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QT n. 15, 12 settembre 1998 Cover story

Dellai rifà la DC. E la sinistra, si accoda?

Dopo Tarcisio Grandi, Dellai imbarca tutto il sottobosco democristiano. E attacca le riforme della sinistra. La quale oscilla tra patetica sudditanza, voglia di non vedere, necessità di reagire. Il problema è che...

Quando all'ultimo congresso di Comano Terme Lorenzo Dellai fu eletto segretario dei Popolari, fra il giubilo della stampa e l'aperta soddisfazione di tutto il centrosinistra, un piccolo tarlo disturbava il tripudio generale. Riguardava le modalità della vittoria, ottenuta grazie al voltafaccia dell'abominevole Tarcisio Grandi, il quale in perfetta sintonia con una vita da tramacione della politica all'ultimo minuto aveva abbandonato i propri alleati per far vincere il supersindaco: "Ma come? si diceva il Dellai che vuole rinnovare la politica, portare il Trentino oltre il doroteismo, è costretto ad accettare questi mezzucci? E quale scotto dovrà poi pagare a Grandi?"

A pochi mesi di distanza quegli interrogativi rischiano di risultare oziosi, ingenui. Il percorso su cui si è avviato il supersindaco, con il varo di una propria lista civica, la Margherita, è ormai ben delineato; ma molto diverso da quanto in molti si aspettavano.

"Il fatto è che in queste elezioni Dellai si gioca tutto, punta tutto il suo capitale su una partita sola -ci dice un osservatore, diventato molto scettico- Per questo suo coraggio non posso che ammirarlo. Però..."

Questo è forse il punto base. Il progetto della Lista Civica di Dellai è basato esclusivamente sull'uomo Dellai: è lui che decide linea e strategia, lui che sceglie i candidati, è sulla sua credibilità, sul suo appeal mediatico che si basa tutto il progetto. Il partito di cui pur è segretario (il Partito popolare) è scomparso; è rimasta solo la sua figura, il leader osannato (ma non più come una volta) dalla stampa. In questa solitudine, con questa sovraesposizione anche un po' grottesca, Dellai si gioca tutto. Per correre verso Piazza Dante deve rinunciare alla poltrona di sindaco; se perde, o anche se solo ha un risultato modesto, il baraccone che si è costruito intorno non può non crollare -oltre al presunto carisma del superleader c'è ben poco- e a quel punto inizierebbe la resa dei conti.

Di qui l'assoluta necessità, l'ansia di Dellai di vincere. E a questo punto, di vincere a tutti i costi.

Anche al prezzo di contraddirsi, di imboccare una strada opposta a quella che lo rese vincitore nel '95 al Comune di Trento. Allora, con grande coraggio ed intuizione, frantumò la Dc, mise in un angolo i democristiani (ex sindaci e assessori) più compromessi, strinse un'alleanza con la sinistra prefigurando quello che sarebbe poi stato l'Ulivo di Prodi. Oggi invece... "Non è l'uomo che è cambiato, sono le condizioni ad essere diverse -commenta Giorgio Tonini, ex Dc anche lui, ed approdato invece a sinistra- Al Comune c'era il maggioritario, il che vuoi dire distinzioni nette, da una parte o dall'altra, conservazione o riforme: oggi in Provincia, malauguratamente c'è ancora il proporzionale, e quindi fortissima è la tentazione di pescare nella grande palude, l'area indistinta del centro..."

E difatti Dellai si è messo ad aggregare nella Margherita tutta una serie di notabili, che con il centrosinistra non hanno nulla da spartire: basti pensare ad alcuni sindaci, Gilmozzi di Cavalese, oppure Molinari di Riva e D'Andrea di Borgo, eletti in aperta e talora aspra contrapposizione alle liste dell'Ulivo. E per ribadire la presa di distanza, il sindaco si è pesantemente rifiutato, nonostante le pressanti richieste degli altri partiti del centro-sinistra, di mettere nel simbolo della sua lista la dizione "per l'Ulivo".

Ma questo è solo il piano dei rapporti dei partiti. Ancora più illuminante quello dei contenuti. A cominciare da uno dei nodi del Trentino, il viluppo amministrazione autonomistica- burocrazia, che la breve esperienza della giunta provinciale Ulivo-Patt aveva tentato di sciogliere attraverso la legge Bondi (fine dei comprensori, decentramento dalla Pat ai Comuni, aggregazione dei Comuni stessi in entità più robuste): una legge avversata dal sottobosco politico -tradizionalmente democristiano doc - prosperato attorno all'inutile baracca comprensoriale.

Bene; Dellai, nell'ansia di occupare ogni spazio ex-Dc cosa fa? Mette in lista i comprensorialisti più accaniti (Pederzolli presidente del C5, Alberti del C8 ed altri ancora) e conseguentemente si mette a contestare la legge Bondi, che pur aveva avallato e che dovrebbe essere patrimonio del riformismo ulivista.

E così sull'ambiente: per ingraziarsi alcune frange del mondo industriale, viene rilanciato il bolso cavallo della PiRuBi; si bolla come "vincolistica" la legislazione ambientale dei tempi di Micheli; si lanciano messaggi ambigui sui contenuti della prossima revisione del Pup.

Infine, per essere ancora più chiaro sulla svolta conservatrice, Dellai attacca frontalmente e sprezzantemente l'insieme del tentativo riformista della passata giunta Ulivo-Patt ( "Non saranno certo le iniziative legislative degli assessori di sinistra a qualificare il programma dell'Ulivo"), allineandosi quindi con quanti (Valduga, Tretter, ecc.) quell'esperienza riformatrice hanno affossato.

Come mai? Ormai è evidente; Dellai pensa di pescare in quel bacino elettorale, e quindi si attrezza con i candidati e con le dichiarazioni a rappresentare quell'area: la parte di Trentino che vuoi rimanere doroteo.

A questo punto la presenza in lista di Tarcisio Grandi, che tanto angustiava alcuni mesi fa, è perfettamente congruente; e difatti non è più motivo di scandalo.

E la sinistra? Come prende questa deriva dell'alleato? "Siamo realisti, la sinistra in Trentino non è ne sarà maggioranza -risponde l'on. Luigi Olivieri, deputato dei DS- Che Dellai prenda voti al centro è bene e giusto: solo così la coalizione può pensare di vincere."

Ma c'è chi va ben oltre. E di fronte a Dellai si prostra. Praticamente tutti gli interventi di Margherita Cogo e Giuseppe Parolari, sindaci e candidati dei DS, iniziano con la litania "Riconosco in Dellai il leader naturale della coalizione "; alla fine della maratona delle primarie, il vincitore Remo Andreolli appena investito del titolo di capolista dei DS, se ne esce con un disarmato e disarmante "Dellai sarà il leader; io sarei adatto per l'assessorato al turismo"; perfino il segretario Albergoni, complice forse il caldo di luglio, rilascia sul Adige un ulteriore riconoscimento del primato del supersindaco.

Una posizione di sudditanza autolesionista: se nella coalizione il grande capo da tutti riconosciuto è Dellai, la sinistra diventa accessoria, ornamentale; e perché mai il cittadino dovrebbe votarla?

"La cosa è tanto più grave in una posizione come l'attuale, di evidente diversità fra i contenuti nostri e quelli della Lista Civica -si accalora Walter Micheli, già vicepresidente socialista della Giunta provinciale, e oggi in lista con i DS- Se noi abbiamo programmi diversi, ma diamo per scontata la leadership dei nostri alleati, ci infiliamo da subito in una posizione di subalternità; e le nostre idee, per quanto belle, sono quelle che non contano."

In effetti dentro i DS c'è preoccupazione per l'ultima piega degli avvenimenti. Ce lo conferma Mauro Bondi, che dei Democratici di Sinistra è presidente: "D'accordo sul fatto che dobbiamo innanzitutto battere la Lega e la destra. Ed è un bene se Dellai porta alla coalizione voti moderati. Quello che non è accettabile è che raccolga voti al centro, ma affossando la sinistra. Quando attacca la stagione delle riforme, lui può guadagnare certi voti moderati; ma ne fa perdere a noi. La nostra ragion d'essere è il cambiamento, è il superamento del Trentino doroteo. Se il nostro maggior alleato va nella direzione opposta, verso la riconferma dell'attuale sistema di potere, noi siamo del tutto spiazzati. E se abbozziamo, se ci accodiamo, diventiamo semplicemente inutili."

A ben guardare, il problema vero è il Trentino, la nostra isoletta felice. Che non ha grossi problemi, che con il suo mix di clientele, paternalismo, associazionismo capillare, generosamente finanziato dai soldi romani, ha prosperato al riparo da tutti gli sconvolgimenti. E allora perché cambiare?

Perché c'è l'Europa, la globalizzazione, l'imminente fine dei soldi romani? Via, non facciamo i menagrami, in tanti in questi anni hanno gridato "al lupo!" e poi tutto si è sempre aggiustato... Questo è il punto. L'attuale sistema ha funzionato; nonostante vistosi scricchiolii funziona ancora. E' logico che ci sia chi non vuole cambiare, per pigrizia, per interesse.

Ed è giusto, in democrazia, che ci sia chi questi interessi, questa cultura intende rappresentare. Il problema nasce quando sotto il tetto della stessa coalizione si trovano a convivere conservatori e riformisti. E questi ultimi, per anni abituati all'opposizione, quasi non ritenendosi ancora legittimati a governare, sono preda di un disastroso complesso di inferiorità, e pateticamente recitano: "Riconosco in Dellai il leader naturale..."

Sefano Albergoni, segretario dei DS, non condivide questa lettura. Smentisce la sua passata dichiarazione sulla leadership di Dellai, minimizza quelle di tanti compagni diessini, e ribadisce come "nella coalizione è bene che ci sia competizione; e per questo abbiamo deciso di non indicare né la futura giunta né il presidente in pectore. Una competizione non tanto sulle persone, ma sull'insieme del progetto politico, e che andrà letta anche in termini quantitativi: in soldoni, si vedrà la lista che avrà ottenuto più voti, e noi auguriamo successo a Dellai, ma puntiamo ad avere più voti di lui."

Quanto poi ai contrasti sui programmi (vedi scheda), agli attacchi di Dellai & C. ai progetti riformisti, Albergoni si mostra ottimista. "Ci stiamo impegnando perché l'Ulivo si presenti con una chiara impostazione riformista. Su tutta una serie di aspetti di grande importanza (economia, scuola, università) siamo perfettamente d'accordo; e lo siamo anche su alcune riforme basilari: sui rapporti con la Regione e sulla riforma elettorale. E' vero, sull'ambiente ci sono delle incomprensioni; e sulla riforma istituzionale (la riforma Bondi, n.d.r.) le contraddizioni non ci lasciano sereni. Ma stiamo lavorando..."

Non tutti sono così olimpici. C'è chi teme che il programma partorisca delle frasi generiche, stiracchiabili da tutte le parti. E che la campagna elettorale sia fatta nella non-chiarezza.

"Un esempio? -dice Bondi- Quando sulla viabilità si scrive che 'le grandi scelte strategiche sono tema di concertazione con le regioni alpine'; è un no alla PiRuBi, ma solo a mezza bocca. Invece noi dobbiamo dirlo chiaramente, che non e 'è una dimostrazione della necessità di investire miliardi in quell'autostrada, e che le regioni alpine -cioè l'ArgeAlp- la PiRuBi l'hanno già bocciata, e quindi, per favore, per dieci anni non se ne parli più.

Questo del dire/non dire, delle Questo del dire/non dire, delle frasi elastiche, è un metodo che può andare bene per chi si appoggia sulle clientele e per chi intende conservare; chi invece come noi intende innovare, deve essere chiaro, netto; chi vuole riformare non può essere ambiguo, deve convincente".