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QT n. 20, 24 novembre 2001 Servizi

Guerra: e ora che accadrà?

Tre domande al prof. Carlo Saccone, docente di Islamologia, sullo scenario che si apre dopo la vittoria militare.

Lo sfaldarsi del regime talebano, la gioia di una popolazione evidentemente liberata da un’oppressione incomprensibile (taglio delle barbe, volo degli aquiloni, musica alla radio) - e tutto questo trasmesso su tutte le televisioni del pianeta - che conseguenze può avere sul fondamentalismo islamico? O meglio, sulla percezione che del fondamentalismo hanno le popolazioni islamiche? Innanzitutto sulla "qualità della vita" che riserva alla popolazione un rigido regime confessionale.

"E’ troppo presto per fare previsioni plausibili. Certo, apparentemente, si tratta di una sconfitta cocente per il movimento rivoluzionario di Osama Bin Laden, ma non dimentichiamoci che troppe volte la storia ci ha mostrato che la sconfitta sul campo di un movimento religioso si è inopinatamnete trasformata, nel corso del tempo, in un successo straordinario: Gesù docet...

Molto dipende da cosa succederà nei prossimi giorni: agli Americani non conviene fare di Bin Laden un martire uccidendolo o mettendolo nelle condizioni di suicidarsi come già annunciato; ma non c’è da stare allegri neppure con la prospettiva di catturarlo, portarlo in America e gestire un processo difficilissimo, con tutti i media del mondo puntati sulla corte di giustizia: Bin Laden, già trasformato dai media arabi in icona della resistenza al Grande Satana, ci andrebbe a nozze!

Il fondamentalismo non entrerà in crisi dopo la sconfitta patita a Kabul, c’è persino il rischio che si rafforzi. Non dimentichiamoci che Saddam Hosseyn fu mutato dai media arabi in un eroe dopo la sconfitta nella guerra del Golfo, e il suo potere sembra persino essersi rafforzato.

La gioia dei cittadini di Kabul, di Mazar-i Sharif, di Herat è più che comprensibile, ma personalmente credo che abbia a che fare più con il fatto che l’odiata etnia pashtun e i suoi amici stranieri (arabi, pakistani, ecc.) sono stati spazzati via, che non con l’idea di avere guadagnato qualche piccola libertà.

Non dobbiamo dimenticare inoltre che si tratta di un paese dilaniato da vent’anni di guerre e fame, dove chi promette pace e pane è sempre il benvenuto (non erano stati accolti con entusiasmo, inizialmente, anche i Taliban come garanti di una pacificazione?). Insomma, la gioia di questi giorni nelle grandi città a maggioranza non-pashtun va riportata prevalentemente al contesto delle lotte e della perenne faida inter-tribale. Nel sud del paese, a maggioranza pashtun, i Taleban non sono mai stati realmente contestati e la gente se li terrebbe volentieri piuttosto che vedere il paese di nuovo in mano alle altre odiate etnie (tagika, uzbeka, hazara) rappresentate nella vittoriosa Alleanza del Nord le quali, peraltro, non danno certo solide garanzie in materia di diritti civili.

La lunghezza e la violenza della lunga "guerra civile" afghana, che propriamente è stata ed è una guerra inter-etnica e inter-tribale con regia esterna e rivestimento di una patina di querelle religiosa, ci hanno mostrato come, nel breve periodo almeno, la "qualità della vita" degli Afghani sarà meglio garantita da una balcanizzazione del potere secondo linee etniche. Il ruolo di Zahir Shah, in questa prospettiva, sarebbe quello di dare una parvenza di unità a un paese che è e resterà ancora per molto tempo (nella migliore delle ipotesi) una "confederazione di tribù e etnie" più che uno stato moderno

Passando a parlare dei militanti fondamentalisti, la sconfitta di chi si proclama investito da Allah non pone dei dubbi sulla stessa fondatezza dell’investitura?

"E’ pacifico che la fiducia nel capo dei militanti di al-Qaeda (o di quel che ne resterà) sarà quanto meno scossa. Ma basta leggersi l’intervista recente al Mullah Omar (su La Repubblica del 16 novembre: "Distruggeremo l’America: la minaccia del Mullah Omar") per capire la nuova linea del movimento. La dirigenza ha evidentemente già messo nel conto la sconfitta sul campo, si muove ora per presentare la sconfitta nell’ottica ‘escatologica’ di una finale resa dei conti con il Grande Satana americano, di cui la guerra afghana sarebbe in fondo solo un episodio.

La storia religiosa dell’Islam conosce un particolare curioso, che la dice lunga sull’errore di considerare chiusa la partita con la vittoria militare. Vi troviamo infatti una serie nutrita di personaggi in odore di eresia sollevatisi contro il califfo o l’autorità costituita, finiti sulla forca e poi inopinatamente ‘risuscitati’, nel senso che i loro seguaci, magari dispersi, continuano a dire che il tale non è affatto morto, è soltanto sparito da qualche parte ma, assistito da Dio e dagli angeli, continua segretamente a guidare e a ispirare la lotta dei ‘duri e puri’. La storia sciita è piena di personaggi del genere: uno di questi, tale Abu Muslim, si sollevò intorno all’anno 750 proprio tra l’odierno Iran orientale e l’Afghanistan e fu l’artefice della vittoria della nuova dinastia califfale Abbaside sulla precedente Omayyade. Gli Abbasidi, dopo averne sfruttato il talento militare, lo ‘ringraziarono’ dandogli la morte, ma Abu Muslim ‘risusciterà’ prontamente tra i suoi divenendo l’icona di una lunghissima e sanguinosa lotta di resistenza al nuovo potere.

L’esito di questa guerra, con lo stabilimento in terre afghane o limitrofe di nuove basi permanenti anglo-americane analogamente a quanto avvenne in Arabia Saudita con la fine della Guerra del Golfo, porterà nuova acqua al mulino della retorica fondamentalista degli ‘Americani che sfruttano ogni occasione per occupare militarmente le terre dell’Islam con la complicità dei governi musulmani corrotti’: qui sta la possibilità che Bin Laden - morto o suicidato non importa - si trasformi in un redivivo Abu Muslim.

All’interno di questo quadro, è possibile che anche la percezione dell’Occidente da parte dei musulmani cambi in qualche modo?

"Tutto dipenderà dalla gestione mediatica della vittoria militare. L’amministrazione americana si sta muovendo bene all’apparenza. Bush, dopo le gaffe iniziali, va dicendo ad ogni occasione che questa non è una guerra contro l’Islam e persino fa gli auguri ai concittadini musulmani per la festa del Ramadan; si tenta, pare con successo finora, di tenere in piedi una alleanza mondiale con tutti i paesi musulmani moderati. Le chiese cristiane danno una mano: si promuovono appelli all’amicizia e alla fratellanza inter-religiosa, tavole rotonde e incontri per la pace... Persino alla recente conferenza del WTO in Qatar ci si è mostrati una volta tanto più generosi: i medicinali salvavita non sono più tabù e forse, senza fretta, si apriranno di più i mercati europei e americani al commercio con il Terzo e Quarto mondo; Bush parla per la prima volta apertamente di "Stato palestinese" e persino l’incorreggibile Sharon deve abbozzare.

La domanda è: basterà? Le concessioni del WTO sui medicinali e di Bush sullo creazione dello Stato palestinese sono decisioni sagge e piene di buon senso, attese da decenni, decisioni che tuttavia avrebbero avuto un impatto infinitamente superiore se solo fossero state prese una settimana prima dell’ 11 settembre.

Prese solo ora, sotto l’incalzante paura innescata dal terrore e dalla guerra, non rischiano di dimostrare la tesi più temibile del fondamentalismo secondo cui l’egoismo del ricco Occidente non è emendabile e solo il terrore paga?"