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QT n. 10, ottobre 2017 Servizi

Il lupo e la paura

La caduta culturale della nostra terra

Niente sarà più come prima. Colpa dei lupi. La montagna rimarrà desertificata, i pascoli abbandonati diventeranno una steppa, centinaia di allevatori saranno ridotti alla disperazione e il settore del turismo sarà portato al fallimento. Basta passeggiate nei boschi, all’uomo viene perfino tolto il diritto di sognare nella natura, di contemplare. Cosa significa “proteggere queste belve?” Prima che si diffondano ovunque è bene sparare, da subito, in provincia di Trento e anche a Bolzano. I nostri vicini del Veneto ci avevano già anticipati a luglio.

Semplificando, questi sono i passaggi culturali offertici dalla stampa locale e dalla RAI regionale sul tema dei grandi predatori. Gli interlocutori della stampa sono unicamente pastori, sindaci e politici: l’altra parte culturale della società, diffusa e articolata, è stata cancellata. Inevitabile quindi, in presenza di un simile comportamento dei media, che l’incertezza e la paura si diffondano, anche presso persone dotate di sensibilità.

Alla fine degli anni Settanta in Italia la presenza del lupo era a rischio estinzione: eravamo arrivati a circa 100 capi, diffusi solo lungo la dorsale appenninica. Oggi, causa l’abbandono della montagna e la ripresa naturalistica di foreste e pascoli, i lupi sono circa 1500 e hanno colonizzato tutte le montagne. Si pensi che un singolo lupo errante, può percorrere più di 40 km in un giorno: si fermerà solo dove troverà condizioni ottimali per la sua sopravvivenza, una compagna, cibo abbondante e assenza di concorrenza con branchi stabili. Queste caratteristiche tanto semplici sono state la forza della sua rapida diffusione.

Il primo nucleo di lupi delle Alpi orientali si è insediato in Lessinia nel 2011 grazie all’incontro fra un maschio proveniente dalla Slovenia (M24) e una femmina dalle Alpi Occidentali. Era inevitabile che il predatore, nello stretto giro di pochi anni, si sarebbe diffuso su tutto l’arco alpino e quindi anche in Trentino.

Come per l’orso, c’era tempo per diffondere conoscenze adeguate fra la gente, per far comprendere, specialmente al mondo degli allevatori, l’importanza dell’arrivo di questo animale e come comportarsi. Invece si è preferito che tutto accadesse nella più assoluta spontaneità, senza preoccuparsi di diffondere formazione.

Nella nostra provincia il lupo è ormai presente stabilmente in valle di Non, sull’altipiano di Lavarone e Folgaria, in Fiemme e Fassa. In Alto Adige una coppia si è insediata in val Badia. E ovunque il lupo si comporta da lupo. Ha trovato bestiame abbandonato sugli alpeggi, greggi, capre, mucche. E dove ha potuto se ne è servito.

La responsabilità delle predazioni tanto diffuse, di greggi allo sbando con le pecore spaventate che scappano e cadono dalle rocce o si disperdono, è del lupo? A leggere i giornali così sembra.

Il mondo degli allevatori, sia in Sudtirolo che in Trentino, per decenni ha attinto a corposi contributi pubblici (importanti, strategici se si vogliono mantenere le alte quote vissute), ma a parte questo, su di loro non è ricaduto alcun dovere. Ecco quindi i pascoli gestiti con approssimazione, le mucche tenute vicine alle malghe nutrendole, anche in alta quota, anche nei parchi naturali, con mangimi, per permettere loro la maggior produzione possibile di latte (non devono stancarsi e quindi allontanarsi troppo alla ricerca di erbe varie e più nutrienti), pascoli di grande dimensioni con bestiame totalmente abbandonato. Una visita in malga del pastore alla settimana è più che sufficiente.

Hanno ragione quindi i pastori ad affermare che “nulla sarà più come prima”. Infatti devono cominciare a lavorare seriamente, a gestire in modo diverso il loro bestiame, offrendo più cura, attenzioni e arrivando a meritarsi i contributi che ricevono. Il lupo non è un selezionatore di selvaggina, è un selezionatore di allevatori. Chi sa lavorare, chi si degna di portare ogni sera il suo bestiame in un recinto (offerto dalla Provincia), chi si dota di cani idonei alla vigilanza verso i grandi predatori, non avrà nulla da temere, né dall’orso, né dal lupo.

Questa estate è invece accaduto che alcuni pastori, la maggioranza, si siano adeguati a queste regole, ovvie, altri invece, abituati a fare sempre come hanno voluto, a non rispettare i capitolati d’uso dei pascoli, hanno trovato spazio sulla stampa e sulle televisioni, accanto a indecenti falò (vedi Alto Adige) per urlare il loro disprezzo verso gli ambientalisti e verso lo Stato che non permette lo sparo libero. Chi si è attrezzato invece per la presenza del lupo non ha più subito predazioni, come accade da due decenni in Appenino, come accade da alcuni anni in Piemonte.

La politica che dice?

Più che le reazioni scontate degli allevatori devono preoccuparci le reazioni del mondo politico. Per prima cosa la sottovalutazione della situazione: le assemblee pubbliche informative sono state organizzate solo da associazioni, in particolare dalla SAT. I servizi preposti sono rimasti e sono tuttora clamorosamente assenti dal confronto. In alcuni casi dei pubblici amministratori sono arrivati a toccare il fondo: clamoroso l’esempio di Predazzo, dove la sindaca, Maria Bosin, sostenuta dai presidenti delle Comunità di valle di Fiemme e Fassa, da altri colleghi, perfino dal Presidente della Cooperazione trentina, ha tenuto una riunione carbonara invitando solo agricoltori e politici ed evitando in modo accurato (l’ora della riunione, ad esempio: 10.30) che vi fossero cittadini con pensiero diverso e la stampa. In altri casi, la Magnifica Comunità di Fiemme, ha votato all’unanimità una mozione dai contenuti incredibili, invitando la Provincia a farsi carico in tempi brevi del tema spingendo per l’eliminazione della “belva”. Da quanto ci è stato riportato, i due confronti, animati, hanno messo in luce il profilo culturale più becero del Trentino.

A rafforzare istituzionalmente i pessimi esempi sono state le due Province autonome. Gli assessori bolzanini, sostenuti dal loro presidente e dall’europarlamentare Herbert Dorfmann, hanno chiesto ovunque la libertà d’azione, cioè sparare a vista non appena un lupo attraversi il loro confine. In Trentino, con parole un po’ più misurate, il presidente Ugo Rossi non la pensa diversamente e si appoggia all’amico-nemico Dellai affinché in tempi brevi, presso la Commissione dei 12, si approvi una norma di attuazione che permetta maggiori libertà d’azione contro i predatori, dall’orso al lupo. Rossi sapeva che su questi temi in Dellai avrebbe trovato immediato sostegno.

Per fortuna c’è Roma. Al momento sono stati bloccati passaggi tanto insensati. Ma Rossi ovviamente non si arrende: “Ci rivolgeremo a Bruxelles, l’Europa ci deve dare ascolto”. E l’11 ottobre andrà in gita all’europarlamento.

Al di là della totale inconsistenza culturale dei nostri amministratori e della sfacciata dinamica elettoralistica che li muove, ai cittadini va riconosciuto il diritto alla paura. Ma la paura viene generata dalla scarsa conoscenza, dalla escalation dei dati che vengono seminati nei bar, dall’assenza di un sostegno culturale fornito dalla Provincia e dai suoi servizi. E la paura blocca iniziative, diffonde incomprensioni, nella ricerca delle soluzioni banalizza ogni tema.

Va riconosciuto ai pastori il diritto alla sicurezza nella gestione del loro bestiame e a questo la Provincia non si è sottratta.

Va anche detto che l’Unione Europea fin dal 1991 ha varato delle direttive che, laddove recepite, permettono in determinati casi sia gli abbattimenti degli orsi che dei lupi. Ma perché questo avvenga è necessario possedere dei dati precisi sulla consistenza dei predatori, determinare in modo dettagliato cosa si intenda per animale pericoloso per l’uomo o per i beni, o troppo confidente.

Ebbene, in Italia questa direttiva non è ancora stata recepita e quindi rimane un unico arbitro a decidere: l’ISPRA e il ministero dell’Ambiente, istituzioni che poche volte hanno la pazienza di misurarsi con le necessità dei territori.

Nella cornice complessiva del tema si è così consolidata la figuraccia che le istituzioni locali e la stampa continuano a diffondere. Ormai si vive un unico concetto dell’autonomia: facciamo quello che vogliamo. Libertà nello spaccare un parco nazionale (Stelvio), libertà di caccia a fauna pregiata e tutelata dall’Unione Europea (francolino, coturnice, marmotte), libertà di abbattimento dei grandi predatori.

E poi ci si lamenta degli attacchi sempre più duri che la nostra autonomia riceve dagli osservatori esterni.

Di certo la nostra stampa non si è interessata al notevole numero di cittadini morsi da cani vaganti, non ha approfondito quanti siano stati in proposito gli interventi nei pronto soccorso o i ricoveri: decine ogni anno. Come del resto non mette in rilievo il vero problema dei pastori trentini: l’attacco che subiscono continuamente ad opera dei cacciatori. Ma questi ultimi si lamentano che laddove vi è pascolo viene a mancare il foraggio per i selvatici, che le pecore puzzano e quindi allontanano caprioli e camosci...

E sindaci e ASUC, troppo spesso, danno ascolto a queste esigenze.