alla luce del post 11 settembre e della guerra in Irak.

Su tali considerazioni del politologo e docente universitario americano, chiediamo un commento a Sergio Fabbrini, anch’egli politologo e docente a Trento.

Professor Fabbrini, crede anche lei come Barber che la campagna elettorale di Kerry, e non solo quella di Bush, abbia una forte connotazione patriottica che va superata?

"Credo che ci siano due dimensioni che vanno distinte: patriottismo e unilateralismo. Il patriottismo è una componente presente sia nei Democratici che nei Repubblicani, per molte ragioni storiche. Bisogna però dire che il loro è sempre stato un patriottismo democratico. Noi in Europa continentale abbiamo difficoltà a trattare il fenomeno del patriottismo perché questo, nella nostra storia, è spesso sfociato nel nazionalismo, nel fascismo e nel nazional-socialismo. Farei attenzione quindi a condannare il patriottismo americano, perché è lo stesso che, in passato, li ha spinti con i loro aerei, a combattere contro gli aerei che il nostro patriottismo aveva prodotto. Per questo troverei bizzarro se Kerry non fosse patriottico, perché questo significherebbe perdere il contatto con la società americana che, non dimentichiamolo, con l’11 settembre si è sentita colpita direttamente. Poi naturalmente bisogna perseguire il patriottismo conciliabile col multilateralismo, mentre Bush spesso accelera la sovrapposizione fra patriottismo democratico e unilateralismo".

Barber è pure promotore di un movimento, fondato a Filadelfia e Budapest un anno fa, che promuove appunto l’interdipendenza tra le nazioni. L’articolo dell’intellettuale americano precede di pochi giorni il secondo Interdependence Day e rilancia con forza le motivazioni che stanno alla base del movimento: "Per la gente di tutto il mondo è arrivato il momento di impegnarsi come cittadini di un Civ World: civile, civico e civilizzato… riconoscendo (le proprie) responsabilità nei confronti del bene comune e della libertà del genere umano nel suo insieme". Anche su questa iniziativa sentiamo il parere di Sergio Fabbrini.

La convince la teoria dell’interdipendenza di Barber?

"Tutto ciò che unisce i popoli è un bene. E’ vero che siamo in una fase di superamento della sovranità, ma il passaggio è complesso. La rinuncia alle sovranità nazionali ha senso se la nuova sovranità è legittimata e stabile. Da anni noi in Europa stiamo attuando il processo di integrazione, ma come tutti possono vedere è un processo lungo e difficoltoso; fino a pochi mesi fa non c’era nemmeno una Costituzione condivisa. Quindi ha senso se avviene una trasformazione dove i legami democratici tra i singoli paesi vengono mantenuti e vengono reinterpretati nel nuovo sistema di sovranità".

Pensa che le ONG possano svolgere un importante ruolo politico, e non solo caritatevole, in questa direzione? Potranno essere un vero e proprio ponte tra due mondi diversi? (vedi, su questo numero, ONG: la nostra meglio gioventù indica la strada )

"Assolutamente sì. Attraverso le organizzazioni non governative, e la loro sempre maggiore professionalizzazione, si possono creare e rafforzare i collegamenti transnazionali, senza passare attraverso i partiti, gli stati…"

Il 12 settembre si è tenuto a Roma un grande incontro in occasione del secondo anniversario dell’Interdependence Day. Crede che le persone comuni siano più avanti nella costruzione di una "struttura civica di cooperazione globale" rispetto a chi li governa?

"In generale mi sembra che, in mezzo a ad una classe di businessman o di docenti universitari abituata ad avere rapporti con altre nazioni, e ad una società civile nazionale un po’ fossilizzata nel proprio contesto, si stia ingrandendo sempre più una società civile transnazionale dinamica, che si muove. Questo è senz’altro un bene".