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QT n. 11, 27 maggio 2000 Servizi

E il Verbo si è fatto comunicazione mediatica

Nel silenzio dei profeti di strada, senza miracoli, emerge il fragore di Fatima. Il contrasto tra la Chiesa del miracolo e quella del riscatto degli ultimi.

don Mazzi Enzo

La sagace gestione mediatica dell’evento Fatima è una conferma della capacità di dominio degli strumenti di comunicazione che possiede la gerarchia cattolica vaticana. Il dominio del simbolico e della comunicazione del resto è nel Dna genetico del potere ecclesiastico. “Il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria”: il gene di tale dominio è in affermazioni come questa contenuta nella introduzione del Vangelo di Giovanni, scritto proprio quando la primitiva comunità circolare di seguaci di Gesù, società di uguali, donne e uomini, schiavi e liberi, ebrei e pagani, senza “padri né maestri né dottori”, si stava trasformando nella Chiesa gerarchica. Gestire dall’alto di un potere blindato la Parola stessa fatta carne, simbolo per eccellenza, regolare in modo esclusivo la sua conoscenza e contemplazione, difenderla da ogni intrusione e contaminazione con l’errore e quindi impedire l’eresia, cioè il pluralismo della conoscenza, questo è stato uno dei motivi di fondo da cui nacque la Chiesa gerarchica. E oggi un tale gene consente alla gerarchia di gestire magistralmente i nuovi media. Se vivesse oggi Giovanni potrebbe scrivere: “E il Verbo si è fatto comunicazione mediatica globale”. E’ così che un evento come Fatima, in sé sfuocato se non inconsistente nella sostanza, come ammette perfino la gerarchia ecclesiastica, può occupare per settimane giornali, televisioni, reti informatiche. Ma c’è il risvolto contraddittorio. La comunicazione mediatica distrugge velocemente ciò che crea. Entro poco tempo altri eventi invaderanno la scena e il segreto rivelato non sarà più nemmeno un ricordo, ma solo rottamazione. Resta il problema del sacro e del mistero come intrigante componente della ricerca del senso della nostra vita e della nostra fede, di ogni fede, laica e religiosa. E anche della fede laica-religiosa. Perché esiste una ricerca di laicità che non esclude Dio e una ricerca di fede religiosa perennemente aperta e fondata sulle relazioni paritarie fra persone, fra “alterità” che si confrontano, piuttosto che sulla autorità e sul dogma. Fatima tende a dare la solita risposta semplificatrice al problema del mistero: il miracolo.

Il card. Ratzinger si affanna a dire che le “rivelazioni private” come quella di Fatima non sono dogmi, si può non crederci, sono altra cosa rispetto alla “Rivelazione” per così dire ufficiale. Certo che c’è differenza abissale fra la rivelazione di Fatima e la Rivelazione ad esempio del Vangelo. Ma questo vale coerentemente per chi, fedele alla storia e alla testimonianza del Vangelo, vede Gesù come “Figlio dell’uomo”, uomo fra gli uomini e le donne, segno pienamente o se si vuole sommamente trasparente della presenza viva di Dio. Non mi sembra invece che sia coerente il cardinale Ratzinger nel separare nettamente Fatima dall’evento della rivelazione biblica, perché sia Gesù che Fatima sono visti dal Prefetto della Congregazione vaticana della fede nell’orizzonte del miracolo. In realtà il potere ecclesiastico, da quando si è costituito già nei primi secoli del cristianesimo, ha sempre abbinato Rivelazione e miracolo. Gesù stesso, Rivelazione somma anzi assoluta, è ritenuto tale proprio in quanto “è il miracolo”, cioè l’incarnazione di Dio, l’irruzione di Dio nel mondo e nella storia, al di fuori delle leggi della natura. Gesù, secondo il dogma, è vero Dio e vero uomo insieme, concepito e partorito al di fuori delle normali leggi della procreazione, morto come uomo ma non come Dio, risuscitato, apparso vivo con le stigmate della passione… I miei dubbi non si fermano dunque alla rivelazione di Fatima ma investono questa sintesi complessiva Rivelazione-miracolo come risposta alla ricerca umana di verità e di senso a cospetto del mistero che fonda e circonda il cosmo e la vita.

Ma è proprio necessario il miracolo? Non è già piena di miracoli per così dire naturali la realtà cosmica e la vita? Perché il miracolo? Una risposta adeguata è complessa e chiederebbe molto più che poche parole. Forse all’origine dell’invenzione del miracolo c’è la percezione di una specie di insostenibilità dell’angoscia che incute il mistero e specialmente il mistero della morte. “Chi vede Dio muore” dice la Bibbia. Non è illuminante e inquietante questo abbinamento fra Dio, mistero assoluto, e la morte? Per vincere la morte, o forse l’angoscia della morte, fra Dio e l’essere umano s’interpone la mediazione, il velo pietoso del “sacro”: persone sacre come i sacerdoti a mezzo fra Dio e uomo; istituzioni sacre come le Chiese, nel mondo ma non del mondo, rette da uomini peccatori che hanno necessità di chiedere perdono e tuttavia infallibili e indefettibili; eventi sacri che rivelano e nascondono; luoghi sacri dove si può incontrare Dio senza morire; gesti sacri tratti dalla quotidianità, come il mangiare il pane e bere il vino, che però sono “transunstanziati” e trasmettono la “vita eterna” e infine irruzioni sulla scena della storia di emissari divini, come la Madonna, che appaiono e non-appaiono, che rivelano e non-rivelano (i segreti…). La domanda sul miracolo si sposta allora sulla necessità e sul perché del “sacro”. Perché tutta questa macchinosa architettura di mediazione fra l’essere umano e il mistero?

Forse al fondo di tutto questo c’è la non accettazione della finitezza dell’esistenza e della morte. Forse duemila anni di miracolo e di sacro ci hanno impedito di crescere nella consapevolezza e nella accettazione umile di esseri finiti. Siamo ancora alla ricerca della immortalità. E la troviamo appunto nella religione del sacro e del miracolo. Per la teologia ufficiale Gesù è il miracolo che vince la morte con la sua morte. Il suo sacrificio ci dona la vita immortale, eterna. Questa teologia miracolistica-sacrificale è contestata dalla Teologia della liberazione. Padre Ignazio Ellacuria, gesuita salvadoregno, stimato teologo della liberazione, ad esempio afferma che la cornice sacrificale-sacrale tende a nascondere la realtà storica e a distogliere la gente, i poveri, dalla lotta per la giustizia. Non è vero che Dio è il padre che manda il proprio figlio, miracolo assoluto, perché col suo sacrificio redima l’umanità e doni la vita eterna. Gesù è morto non per compiere il miracolo salvifico, ma è stato ucciso a causa della vita storica che condusse. Perché si oppose alla violenza del potere e favorì un movimento dal basso di opposizione non-violenta e creativa. Padre Ellacuria, per la diffusione di queste idee di liberazione, fu massacrato insieme ad altri cinque confratelli e due donne inservienti, nell’Università centroamericana a San Salvador, negli anni Ottanta. Fu ucciso in quell’orrendo massacro latino-americano di comunità di base, catechisti, preti, teologi, vescovi che coscientizzavano. In Europa non ci fu massacro ma repressione dura della Chiesa dei poveri, della Chiesa della liberazione, della Chiesa conciliare e delle comunità di base. E oggi c’è un grande silenzio. E nel silenzio delle voci della coscientizzazione liberatrice ha di nuovo buon gioco la strumentalizzazione del miracolo e del sacro. In America Latina imperversano ad esempio le cosiddette sette spiritualiste e nella stessa Chiesa cattolica ha ripreso il sopravvento il sacramentalismo. Da noi non va molto diversamente. E’ stata sconfitta la “Chiesa dei poveri”, si è imposto il dominio della “Chiesa per i poveri”. Nel silenzio dei profeti di strada senza miracoli emerge il fragore anche di Fatima. E infine si svela il disegno reale: il miracolismo e la sacralità dei poteri religiosi e delle loro istituzioni ha abbattuto ogni barriera che si opponeva al trionfo del dio mercato e al suo dominio globale e planetario. Ecco svelato forse anche il vero segreto di Fatima, non quello del martirio di uomini del sacro ma, dietro il paravento della lotta all’ateismo, l’annullamento dei progetti positivi e creativi di riscatto, protagonismo e centralità degli impoveriti ed emarginati, dei dannati della terra. La speranza, e forse più che una speranza una percezione non illusoria, viene dal fuoco che cova ovunque sotto la cenere. Il silenzio non è vuoto ma è gestazione.