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Embargo stupidità o infamia?

Un anno dopo: noi e la Jugoslavia.

Un anno fa di questi giorni stava per cominciare la guerra della NATO contro la Repubblica Federale Jugoslava per la questione del Kossovo. Guerra durata due mesi, effettuata soprattutto con attacchi aerei contro obiettivi civili e industriali (case di abitazione, centrali elettriche, strade, ponti, ospedali, scuole, fabbriche), che hanno provocato migliaia di vittime. La motivazione adottata dalla NATO era di fermare la pulizia etnica dei serbi contro gli albanesi e di indebolire o eliminare il regime autoritario di Milosevic, tanto che l’intervento venne definito etico o umanitario.

Dal punto di vista giuridico la guerra ha violato l’art. 5 della NATO e l’art. 51 dell’ONU e, per quanto riguarda l’Italia, l’art. 111 della Costituzione ("l’Italia ripudia la guerra") e gli art. 78 ("Le Camere deliberano lo stato di guerra") e 87 ("il presidente della Repubblica dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere"). Bisognerà fare un bilancio di quanto è successo, una riflessione approfondita sui guasti che la guerra ha provocato nelle convinzioni dei cittadini, e sulle conseguenze che ha determinato rispetto agli scopi dichiarati. Milosevic infatti è sempre al potere; non esiste una opposizione democratica degna di questo nome; la Serbia è semidistrutta; la pulizia etnica in Kossovo continua all’incontrario, essendo ora gli albanesi che cacciano i serbi, nonostante la presenza delle truppe NATO. Si potrebbe dire che la guerra è stata fatta per nulla, e che l’opinione pubblica occidentale è stata ingannata da una propaganda forsennata che mascherava i veri obiettivi dell’intervento.

Non dubito che in occasione dell’anniversario appariranno prese di posizione a favore dell’una o dell’altra tesi. Sarei lieto se la sinistra approfittasse dell’occasione non dico per "chiedere scusa" (come giustamente e degnamente fa il Papa), ma almeno per ammettere due errori, di aver partecipato ad una guerra non necessaria, e di aver coinvolto il popolo italiano senza neppure chiedergli il permesso per il tramite dei suoi rappresentanti, i deputati e i senatori. Duplice ferita al valore della pace, che fa parte integrante del patrimonio culturale della sinistra, e a quello della Costituzione, punto di arrivo dell’antifascismo e della Resistenza. Duplice ferita che ha provocato un profondo smarrimento, anche fra coloro che condividevano le ragioni dell’intervento, e ha aperto nuovi varchi alla destra e al suo decisionismo.

Ame tuttavia preme ora un’altra considerazione. Perché continua l’embargo contro la Repubblica Jugoslava, e in particolare contro la Serbia?

La storia delle sanzioni economiche è complessa, risale ai fatti della Bosnia, si articola in numerosi provvedimenti del Consiglio dell’Unione Europea nel corso del 1998, nei primi mesi del 1999 precedenti la guerra, e nel corso dell’intervento armato. Lo scopo dichiarato era quello di contribuire alla vittoria militare, il che è comprensibile, e di sollecitare il popolo serbo a liberarsi del potere di Milosevic: il che è meno comprensibile perché, com’è noto, la democrazia non è esportabile. A distanza ormai di 9 mesi dalla fine dell’intervento militare si può ragionevolmente affermare che le sanzioni economiche si sono rivelate inutili per quanto riguarda la caduta di Milosevic, che fino a questo momento ha sbaragliato le opposizioni. Sono state invece molto efficaci per l’affamamento delle popolazioni e per la mancata ricostruzione dello Stato serbo. Credo che proseguire l’embargo significhi fare un favore al potere di Milosevic, e continuare a punire il popolo serbo per colpe non sue. Mi chiedo, e lo chiedo ad altri commentatori, se questa politica sia conforme ai principi dell’Unione e rafforzi la credibilità dell’Europa.

Mi ha molto colpito l’art. 5 della deliberazione n° 1999/318/Pesc del 10 maggio 1999 del Consiglio dell’Unione Europea che dice testualmente: "E’ vietata l’esportazione nella Repubblica federale Jugoslava di merci, servizi, tecnologia o attrezzature atti a riparare i danni causati da attacchi aerei a beni, infrastrutture o attrezzature (il grassetto è mio) che consentano al Governo della RFJ di proseguire la sua politica di repressione interna".

La disposizione, che è tutt’ora in vigore a 9 mesi dalla fine della guerra, è ambigua e di un cinismo impressionante. Da un lato apre la possibilità di evadere l’embargo (ma di fatto nessuno ne ha approfittato), dall’altro invece ribadisce che nessun aiuto al popolo serbo è possibile perché favorirebbe la politica di repressione del governo Milosevic.

Non capisco la logica del provvedimento: a me sembra ispirato dalla pura vendetta. Come potremo spiegarlo ai bambini(e ai loro genitori) degli asili nido distrutti dalla NATO? E’ davvero credibile che la ricostruzione delle scuole, la fornitura di quaderni e matite rafforzi il potere di Milosevich? Non vedo il nesso: penso anzi che succederebbe il contrario.

E cosa diremo ai pazienti degli ospedali di Belgrado? Che l’insulina o i disinfettanti fanno bene a Milosevic? E agli operai della Zastava, cosa racconteremo?

E’ incredibile che l’Europa, che pure ha avuto l’esperienza del piano Marshall, non capisca che solo quando le esigenze primarie sono soddisfatte si può pensare alla democrazia. Ancora più incredibile è che l’Europa di Dante, di Kant, di Beethoven e di Cartesio si comporti, senza arrossire, come il cupo regno del cannibale Bokassa.

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