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QT n. 11, 29 maggio 2004 Cover story

Vino trentino: la sbornia è finita

Il Trentino è il posto dove si paga l’uva più del vino, dove i contadini, con la più alta redditività d’Italia, sono cambiati antropologicamente, dove si vende il vino degli altri a prezzi che loro si sognano. Ma può durare? Una storia di managerialità, investimenti e cultura diffusa; ma anche un bisogno di “fare sistema” che non sembra decollare.

Il Trentino è il posto dove il vino costa meno dell’uva; dove il terreno agricolo vale cifre astronomiche (600.000 euro all’ettaro, tre, cinque, dieci volte che nel resto d’Italia); dove sembra ci sia il tocco di Re Mida, si importa vino dalle altre regioni e lo si rivende, valorizzato, sotto le proprie etichette; oppure si acquistano terreni ed aziende nel resto d’Italia, si fa nuova produzione e la si rilancia.

Cos’è, la terra dei miracoli? Oppure, come sussurrano i più pessimisti, non c’è qualche Parmalat dietro l’angolo? "Così non può durare" - commentano in tanti. Ma lo dicono da anni, e da anni dura. E anzi le varie aziende crescono e il sistema si espande. Sì, ma quanto è solido?

All’ultima Mostra del Vino trentino, nel Teatro Sociale illuminato e magico, trasformato tutto, dal palco alla platea, in un lussuoso salone espositivo, con tantissima gente che si affollava allegra, queste le considerazioni che correvano: "Va bene, però...". "I nostri soci’- ci conferma Fausto Peratoner, direttore della Cantina La Vis - ce lo dicono apertamente: ‘Podela durar sempre così?’".

Il problema è sul tavolo da diversi anni. Di fronte alla globalizzazione, ai nuovi produttori che sempre più aggressivi competono da ogni parte del mondo (Cile, Australia, Sud Africa, Nuova Zelanda, prossimamente lo spauracchio Cina), il piccolo Trentino deve fare sistema. Questo il ritornello che sentiamo da diversi anni: il Trentino vinicolo, per sopravvivere, deve poter contare su un’immagine forte, riconoscibile; immagine che viene data sia dalle grandi cantine, attraverso la forza dei numeri, sia dai piccoli produttori di alta qualità, le punte di eccellenza che trascinano l’immagine di tutto il territorio, come il Dom Perignon con tutto lo champagne francese. Questo l’obiettivo conclamato in un convegno all’istituto di San Michele di tre anni fa, magistralmente concluso da un Dellai in gran forma. "Sì, il tema oggi è lo stesso - ammette il prof. Attilio Scienza, uno dei massimi agronomi italiani, già direttore di San Michele, e che quel convegno presiedeva – ma, è vero, non è stato risolto."

Nel frattempo il quadro è parzialmente cambiato. E’ arrivata la crisi: dell’Italia dai consumi incerti, del Nord Europa, del mercato americano dove il dollaro debole spiazza i prodotti europei. Le crisi hanno sempre anche effetti positivi, e questa "ha spazzato le follie" "ha reso il consumatore più consapevole": le bottiglie da 500 euro sono un ricordo, e annaspano tutti i produttori che avevano puntato sui prezzi alti, sopra i 20 euro a bottiglia. "Il consumatore è tornato alla concretezza, a privilegiare il rapporto qualità/prezzo - ci dice Paolo Endrici, titolare delle Cantine Endrizzi - Il che va bene, fa tornare con i piedi per terra. Anche troppo per terra".

Insomma, la crisi dell’altissima qualità rende più difficile il ri-orientamento del sistema. I colossi locali - cioè Cavit e Cantine Mezzacorona - che vendono oltre cento milioni di bottiglie all’anno, che hanno puntato tutto sul rapporto prezzo-qualità ora vincente, non si sentono certo stimolati, in questa situazione, a cedere parte della loro centralità in favore dei piccoli produttori di alta qualità. Ed ecco quindi la costruzione di un "sistema trentino" procedere a rilento.

Il sistema territoriale si basa su due elementi. Il primo è quello che gli addetti ai lavori chiamano la "piramide". Consiste nel predisporre denominazioni, disciplinari, organismi di controllo, in maniera che tutti i vini di un territorio si fregino di una denominazione comune per tutti ("Vini del Trentino"), cui vengono aggiunte altre (IGT, DOC, DOC superiore, ecc.) a indicare crescenti standard di qualità. Con questo sistema, ogni produttore decide lui in quale settore della piramide collocarsi; ma tutti producono all’interno di un sistema di norme condiviso, con livelli di qualità garantiti, e soprattutto tutti concorrono, grandi e piccoli, a fornire un’immagine unitaria e affidabile del territorio.

"Perché per far conoscere il Trentino, che fino a pochi anni fa veniva confuso con Trieste, occorre fare sistema - spiega Ermann Bona, direttore del consorzio Trentino Vini - E noi abbiamo storicamente la capacità di associarci; capacità che dobbiamo saper sfruttare".

E’ proprio la Trentino Vini la struttura delegata al confronto tra gli operatori, e quindi alla redazione dei disciplinari, controlli, ecc., insomma alla costruzione della piramide. A che punto siamo?

La "torta" del vino trentino

La piramide attualmente ha tre livelli: alla base il vino ITG, Indicazione geografica tipica, con il 20% della produzione; poi il DOC, attualmente con il 79%; quindi il DOC Superiore, di cui sono stati approvati i disciplinari, ma che deve ancora entrare a regime.

Il punto è che la piramide presenta crepe, in alto e in basso. In basso diversi produttori denominano ITG dei vini che sarebbero DOC o addirittura DOC Superiore, perché sono frutto di uvaggi particolari non previsti dalle norme ("E’ così per il nostro Masetto, frutto di una ricetta del 1885 - ci dice Paolo Endrici - non è previsto dalle norme del DOC, è quindi un ITG, ma noi sul mercato andiamo bene ugualmente", ma è una piccola crepa alla credibilità della piramide).

In alto i produttori più prestigiosi lamentano la manica troppo larga del DOC superiore: "Hanno solo ridotto del 20% le rese (la quantità massima di uva prodotta per ettaro, più è bassa, più l’uva è saporita) quando invece dovevano individuare le zone vocate - ci dice Mario Pojer titolare dell’azienda Pojer e Sandri - Così si è fatto solo confusione, c’è del DOC normale migliore del Superiore. A questo punto la denominazione a noi non interessa".

I titolari dell'azienda Pojer e Sandri.

Sta di fatto che si è aperta una falla significativa: le tre cantine trentine più acclamate, Foradori, Gonzaga e appunto Pojer & Sandri, sono uscite dal sistema, la parola Trentino sulle loro etichette prestigiose non c’è più. "Loro sono conosciuti indipendentemente dal Trentino - commenta Bona - Sarebbe un bene, non per loro ma per tutti, se invece quel nome ci fosse ."

"Certo, il fatto che non si riconoscano nel sistema è indice di un disagio, che è un problema - ammette Peratoner - Comunque fungono sempre – volenti o nolenti – di traino, anche quando lavorano in solitaria. Ci sono altre piccole aziende che cominciano a fare parlare di sé: devono ancora trovare un equilibrio, ma penso che siano importanti."

Bene. Che la terza cantina del territorio giudichi importanti le più piccole che cercano di avviarsi alla qualità è positivo.

Certo che non è stata edificante la vicenda delle "sottozone": il tentativo cioè di creare un ulteriore livello in alto della piramide, indicando delle zone particolarmente vocate, dove produrre vini pregiati. Dopo beghe varie, si sono indicate due sottozone e ci si è fermati lì. "Le grandi aziende della cooperazione, le sottozone non le vogliono - afferma senza peli sulla lingua il prof. Scienza - Gli complica troppo la gestione".

Fausto Peratoner, direttore della Cantina La Vis.

"Io vedo anche un’altra dinamica, - afferma Peratoner - vedo tante aziende che nella loro produzione stanno creando linee di alta qualità, sopra al Doc Superiore." Tra queste aziende, concordano tutti, c’è anche La Vis, e pure - udite, udite! - il colosso Cavit.

Il che però, se indica il diffondersi di una cultura della qualità, è d’altra parte un ulteriore colpo alla piramide, e quindi al discorso d’insieme: se tutti si comportano come se non ci fosse, diventa irrilevante.

"L’evoluzione in atto presenta luci ed ombre - ci dice Mauro Lunelli, il produttore che a capo delle celebri cantine Ferrari, coniuga qualità internazionale e quantità non disprezzabile (4,5 milioni di bottiglie) e la denominazione "Trento Doc" se la tiene stretta - C’è la piramide, ci sono le potenzialità.

Però si bada al quotidiano, non alla prospettiva. Mancano fondazioni solide: cioè manca l’immagine, complessiva e condivisa, del Trentino."

Se, come abbiamo visto, sui discorsi strutturali, di organizzazione della produzione, i passi avanti sono lenti, diverso è il discorso della promozione. La Trentino spa (erede della vecchia Apt, ma che si occupa di promuovere l’insieme dei prodotti trentini, non solo il turismo) ha svolto un lavoro unanimente apprezzato: con le rassegne tipo "VinArt" e "Cantine Aperte", che legano territorio, agricoltura, cultura e turismo; come pure con le manifestazioni di settore, la Mostra dei Vini testè svoltasi, oppure la partecipazione a "Top Wine" (per le produzioni di eccellenza) o alle esposizioni riservate alla grande distribuzione.

"E’ un’attività articolata e flessibile – ci dice Peratoner – E’ importante che sia risultata accettata da tutti."

Tutte queste discussioni sono originate dal paradosso trentino: una zona piccola, che genera una redditività altissima. Vuol dire che ci si lamenta del grasso che cola? No, si teme che il grasso finisca.

In effetti in questi anni c’è stata una mutazione, anche antropologica del coltivatore. Non è più il contadino, è un "imprenditore agricolo"; alla sera non lo trovate nelle osterie, ma nei pub di città e la domenica sui campi da sci. "Non è solo questione di soldi, c’è stata una maturazione culturale profonda: vi hanno lavorato le cantine, l’Esat, San Michele. Coltivare vitigni di pregio non è come coltivare patate - afferma il prof. Scienza.

Ermann Bona, direttore del consorzio Trentino Vini.

"In alcuni settori agroalimentari abbiamo fatto scuola. Soprattutto grazie all’Istituto Agrario. In questa gente si sono accumulate delle competenze che sono un capitale" – afferma Ermann Bona.

A questo va aggiunta la managerialità. "E’ indubbio che nel settore vitivinicolo, a iniziare dalle cooperative, in Trentino ci sia un management di grande livello – afferma il prof. Enrico Zaninotto, docente alla facoltà di Economia.

Tutto bene.

Aggiungiamo che questa imprenditoria è riuscita a espandersi oltre i confini provinciali. La Cantina Mezzacorona ha acquistato in Sicilia dalla tristemente nota famiglia Salvo il Feudo Arancio, trasformandolo in un’azienda di grande qualità. Endrizzi ha acquistato terreni e avviato un’impresa in Toscana; così Foradori; Lunelli in Umbria e ancora in Toscana; de Tarczal in Cile.

"E’ un aspetto logico della globalizzazione. Si reinvestono i consistenti profitti. I trentini hanno soldi per la terra e per gli impianti, hanno la rete commerciale, hanno tecnici migliori, hanno più managerialità, in questo settore" – commenta Scienza.

Bene, di nuovo. Resta il fatto che il Trentino compera il vino veneto, lo rivende a un prezzo molto superiore etichettandolo "Vino delle Venezie" o " delle Dolomiti" e con il surplus paga lautamente i propri agricoltori. Resta il fatto che Mezzacorona in Sicilia produce, con rese di 60-70 quintali/ettaro uno stupendo "Nero d’Avola"; e contemporaneamente commercializza il Teroldego della Rotaliana con rese di 208 quintali/ettaro: comperate i due vini (ripeto, dello stesso produttore) e vedrete se non è vero che la qualità aumenta quando la forza della pianta si concentra in pochi grappoli. Invece i soldi al contadino crescono con il numero dei grappoli. Le contraddizioni dell’attuale benessere ci sono, e sono evidenti.

"L’attuale elevata redditività è stata tanto positiva. Crea ancora elevate aspettative. E questo è ora un elemento di criticità - concorda Peratoner.

Appunto: quanto potrà durare? E si sta facendo tutto perché duri il più possibile?