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QT n. 2, febbraio 2015 Servizi

Università, si volta pagina?

Dopo l’aspra stagione di provincializzazione e Statuto, e il breve rettorato De Pretis, si confrontano due contendenti, Paolo Collini e Stefano Zambelli, non opposti ma sicuramente diversi. Li poniamo a confronto sui principali temi.

Il rettore dopo la tempesta titolavamo due anni fa il servizio sui 6 candidati a rettore dell’Ateneo trentino. Dopo la tempesta, perché c’era stato l’aspro confronto con la Provincia (e con l’allora mattatore Dellai) e dentro la stessa Università sulla provincializzazione dell’Ateneo e poi sul suo Statuto. Due anni dopo, eletta la rettrice Daria De Pretis, poi dimessasi per andare sul prestigioso scranno della Corte Costituzionale, la contesa è più limitata (due contendenti invece di sei) e anche più edulcorata. Forse perché “c’è molta disaffezione in Ateneo, un’apatia generalizzata, frutto della riforma verticistica che si è attuata” come ci dice il prof. Vanni Pascuzzi, già prorettore, uno dei più strenui oppositori della provincializzazione, su cui ha scritto un libro esplicito fin dal titolo: “Università: diario di una svolta autoritaria”.

Eppure i problemi non mancano, a iniziare da una valutazione degli esiti di quella svolta (crediamo non sia un caso che tutti gli interlocutori che abbiamo sentito, privatamente o in interventi pubblici, si siano espressi per revisioni, anche profonde, dello Statuto e quindi del modello di Università appena varato). Ma poi altre questioni si affacciano: dalle inevitabili riduzioni dei finanziamenti (che si pensava di scongiurare proprio con la provincializzazione), alla sempre più indispensabile internazionalizzazione, al blocco delle carriere dei giovani, con conseguente rischio di sclerotizzazione dell’istituzione.

Abbiamo posto queste ed altre questioni, ai due candidati. Da una parte Paolo Collini, docente di Economia aziendale, già preside ad Economia nonché prorettore vicario di Daria De Pretis, che quindi in un certo senso rappresenta la continuità con la recente gestione dell’Ateneo. Dall’altra Stefano Zambelli, docente di Economia Politica, decisamente critico invece rispetto allo Statuto e anche ai due anni di De Pretis.

Per quello che conta, sono entrambi amici del giornale: con Collini, quando era Preside, avevamo ipotizzato una rubrica di Economia su QT, e Zambelli si è più volte complimentato per nostri servizi sull’Università. Eppure rappresentano due visioni non opposte, ma senz’altro diverse, sullo stato dell’Ateneo e sulle correzioni da apportare.

Ringraziamo, perché ci hanno aiutato a comprendere diverse problematiche e a porre le conseguenti domande, una serie di persone: oltre al prof. Pascuzzi, l’attuale direttore di Economia Geremia Gios, il rappresentante dell’Associazione dottorandi e dottori di ricerca Alexander Schuster, il rappresentante degli studenti Lorenzo Varponi, e l’assegnista di ricerca presso Ingegneria industriale Andrea Dorigato, premiato l’anno scorso come miglior ricercatore europeo under 35.

Stefano Zambelli, per la discontinuità

Stefano Zambelli

Esauriti i dibattiti, alla fine si è approvato lo Statuto. Oggi possiamo trarne le prime valutazioni. Quali secondo lei?

Posso dire ‘lo avevo detto’. Venne presentato dalla commissione il venerdì sera e il Senato accademico, Collini presente, lo approvò lunedì mattina, senza alcun passaggio nelle facoltà, come invece promesso. I punti critici erano tanti, e irrisolti: il personale tecnico amministrativo senza rappresentanza, e quando sono considerati, come nel caso dell’elezione del rettore, il loro voto vale uno, mentre quello di un singolo professore vale 25; la consulta dei direttori di dipartimento, che non ha alcun potere di delibera; una superfetazione di commissioni inutili o inefficienti, tipo il comitato per la valutazione del candidato a rettore; la mancanza di meccanismi che obblighino a una rendicontazione e trasparenza da parte del senato accademico.

Questi i difetti di base, cui si è sovrapposta la prassi di applicazione dello Statuto, cioè i comportamenti di senato, rettore, direttori di dipartimento, tendenti a non condividere le decisioni con la comunità universitaria, con i direttori che vengono informati delle decisioni di senato e rettore, e poi giù a cascata. Un altro esempio? Il comitato etico doveva essere un organo di tutta la comunità universitaria, e invece è diventato un organo del senato, con i membri da esso nominati, e attraverso il cui filtro ogni pratica deve passare.

In conclusione, lei afferma che è stato varato uno Statuto problematico, applicato poi con una prassi che ne ha accentuato i caratteri verticisti?

Esattamente. E non è solo una questione di principi, ma di efficienza.

Esempi?

Il comitato di valutazione delle candidature a rettore, che non ha senso se non nell’ipotesi velleitaria di bloccare candidature sgradite, e che ha portato a un ritardo di due mesi nell’elezione del rettore. O il comitato per il reclutamento che ha procedure interne che allungano ogni procedimento.

Concorda quindi con l’opinione del prof. Pascuzzi, oppositore di questo Statuto in quanto lo valuta ispirato a un verticismo che deprime la comunità universitaria?

Certo, la svalutazione del personale tecnico-amministrativo ne deprime le motivazioni e quindi l’efficienza; la mancanza di coinvolgimento del corpo accademico, e quindi la mancanza del confronto delle idee porta a decisioni talora non ottimali. Un esempio clamoroso è stata la biblioteca.

Beh, dell’abbandono del progetto Botta e dello spostamento dell’edificio all’estremo sud del quartiere, QT ha parlato ampiamente...

Meno male! Ci tengo però a sottolineare che non metto in discussione il merito della decisione della biblioteca alle Albere, dico che è stata presa a pochi mesi dall’insediamento della rettrice, e a tutt’oggi non abbiamo informazioni né sui costi né sulle alternative. La decisione ci è stata fornita senza la necessaria documentazione, ancor oggi io come candidato rettore non ho informazioni sufficienti; quello che mi risulta è che il sindaco fosse pronto a portare all’approvazione in consiglio comunale del progetto Botta, e che si fermò perché la rettrice gli comunicò che all’interno dell’università si lavorava a una soluzione alternativa. Successivamente gli organi di governo dell’università hanno approvato la biblioteca alle Albere, però la comunità non ha avuto, né ha tuttora, la documentazione relativa.

La rettrice De Pretis e il candidato Collini, all’epoca prorettore, sostengono che il Comune non avrebbe mai concesso l’autorizzazione urbanistica...

Ho chiesto direttamente al sindaco Andreatta il quale, con correttezza istituzionale, mi ha detto che quando fu informato che l’università stava valutando una diversa collocazione, ne accettò la decisione.

Correttezza istituzionale? Il sindaco con un inchino si fa ridisegnare la città dall’Università, dalla Pat, e soprattutto da Isa l’unica che ci ha guadagnato? Io la chiamerei totale sudditanza... Ma questo non vi riguarda...

Non ci riguarda. Avevo contattato il sindaco perché il giorno dopo l’elezione della rettrice aveva dichiarato in un’intervista al Corriere “Ora procederemo in tempi brevi alle autorizzazioni per la biblioteca”. Io non sono in grado di dire se la soluzione delle Albere sia migliore, so che non ho elementi per valutare.

Veramente ci sono le evidenze, le localizzazioni: una razionale, l’altra balzana, l’abbandono del progetto di università integrata nel centro storico, le dichiarazioni di Botta sul fatto che nessuno gli ha chiesto di ridimensionare il progetto.

La mia opinione è che la biblioteca dovesse essere fatta a Sanseverino, se costava troppo si poteva pensare a una biblioteca ridotta. Ma insisto, il fatto grave è che, dopo due anni, non abbiamo ancora informazioni adeguate.

Gliele diamo noi. Dellai, per venire incontro a Isa che si ritrova le Albere invendute, costruisce un fantomatico Centro congressi di nessuna utilità, Pacher, quando gli succede, per rabberciare il buco pensa di trasferirvi la biblioteca, e propone la soluzione all’università. In questa situazione, il rettore come si deve comportare?

Non ho gli elementi per rispondere.

Allora poniamo il caso in termini generali. Se la Pat per venire incontro a proprie difficoltà, le chiede di stravolgere un importante progetto dell’università, lei cosa risponde?

Credo nel servizio pubblico sia della Giunta Provinciale che dell’università, all’insegna della trasparenza. Le ragioni di uno stravolgimento di un progetto devono essere rese pubbliche e portare a un’istruttoria pubblica su costi e benefici, al termine della quale la comunità universitaria, senato, rettore, cda decideranno di conseguenza. Credo che una modalità del genere sia anche nell’interesse della Provincia.

Oggi, nella nuova situazione dei rapporti Stato-Provincia, ha dei dubbi sulla scelta di provincializzare l’università?

Bisogna partire dalla riduzione delle risorse, noi con questo assetto scaturito dalle norme di attuazione possiamo migliorare la nostra efficienza. Ma non è il punto centrale. Lo sarà invece dimostrare al territorio la nostra utilità in termini di messa a disposizione di competenze, dobbiamo dare un valore aggiunto a tutto il sistema. I contatti che ho avuto con le autorità politiche mi fanno ben sperare perché ho riscontrato grande sintonia con i punti del mio programma.

Con chi si è incontrato? L’altro candidato ha espresso perplessità su contatti con i politici in questa fase.

Credo che sia segno di serietà da parte mia contattare le figure autorevoli del territorio. È opportuno che un candidato rettore spieghi il suo piano strategico. Il prof Collini, avendo ruoli istituzionali, si sarà senz’altro già trovato a dialogare con tali autorità, ho quindi scelto di chiedere io stesso un incontro all’assessora Ferrari per avere, nella stesura del mio programma, un quadro chiaro su una serie di questioni cruciali come la ricerca e i finanziamenti all’università nei prossimi anni. Alla fine di un articolato colloquio, sempre all’insegna della reciproca autonomia, mi sembra di aver registrato una sostanziale sintonia.

Come pensa che l’Ateneo debba rapportarsi col sistema trentino della ricerca?

Si dovrà collaborare in tutti i modi possibili, ma ritengo inopportuno che dei professori dell’università siano contemporaneamente a capo di strutture di ricerca esterne; in questo caso abbiamo dei ruoli indefiniti. E si dovrà evitare di avere doppioni. Quanto ai rapporti tra la Provincia e l’università, devono essere rapporti tra istituzioni, non diretti con il singolo docente cui viene affidata la consulenza.

L’università si mette a fare da filtro?

No, è una questione di trasparenza: la Pat indicherà le aree da affrontare, e sarà compito dell’università - non subalterna, non cliente, ma autonoma - fornire le competenze.

I ricercatori lamentano di non avere alcun peso nell’ateneo. E vorrebbero una stabilizzazione.

Sono d’accordissimo. Come ho scritto nel programma, deve esserci un maggior coinvolgimento di ricercatori e associati. In Danimarca, dove ho insegnato, c’è un rapporto ordinari/associati 1 a 7, con il mio direttore e il mio preside che erano degli associati; da noi invece gli ordinari sono molti di più, e gli associati non hanno alcuna voce. Non si potrà, causa le ristrettezze economiche, farli diventare tutti ordinari, dovremo invece coinvolgerli nei processi decisionali e negli incarichi istituzionali. In questo modo si guadagna nell’immediato l’apporto di esperienze giovani e si crea la classe per il ricambio.

E gli studenti? Cosa contano nell’Ateneo?

Credo si possa arrivare a un loro maggior coinvolgimento attraverso l’aumento delle commissioni paritetiche collegate ai corsi di laurea, che sarebbe opportuno avessero potere deliberativo per quanto riguarda l’organizzazione degli studi. Fondamentale è poi scrivere la carta dei diritti e dei doveri dello studente: troppo spesso ci si concentra sui loro doveri, poco sui loro diritti.

Che dice sull’internazionalizzazione?

Siamo all’avanguardia, ma bisognerà migliorare ancora. Si dovrà operare più su rapporti approfonditi e meno su operazioni d’immagine.

Paolo Collini, quale continuità?

Paolo Collini

Uno dei punti della competizione per il rettorato è una valutazione dello Statuto...

Ma è davvero questo il problema, non possiamo guardare al futuro?

Registro tra gli interlocutori che ho sentito, come pure nei dibattiti fra voi due candidati, l’opinione prevalente sull’assoluta necessità di modifiche. C’è stato qualche vizio culturale che ha prodotto questa insoddisfazione diffusa?

Non so se c’è insoddisfazione diffusa, questo è un problema per chi governa l’università, cosa che non è stato mio compito. Poi dello Statuto parlano molto i giornali, per me non è il problema principale.

Premesso questo, cosa pensa dell’attuale Statuto?

A suo tempo il tema centrale fu il rapporto con la Provincia. Il che è stato importante perché ha dato forza a chi - e mi ci metto anch’io - temeva un’invadenza della Pat. Ora il tema non è più quello, ma l’efficienza dello Statuto, il funzionamento interno. Per cui ora è da rivedere in questo senso, tenendo presenti i vincoli di legge, tra cui l’impedimento ai direttori di dipartimento di entrare nel senato accademico. Quindi, rispettando questi vincoli, ci sono senz’altro cose che si possono migliorare, anche se il rettore può sì essere di impulso al cambiamento, ma non deve essere lui il padre dello Statuto, come non deve essere il capo del governo a scrivere la Costituzione. Per rispondere alla sua domanda sui vizi originari, ricordo come della commissione Statuto avessimo lamentato la composizione non adeguata, con commissari esterni e con inadeguate competenze giuridiche. Si dovrà ovviare con una nuova commissione formata con altri criteri; e dovremo sentire le cose che non vanno, a iniziare dai rapporti tra Senato e collegio dei direttori di dipartimento.

C’è chi lamenta (l’ex prorettore Pascuzzi ha scritto un libro sul tema) una visione verticista dello Statuto, accentuata dalla successiva gestione.

Non so se la gestione abbia accentuato il verticismo. Certamente lo Statuto approvato risponde a un modello diverso dal precedente: il Senato accademico non è composto da rappresentanti delle strutture (le facoltà una volta, i dipartimenti ora), interagisce con esse, che però rimangono esterne. Si contrappongono due visioni: secondo una, negli organismi decisionali deve esserci chi opera nel concreto, nel Senato devono esserci i rappresentanti dei dipartimenti; secondo l’altra visione - per gli appassionati di conflitti di interessi - se un direttore sta in Senato è condizionato dalla difesa dell’interesse particolare della sua struttura. Io non appartengo a nessuna di queste due scuole di pensiero. La legge ha da questo punto di vista messo un vincolo: in Senato non possono esserci i direttori, però, per venire incontro alla prima scuola di pensiero, si potranno trovare altre forme per allargare il potere decisionale.

Altre figure lamentano di non essere rappresentate.

Anzitutto gli studenti, il cui coinvolgimento è molto ristretto in Senato, nella norma e nella prassi; ritengo che si debba cambiare, il Senato deve aprirsi. Per non parlare del personale tecnico-amministrativo, che è presente in un organo, la Consulta, di cui manca il collegamento con il Senato e anche col rettore, e difatti le istanze del personale, in questo periodo di riorganizzazione, sono state trascurate. Il fatto è che quando sei in un organo di vertice - ho visto con la mia esperienza in Senato, paragonata con quella di Preside di Facoltà - a poco a poco ti stacchi dai problemi concreti, che finisci con il ritenere minuti: bisogna invece trovare modalità di incontro, per rendersi conto dei problemi che si vivono meno in prima persona.

Uno dei rilievi alla gestione della rettrice De Pretis, di cui lei è stato prorettore vicario, è la scarsa trasparenza.

A quanto ne so, la rettrice ha parlato con tutti quelli che hanno chiesto udienza, e io di sicuro l’ ho fatto. Altrettanto di sicuro non c’è stata una volontà di essere verticisti. Si può fare meglio, d’accordo, ma il confronto c’è stato: se qualcuno chiedeva, si rispondeva, tutti gli atti sono on line, a iniziare dai resoconti delle discussioni in Senato.

Uno degli esempi di decisioni tra pochi intimi è stata la biblioteca, con l’abbandono del progetto Botta per andare a finire alle Albere.

Premetto che io non sono responsabile di tutto in questi due anni, mi sono occupato prevalentemente di didattica, degli studenti: su alcuni temi sono stato informato, ma non ho preso le decisioni.

Fatta questa premessa...

I primi a dirci di non costruire quella biblioteca, che definivano faraonica, sono stati gli studenti: siamo qui che lottiamo per le borse di studio e si spendono 70 milioni per una superbiblioteca - sono venuti a dirmi. Poi, certamente la soluzione approvata è più piccola e più lontana, però in un edificio già avanti con i lavori, e d’altra parte la città non pareva entusiasta della grande biblioteca di Botta, sui giornali erano ospitati interventi a favore di un riutilizzo di edifici esistenti (si tratta di un paio di strampalati interventi apripista, curiosamente apparsi sui quotidiani poco prima della decisione di spostarsi alle Albere, che suggerivano di abbandonare Sanseverino e riutilizzare ad esempio le Poste in piazza Vittoria, palazzo fortemente vincolato e con una cubatura inferiore alla metà di quella prevista, ndr). A questo punto dalla Provincia ci hanno detto: perché non utilizzate questo edificio? Poi c’era il problema della commissione urbanistica, che non ha mai detto che il progetto di Botta andava bene, per l’altezza, i parcheggi, la sporgenza sul marciapiede...

La città non ha mai detto di non volere la biblioteca. Il sindaco afferma - così dice il suo concorrente Zambelli - che è stata la rettrice a fermarlo...

Questo non lo so, guardo i fatti: la biblioteca non passava, gli studenti ci hanno chiesto di spendere di meno, la soluzione di Piano era pronta a breve, c’era un dibattito sul riuso di altri edifici. Se avessimo avuto l’autorizzazione urbanistica 3-4 anni fa, come si sarebbe potuto fare, oggi saremmo al tetto. Questa è la mia opinione.

Forse il problema era che alla Pat rimaneva sul groppone un edificio inutilizzato (il Centro congressi voluto da Dellai, per alleviare con soldi pubblici il tracollo delle Albere, n.d.r.). Ma è compito dell’università risolvere gli errori della Provincia?

Non è stata questa la ratio della decisione, ma il fatto che si poteva avere la biblioteca presto, a meno. Comunque ribadisco che non è una decisione di cui io abbia una responsabilità, ho solo portato in questo dibattito la voce degli studenti.

Veniamo all’internazionalizzazione dell’Ateneo, giudicata centrale nel suo programma.

Il mondo è cambiato, i confini stanno sparendo, la mobilità, specie degli studenti, in Europa è assoluta. Quindi internazionalizzare vuol dire che il nostro territorio oggi è grande come l’Europa: deve essere normale che uno studente di un altro paese europeo venga a studiare da noi, mentre così non è, a iniziare dalle farraginose procedure burocratiche che si pongono subito di mezzo. Ad esempio, uno studente olandese che voglia iscriversi a Trento deve venire qui a fare il test di ingresso: non va bene, dobbiamo cambiare questa mentalità.

In ateneo ci sono tanti studenti esteri, soprattutto dall’est Europa e da paesi non europei. Ora, con tutto il rispetto per questi paesi, come pure per le iniziative di solidarietà internazionale, l’impressione è che questi studenti esteri non vengano qui perché Trento è significativa, ma perché non hanno altre scelte. Latitano invece gli studenti inglesi, olandesi, o svedesi...

Giusto. Noi diciamo che siamo internazionali perché abbiamo studenti da paesi dell’est. Non abbiamo niente contro di loro, ma siamo internazionali se abbiamo studenti europei, poi arrivano anche quelli da altri paesi. Il nostro obiettivo è di essere attrattivi per gli europei. Questo implica adeguare la didattica, la burocrazia e la ricerca,i cui finanziamenti oggi devono essere presi in Europa.

Appunto, la ricerca.

Non sono più i tempi delle duplicazioni. Quindi no alle sovrapposizioni, bisogna mettere in comune risorse, attrezzature scientifiche; abbiamo ricercatori di Fbk che sono dell’università. Ci sarà il tema delle specializzazioni: l’università fa didattica e ricerca con l’obiettivo di produrre conoscenza; le mission degli altri enti debbono essere altrettanto chiare.

Un docente universitario può essere a capo di un settore esterno di ricerca?

Sì, ma dev’essere un’attività cogestita.

Le esigenze dei ricercatori e dei professori associati?

È un problema serio, le carriere oggi sono bloccate, e così, dal momento che l’università é governata dagli ordinari, c’è il rischio che al vertice ci sia un’oligarchia bloccata, che non ci sia spazio per idee e visioni nuove. Qualcosa si può fare, i collaboratori di De Pretis non erano ordinari; poi negli organi decisionali bisognerà prevedere l’ingresso degli associati, con la sola preclusione alle decisioni che riguardano le carriere, di cui sarebbero troppo parte in causa. In quanto ai ricercatori, sono trattati male nello Statuto - io ero contrarissimo a queste norme - devono avere parità di trattamento rispetto agli altri, pieno voto in tutti gli organi.