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QT n. 8, 21 aprile 2001 Servizi

La scuola è andata avanti: vogliamo parlarne?

In questo campo il centro sinistra ha lavorato bene. Eppure non se ne ricorda.

Ho partecipato, recentemente, al liceo "Da Vinci" di Trento, ad un dibattito con Silvestro Montanaro, giornalista della Rai, sul tema "Globalizzazione e diritti umani". In sala c’erano insegnanti e studenti, di quella scuola, e di altre. E persone, seppure non numerose, della città.

Il penultimo Ministro della Pubblica Istruzione, Luigi Berlinguer, che ha dato l'avvio alle attuali (difficili) riforme.

E’ questo un esempio di scuola che stabilisce rapporti con il territorio: invita esperti da fuori, si rivolge anche ad altri destinatari, sollecita la stampa a raccontare per i lettori. Funziona insomma da "animatore culturale", da nodo di una rete cui possono guardare con fiducia i cittadini.

Le scuole, infatti, in occasioni come questa, si rivelano luoghi di pluralismo e di partecipazione: ad organizzare gli incontri è un collegio docenti, a stanziare i fondi è un consiglio d’istituto. La scuola che si apre al territorio è la "scuola dell’autonomia": essa muove i primi passi, sulla scia della legge approvata dal Parlamento in questi anni, difficili per tanti versi, di governo dell’Ulivo. A presiedere l’incontro al "Da Vinci" è Alberto Conci, un insegnante del liceo, impegnato anche fuori della scuola, nella società civile, e nella Chiesa trentina.

Alberto Conci firma anche una lettera aperta a Francesco Rutelli, "…se ha ancora senso", pubblicata, a nome del collettivo redazionale, su Il Margine (n.9-2000). La rivista, con ormai vent’anni di storia, si ispira al cristianesimo di Oscar Romero, di Lorenzo Milani, di Giuseppe Dossetti, e in Trentino svolge una funzione importante.

La lettera propone, in campagna elettorale, una concezione alta della politica. I temi discussi sono i diritti di cittadinanza, la legalità e la giustizia, la pace e l’accoglienza degli immigrati, l’economia e il lavoro, l’ambiente, la bioetica, la laicità.

Della scuola si parla con amarezza. Il progetto riformatore dell’Ulivo, afferma Alberto Conci, è rimasto in gran parte inattuato, perché la scuola è stata investita da "una bufera di logiche estranee": la logica dell’impresa e della concorrenza; quella degli schieramenti politici (il revisionismo storico che riscatta il fascismo, e vuole censurare i libri di testo); un’identità familiare che pretende di dare ai figli una propria scuola, omogenea, preferibilmente cattolica; la logica che subordina la scuola all’economia (le "i" dell’impresa, dell’inglese, di Internet!) e riduce gli insegnanti ad impiegati.

L'attuale Ministro della Pubblica Istruzione, Tullio De Mauro.

Queste sono pressioni che verifichiamo ogni giorno. Ma la loro presenza non mi sorprende: la scuola non è un’isola, è parte del continente. Ribollono nella società le pulsioni più varie, e la scuola è al crocevia: su di essa si scaricano fatalmente le "crisi", cioè le trasformazioni, della famiglia e dell’impresa, dei giovani e degli insegnanti, del lavoro e dei mezzi di comunicazione.

La scuola è condannata ad essere "specchio": vi arriva la domanda di Internet e di revisionismo, di identità e di libri fidati, anche di "prodotti" finiti e obbedienti, cioè di diplomati pronti per l’uso. Continuerà ad arrivare questa domanda, appesantita addirittura.

Ma la scuola può rispondere alle domande, varie e in conflitto fra loro, cioè non tutte estranee e negative, offrendosi come soggetto che elabora, ricerca, e corregge. Mostrando le antinomie, le esigenze legittime, ma contraddittorie, cui deve far fronte.

A me pare che le riforme approvate in questi anni, e in cantiere, accompagnino e favoriscano, dentro la scuola, processi positivi di lavoro e di ricerca. La prima è quella sull’autonomia, già ricordata, e della quale il liceo "Da Vinci" ha dato un esempio significativo. E’ un fatto negativo, la concorrenza ad imitazione d’impresa, se un altr’anno, in altre scuole di Trento, o a Rovereto, a Cles, a Tione, altre scuole organizzeranno analoghi incontri? Se faranno parlare gli studenti e gli insegnanti, di classi e di scuole diverse, e richiameranno in aula qualche adulto che in quella scuola ha studiato da giovane, e poi se ne andò libero, sicuro di non rimetterci piede, se non come genitore ad udienza, con in mano il cappello?

A scuola, da qualche anno, insegniamo il Novecento: più che una sequenza storica, il "secolo breve" è un’esperienza di vita. La storia contemporanea, a scuola, ha sempre suscitato polemiche, perché comporta dei rischi: eppure il cambiamento si è avviato, e così insegnanti e studenti, oggi possono, devono anzi, riflettere, con punti di vista diversi, sul fascismo e sul comunismo, sull’identità e sulla globalizzazione, su Prodi, su Berlusconi, su Kofi Annan.

Oggi è in vigore lo Statuto degli studenti e delle studentesse, che dentro la scuola definisce diritti e doveri per tutti gli attori, innanzi tutto cittadini in relazione, con i loro pensieri e le loro emozioni.

La riforma dell’esame finale era attesa da anni. Certo, molti pensavano, a rimedio del lassismo addebitato al ’68, che si sarebbe limitata a costringere gli studenti a studiare di più, tutte le discipline di sempre, e insegnate come nei secoli andati. Ne è venuto invece il pluralismo linguistico, un modo nuovo di insegnare e imparare la lingua: non più solo il tema, ma il saggio, il commento, l’articolo, la relazione, l’analisi, la lettera, l’intervista, la recensione. E poi l’interdisciplinarità della terza prova e del nuovo colloquio, e l’adozione di metodi più aggiornati nella valutazione.

Sono processi avviati da poco, ma io vedo i primi frutti nell’impegno e nei comportamenti di parecchi insegnanti e studenti. Sui singoli aspetti ognuno di noi può avere le proprie obiezioni: le commissioni d’esame, ad esempio, io le avrei preferite composte esclusivamente di esaminatori esterni, per segnare una discontinuità più forte fra scuola ed esame, per valutare non solo gli studenti, ma anche la scuola e gli insegnanti. Quando mi sono accorto che quasi nessuno era d’accordo con me, ho finito anch’io per acconciarmi alle commissioni miste.

La riforma dei cicli scolastici, e dell’università, tende a collegare la nostra scuola all’ Europa. Affronta il problema della dispersione scolastica, unifica elementari e medie nella scuola di base, prolunga il diritto allo studio, non solo nella scuola secondaria, ma nella formazione professionale e sul lavoro. Avremo più diplomati e laureati, fra qualche anno. Soprattutto non sarà più una scuola che pretende di trasmettere un sapere enciclopedico, ma competenze e capacità che permettano a ogni persona di continuare ad imparare per tutta la vita. La centralità delle discipline è sostituita dai bisogni e dai problemi, che i bambini e i giovani vivono, e a cui le discipline, intrecciate, dovranno dare risposta.

Su ogni aspetto il dibattito è ancora vivace, le resistenze, e i dubbi, sono notevoli. L’obiettivo, in una società delle conoscenze, è di concludere a 18 anni, con la maggiore età, la "formazione" per tutti, attraverso percorsi diversi, adatti ai ritmi e agli stili di apprendimento di ognuno.

L’attuazione richiederà tempo, impegno, risorse, anche capacità di correggere ciò che l’esperienza dimostrerà non funzionare. Se vincerà il centro-destra, il progetto sarà bloccato, l’hanno promesso.

Anche per quanto riguarda la formazione degli insegnanti, si è finalmente riconosciuto che non basta sapere per sapere insegnare. E si è messo il dito, seppure in modo maldestro, sulla valutazione degli stessi: io non mi sento umiliato, se la società pretende, tre volte nella vita, di verificare la mia professionalità.

Leggendo il contributo de Il Margine, mi domando perché non si discutono queste riforme, e i problemi connessi. Eppure nel collettivo vi sono docenti informati: Michele Dossi, Fabrizio Mattevi, Silvano Zucal, Michele Nicoletti, Nestore Pirillo, e altri ancora. Vi è Vincenzo Passerini, consigliere provinciale, ed ex-assessore all’istruzione. Vi è persino Giorgio Tonini, che è il responsabile nazionale della scuola del maggiore partito della coalizione, i Democratici di sinistra. E vi è Giovanni Kessler, oggi candidato al Parlamento per l’Ulivo, che, uomo di codici e di pandette, ha bisogno, e diritto, di sapere da amici esperti come stanno le cose.

Nella lettera a Rutelli, redatta da Alberto Conci, queste riforme non vengono né approvate né respinte. Esse sono ignorate. Le ignorano anche Luigi Olivieri e Sandro Schmid, quando tracciano insieme, da parlamentari e amici, prima della rottura, il bilancio della legislatura sulla rivista locale del loro partito, i DS: in tre pagine, fra giustizia e trasporti, finanza e commerci, la scuola non merita nemmeno una riga.

E’ stato un miracolo, con i ministri Luigi Berlinguer e Tullio De Mauro al governo, che la scuola sia stata trascinata al centro dell’attenzione della società. Che sulla stampa abbia suscitato polemiche vere, e non solo i pezzi di colore dedicati all’inizio dell’anno scolastico e agli esami di maturità, a cui eravamo abituati nei lunghi anni dell’immobilismo. Le polemiche sono state feroci, come è giusto, quando si toccano nervi strategici.

Fate i nomi diceva, a suo tempo, don Lorenzo Milani. Certo, a fare opinione sono Angelo Panebianco, Ernesto Galli della Loggia, e Mario Pirani, che sul Corriere della sera e sulla Repubblica, come effetto delle riforme, paventano la catastrofe della cultura. E qui in Trentino, Franco De Battaglia e Alessandro Tamburini, sull’Alto Adige e su l’Adige, ripetono quelle opinioni.

Le voci a difesa, o di critica costruttiva (penso al saggio di Renzo Bonaiuti, sull’ultimo numero di Testimonianze) sono state travolte, anche nella coscienza di parecchi insegnanti.

Perché, mi domando. E rispondo così. Le riforme, urgenti, sono arrivate in un momento di "crisi" della democrazia. I sindacati tutti, tranne la Cgil, che hanno sempre, è ovvio, qualcosa di più urgente da contrattare, vi hanno visto prevalentemente dei rischi, e così si sono schierati all’opposizione.

Le "commissioni scuola" dei partiti politici, che elaboravano e socializzavano idee, in riunioni frequenti e defatiganti, non esistono più. E non può bastare il convegno, meritorio ma occasionale, come quello organizzato dai DS con Giancarlo Cerini, e presieduto da Vincenzo Passerini (!), a sostituirle.

Se sono ostruiti i canali della partecipazione, non bastano le informazioni che pure vengono dal ministero: i lavori delle varie commissioni sono stati pubblicati sulle riviste di carta, su Cd, su Internet. Iter, la rivista dell’Enciclopedia Italiana, è stata distribuita in questi anni nelle scuole gratuitamente, ma finiva in fretta ad intasare i cestini dei rifiuti.

Ciò che considero più preoccupante è che non sia riuscita ad affermarsi l’opinione delle associazioni professionali degli insegnanti, laiche e cattoliche, che hanno partecipato all’elaborazione delle riforme: Cidi, Mce, Aimc, Uciim.

Io non penso che la battaglia sia persa. La scuola, intanto, non appartiene agli insegnanti. Quando entrai ad insegnare per la prima volta in un’aula, ero ancora studente all’università, trovai i docenti inferociti contro la riforma d’allora, appena approvata nel ’63 dal Parlamento, quella della scuola media unica proclamata diritto di tutti i ragazzi d’Italia. Pronosticavano una catastrofe, con le applicazioni tecniche e senza latino. Io guardavo i colleghi anziani spaesato, poi ho capito che quella era la più bella legge della storia della Repubblica.

Oggi sono un poco più ottimista. Nella mia scuola, dopo il corso d’aggiornamento, i favorevoli alle riforme, cioè al confronto e all’impegno, sono cresciuti. Quando abbiamo invitato Gabriele Anzellotti, preside della Facoltà di Scienze nella nostra università, e che delle riforme è uno dei protagonisti, egli ha parlato e ha spiegato, ma ci ha anche ascoltati. Se i canali tradizionali si sono usurati, se ne stanno aprendo di nuovi.

Io, poi, sarò un ingenuo, ma avendo conosciuto personalmente il pedagogista Maragliano e la psicologa Pontecorvo, l’ingegner Fierli e lo storico De Bernardi, il maestro Lodi e l’ispettrice Bertonelli, il linguista Corno e il matematico Anzellotti, da essi, nelle commissioni, mi sento rappresentato. Pensate: credevo che Legambiente si occupasse solo di fiori e di uccelli, cose importanti, sia chiaro. Fin quando un collega ed amico mi ha fatto conoscere l’area "formativa" dell’associazione, e mi sono iscritto: da allora anche Vittorio Cogliati Dezza mi rappresenta, bene, lassù.

Spesso, dietro l’obiezione di metodo ("non siamo stati coinvolti!") si nasconde un’obiezione di merito. Sandro Onofri, un insegnante prematuramente scomparso, attribuisce, nel suo "Registro di classe", a un decreto ministeriale improvviso e calato dall’alto, l’abolizione del "tema di italiano". Si schiera così con Giulio Ferroni, e contro Tullio De Mauro, ma soprattutto contro quegli insegnanti che, da decenni, sperimentano nuove pratiche di educazione linguistica.

Un’ultima questione, di fondo, vorrei discutere con gli amici de Il Margine: il timore che la scuola finisca preda dei "valori" dell’impresa. E’ un timore diffuso a sinistra e fra i cattolici, presente anche in interventi e in lettere sulle pagine di Questotrentino.

Io penso che subordinare la persona all’economia e alla tecnica sia inaccettabile. Ma l’individuo potremo salvarlo semplicemente negando le "ragioni" della modernità? Io insegno in un Istituto tecnico industriale, e i miei studenti frequentano degli stages estivi in azienda: io mi auguro che la scuola dell’autonomia riesca ad estendere queste esperienze, di incontro fra scuola e lavoro.

La "formazione critica" che la scuola fornisce, fatta di umanesimo, di scienza, di tecnica, in dialogo fra loro, continuo e problematico, dovrebbe esercitarsi lì, dove si produce, si consuma, e dove poi si è cittadini. La scuola è attraversata dalle antinomie, istruzione e formazione, lavoro specialistico e cittadinanza, pensiero ed emozione: esigenze ugualmente legittime e contraddittorie. Sono la difficoltà e il fascino di questo mestiere.

Se io il 13 maggio torno a votare, è perché la discussione su questi problemi è diventata più seria, e l’esito dello scontro non è ancora deciso.