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La rivincita dei dissidenti

Cooperazione: la nomenklatura, con le spalle al muro, cerca un accordo con i disprezzati "malpancisti".

Geremia Gios

E così nel mondo cooperativo si è avverato l’incredibile: i “dissidenti”, più spesso definiti, con scherno, “malpancisti”, non sono più derisi o al massimo compatiti, vengono invece blanditi, corteggiati, coinvolti. Sembra che siano loro, loro di cui si parlava con sufficienza – bastian contrari, quattro gatti con problemi caratteriali – la nuova architrave o, per lo meno, una componente essenziale, da coinvolgere assolutamente.

Una novità eclatante, in un Trentino dove, specie nelle periferie, non c’è mai stata, in tutti gli ambiti, molta considerazione per gli oppositori.

Di questo cambiamento di clima, nella cooperazione si era avuta un’avvisaglia lo scorso anno, quando all’elezione del presidente, il candidato dei dissidenti Geremia Gios aveva avuto il 40% dei voti (e la maggioranza delle cooperative di primo grado); ma poi si era subito tornati alla normalità, gli arroganti vincitori, i boss che da sempre governano il movimento, quel 40% lo avevano prontamente escluso da tutto.

Giorgio Fracalossi

Per ritrovarsi poi in mano un pugno di mosche. Il candidato (riluttante, non ne aveva la minima voglia) della nomenklatura, Giorgio Fracalossi, presidente della Cassa Rurale di Trento, di Cassa Centrale ecc ecc, una volta eletto, non faceva il presidente. Impegnato a tempo pieno nel gestire la confluenza delle Casse Rurali nel gruppo nazionale del credito cooperativo, lasciava vuota la poltrona di via Segantini; e dopo neanche un anno si dimetteva da una carica mai realmente ricoperta. Una figuraccia.

Per lui, ma ancor di più per la nomenklatura. Che quattro anni fa aveva imposto il ridicolo quarto mandato di Diego Schelfi; e a seguire l’anno di vuoto assoluto di Fracalossi. Per cui sorgeva, logico, l’interrogativo: ma questi, alla Federazione, ci credono? Ritengono che serva a qualcosa, oltre a garantire una serie di poltrone?

Queste erano le domande che si ponevano i presidenti delle coop trentine riuniti, il 10 giugno, per prendere atto delle dimissioni di Fracalossi e prepararne la successione.

Il fatto è che il vuoto federale aveva avuto tutta una serie di ripercussioni, talora pesanti. È mancato il lavoro di rappresentanza politica e sindacale; per cui, ad esempio, non c’è stata la presenza del movimento al tavolo in cui si sono decise le nuove normative sugli appalti, aspetto decisivo, che ha riguardato le coop di lavoro, servizi e sociali, più di 250, che in Provincia si sono trovate orfane del peso politico della Federazione. È mancato il lavoro interno: il credito ha dovuto gestirsi da solo le regole, cioè le fusioni, che oltre all’aspetto tecnico hanno anche un versante politico dal momento che coinvolgono i rapporti tra territori, e doveva pertanto essere gestito dalla Federazione (a prescindere poi dal conflitto d’interessi per cui il presidente federale presiedeva anche la più grossa Cassa Rurale come pure il consorzio di secondo grado). È mancata l’attività intercooperativa: si è ad esempio deteriorato il rapporto tra Latte Trento e Sait, con il primo che accusa il secondo di preferirgli il latte comperato in Germania, e nella lite tra i due consorzi si inserisce, intelligentemente, il privato, Poli, che si accorda con Latte Trento per distribuire, con adeguata pubblicità, la formaggella di razza rendena, il prodotto locale, non quello tedesco.

Ma oltre a queste – pur decisive – mancanze – c’è il problema di fondo: è la Federazione, l’essere insieme in un movimento, che distingue la cooperativa dall’impresa privata, che invece deve pensare a se stessa e basta. “È stata la Federazione che, dall’interno, si è svuotata di ruolo – commenta Marina Mattarei, esponente di punta degli “innovatori” e possibile candidata alla presidenza – Ed è grave. Ma se ci possono essere delle cooperative che pensano di poter andare avanti da sole, la maggioranza invece ritiene che sia la Federazione, lo stare assieme, l’essere un movimento, quello che può dare senso, prospettiva alla singola impresa cooperativa”.

Marina Mattarei

Così all’assemblea del 10 giugno si registrava, palpabile, il cambiamento: d’umore, di interesse, di attenzione. Non più rivolti ai papaveri, ma agli ex “alternativi”, l’intervento più seguito ed applaudito era proprio quello di Mattarei, che non faceva sconti a nessuno: “La Federazione era il faro del movimento, ora è solo, ed a stento, una lampadina: e ridurla a mero fornitore di servizi è stata una prevaricazione rispetto a tutta la nostra storia. Ma di questo non ho sentito oggi nessuno prendersi le responsabilità”. E difatti, per converso, i papaveri svicolavano, Fracalossi si guardava bene dallo spiegare come mai si fosse fatto eleggere a una carica che sapeva di non poter onorare; e la presidente vicaria, Marina Castaldo, faceva un bell’intervento (scrittole da chi di dovere) dal punto di vista teorico, e sul piano pratico iniziava ad aprire alla non più disprezzata dissidenza.

Qualcosa era mutato.

Poi gli altri avvenimenti. Con un anno d’anticipo si dimetteva il direttore generale della Federazione, Carlo Dellasega. Per allontanarsi prima del crollo, dicevano alcuni. Per non dover gestire una stagione che, con l’imminente calo di risorse, non potrà non essere di dura stretta sul personale, dicevano altri. Sta di fatto che il cda accoglieva le dimissioni con le consuete parole di rammarico, ma ben si guardava da spenderne mezza per far tornare il direttore sui suoi passi. Il punto a nostro avviso è che Dallasega era espressione dell’epoca al tramonto. Innamorato della cooperazione non brillava per qualità manageriali (i suoi discorsi, fatti con il cuore, erano sempre accorati fervorini, probabilmente sinceri, da giovane parroco, non da esperto manager); era stato voluto e riconfermato da Diego Schelfi, e all’era schelfiana il suo profilo si attagliava perfettamente. Una Federazione da pacche sulle spalle, irrilevante, con le decisioni lasciate tutte ai boss dei consorzi: di fronte a un Pavana (direttore del Sait) o a un Sartori (direttore di Cassa Centrale) Dallasega era nullo. Impersonificava la rinuncia, per la Federazione, ad ogni ipotesi strategica; forse lo ha capito lui, forse glielo hanno suggerito in un orecchio: era tempo che si facesse da parte.

A seguire, esplodeva la crisi del credito. O meglio, la crisi del lavoro di Fracalossi-Schelfi-Sartori per inserire al meglio le Casse Rurali nel nuovo gruppo nazionale del credito cooperativo.

Come siano andate le cose non è chiaro. Non è chiaro nemmeno come stiano andando (e questi sono già dei punti negativi, giustamente contestati nell’assemblea di giugno). Sta di fatto che pur nella contradditorietà di informazioni, un punto sembra evidente: il sistema trentino, con le Casse Rurali, a differenza del resto d’Italia, parte della Federazione, facenti capo a un forte consorzio, Cassa Centrale, in grado di fornire assieme alla società informatica Phoenix servizi a Bcc di tutta Italia, verrà decisamente ridimensionato, in un gruppo a forte guida romana attorno al gruppo nazionale Iccrea.

Per contrastare questo risultato, si parla di dar vita a un gruppo alternativo, attorno alle rurali trentine, a Cassa Centrale e a Phoenix. Il fatto è che oggi il credito cooperativo trentino non è quello di 15 anni fa, tante Casse hanno i conti in rosso (il 2015 è complessivamente in perdita per 120 milioni, anche se il patrimonio complessivo è molto robusto) alcune proprio non possono andare avanti da sole e il sistema, che ha perso consistenti quote di mercato a favore delle banche private, ha indubbiamente bisogno di una decisa razionalizzazione; d’altra parte Cassa Centrale e Phoenix invece funzionano, hanno utili e patrimonio, i costi delle società concorrenti facenti capo a Iccrea sono di molto maggiori: c’è chi (e non solo in Trentino) pensa che sia tutt’altro che saggio consegnarsi a Roma mani e piedi legati.

Però, per il gruppo alternativo, occorre un miliardo di patrimonio, che in Trentino non c’è, occorrono altre Bcc, e qui si entra nell’indeterminatezza. “Ci dicono che c’è la disponibilità di diverse banche, ma mai si forniscono cifre; si dice “sicuramente ce la potremmo fare” dove il “sicuramente” fa a pugni con il “potremmo”; l’anno scorso a Bologna era stato financo presentato il gruppo alternativo, che poi si è perso per strada. Non c’è alcuna chiarezza” dichiara Giuliano Beltrami, storico cooperatore delle Giudicarie.

“Gruppo alternativo? Credito trentino? Io non ne so niente, non c’è stata alcuna trasparenza – ci dice Geremia Gios, da poco eletto presidente della Rurale di Rovereto, sconfiggendo, anzi umiliando il candidato sponsorizzato dalla Federazione – E questo è un problema, il nostro futuro è gestito da alcune persone che non ci forniscono comunicazioni”.

In effetti la cosa ha perlomeno sconcertato. Ora, è logico che quando si fanno delle trattative non si va a carte del tutto scoperte, ma quando rappresenti una comunità, delle indicazioni deve darle. Renzi, quando va a Bruxelles, dichiara quali obiettivi vuole raggiungere. Qui no: da oltre un anno Fracalossi & C si muovono senza che si sappia a cosa mirano. Al punto che in molti sorge il sospetto che una vera strategia non ci sia proprio; se non quella di ottenere per loro stessi qualche posto a livello nazionale (obiettivo peraltro pure fallito, la Bce per i ruoli di vertice dei gruppi bancari impone dei requisiti – come le esperienze a livello internazionale – che i nostri di certo non hanno, nè possono aspettarsi deroghe).

“È una situazione surreale, gli stessi presidenti delle Casse Rurali sono sbalorditi, non si capisce dove si va e la Federazione è il silente spettatore – commenta Mattarei - Ma un presidente, che rappresenta una comunità che in una Cassa rurale ha creduto da decenni e in essa ha investito, non può firmare una cambiale in bianco del genere!”

Si capisce quindi come tutte queste vicende abbiano azzerato la credibilità di un gruppo dirigente. Del quale i più accorti (leggi Renato Dalpalù, presidente del Sait) hanno pensato bene di correre ai ripari: tentando di coinvolgere gli ex “dissidenti” “malpancisti”, insomma gli sfigati. Cui si chiede “per il bene del movimento” di arrivare, alle votazioni di ottobre a una “candidatura condivisa”.

“Questa apertura del cda è del tutto irrituale; a meno che non si parli di una sorta di governo di salvezza nazionale – commenta Gios - Che però si fa o per un pericolo incombente; oppure è un tentativo per evitare di essere rimossi. Ci vorrebbe un po’ di chiarezza.”

I due gruppi hanno iniziato ad incontrarsi. Vedremo; di certo in poche settimane tutto è cambiato.