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QT n. 6, 18 marzo 2000 Fondo

Nel nome della libertà

Liberale, liberista, libertario, Polo della libertà, casa della libertà, guerrieri della libertà: cos’è mai questa orgia di libertà? C’è forse in giro qualche minaccia incombente per la libertà? E’, questo della difesa della libertà, il problema più urgente nel presente momento della nostra vita nazionale?

E’ vero che non tutti siamo liberi nella stessa misura. Non tutti siamo liberi di disporre di tre reti televisive per piazzare i nostri predicozzi. O di mettere in campo una nave ed alcuni aerei per sviluppare una campagna pubblicitaria per cielo per mare e per terra. Ma la libertà di fare queste cose è teoricamente assicurata a tutti. Anche se solo qualcuno è più libero degli altri perché ha il denaro sufficiente e necessario per tradurre la libertà teorica in libertà effettiva. Il problema dunque vero non è quello della libertà, ma semmai è quello di realizzare una tendenziale ugualianza nell’esercizio della libertà. Questo di contemperare i due grandi valori della rivoluzione francese, liberté ed égalité, fra di loro contraddittori, è il grande tema della nostra epoca. Un regime di uguaglianza coatta spegne la libera espressione delle identità individuali. Un regime di libertà senza limiti dà sfogo al predominio dei più attivi, dei più forti, dei più ricchi, che raramente sono i migliori, a scapito di coloro che la natura o le condizioni sociali o la sventura hanno reso deboli, poveri, sfortunati. Libertà ed uguaglianza, con anche almeno un po’ di fraternità, sono i valori che in una società bene ordinata vanno dosati in un giusto equilibrio dinamico. Questo è il retaggio più alto della nostra tormentata civiltà europea. Ed allora come si spiega questa grancassa, questa insistenza dominante, ossessiva, questa vera e propria monomania sulla sola libertà?

Non a caso il monopolista televisivo, Silvio Berlusconi, si è accaparrato anche il monopolio della libertà ed ha tentato di assorbire Pannella e la Bonino, che, con la loro strategia referendaria, mirano a sgretolare tutto quanto in decenni di lotta la sinistra politica e sociale è riuscita a costruire per attutire le disuguaglianze, cioè appunto lo stato sociale. Non a caso, perché l’uno e gli altri, per interessi e con fini probabilmente diversi, perseguono un modello di organizzazione sociale darwiniano, corrispondente cioè allo stato di natura primitiva in cui vale soltanto la legge del più forte o del più furbo. Homo homini lupus. La libertà diventa licenza e l’articolo tre della Costituzione, che impegna la Repubblica a "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitandio di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana", è semplicemente cancellato.

La combinazione non è riuscita perché Casini e Buttiglione non potevano conciliare la loro cultura di destra cattolica con il divorzio, la non punibilità dell’aborto, la legalizzazione della droga e la convivenza formalizzata fra omosessuali che caraterizzano il decalogo dei radicali. Berlusconi, dovendo scegliere fra il moderatismo cattolico e le frange spericolate del pannellismo, non ha esitato a mollare Marco ed Emma. Ha perso una scheggia, forse la più pazza, ma è riuscito a mettere assieme una ammucchiata di segmenti della nostra società che probabilmente erano destinati ad incontrarsi proprio per ciò che hanno in comune: cioè di essere, in misura magari diversa, il peggio che offre il mercato nazionale. Il partito azienda, carico di un conflitto di interessi clamoroso e di una ostilità eversiva nei confronti del potere giudiziario. Il proporzionalismo elettorale che come una zavorra trattiene il nostro sistema politico nella palude del consociativismo. Il trasformismo senza principi che infetta il costume parlamentare. Il conservatorismo cattolico e la fobia per un comunismo ormai archiviato. Il ribellismo becero e velleitario di Bossi, intriso di turpi simpatie per i sentimenti xenofobi di Haider. I rimasugli mefitici del craxismo postumo. In una tale compagnia Gianfranco Fini quasi quasi fa una sua figura più rispettabile, sebbene appaia totalmente succube del capo e benché nella storia del suo partito vi siano le stigmate che sappiamo, non del tutto cancellate.

Nel 1994 Silvio Berlusconi ebbe la straordinaria abilità di costituire un alleanza vincente con Bossi e Fini. Oggi ritenta il colpo. Ma se allora fu un dramma, sia pura di breve durata, oggi si replica in chiave farsesca. L’arcobaleno dopo tutto, se non è un miraggio, ha comunque la consistenza di una illusione ottica. A farlo sorgere possono essere soltanto gli indugi, le miserie, insomma gli errori dell’Ulivo e del centro-sinistra. Cominciare a rendercene conto è già una buona partenza.

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