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QT n. 6, giugno 2014 Servizi

Un investimento ormai insostenibile

A proposito del teleriscaldamento a biomasse di Canazei

Nel settore energetico, anche in Italia, finalmente si investe nelle energie rinnovabili. Pur di sostituire i combustibili fossili, anche una certa parte del mondo ambientalista, non si sofferma a riflettere. Via i derivati del petrolio, qualunque alternativa è valida. In pochi anni la dorsale appenninica ha così visto il paesaggio stravolto dalla imposizione di enormi pale eoliche su decine di creste montane. Intere fasce boscate o prative sono state date in pasto a parchi di pannelli fotovoltaici. I torrenti vengono ormai privati di ogni rivolo d’acqua (nelle Alpi italiane sono depositati 1.500 progetti di ulteriori derivazioni idroelettriche). E ovunque proliferano gli impianti di teleriscaldamento a biomasse.

Grazie ai contributi statali riversati nella riconversione energetica sono così sorti impianti insostenibili nella gestione sia sotto il profilo economico che ambientale. E nel settore, con prepotenza, si è inserita un po’ ovunque la speculazione e anche la mafia.

Il discorso della sostenibilità non obbedisce a logiche ideologiche: ci sono situazioni e luoghi dove un certo impianto è sostenibile ed altri nei quali risulta inaccettabile. Investire negli impianti a biomasse è buona cosa, ma l’ambientalismo ci insegna che a tutto c’è un limite. Ad esempio, la Provincia di Bolzano ha sostenuto indiscriminatamente la diffusione di questi impianti. Il territorio offriva sostenibilità a circa 30 megacaldaie, ma oggi in provincia ci sono 65 impianti e la materia prima deve essere importata. Quando va bene, dalle grandi segherie austriache, ma sempre più spesso da paesi lontani: le grandi navi di legname per cippatura oggi arrivano al porto di Trieste e sono cariche di legname russo o proveniente da paesi dell’Est, nei quali non c’è certificazione e non si applica la selvicoltura naturalistica.

Il progetto di portare anche a Canazei un simile impianto ha scatenato una dura polemica nelle valli dell’Avisio. Le società già presenti (Cavalese, Predazzo e San Martino di Castrozza e Primiero) hanno attaccato duro: temono che il nuovo impianto provochi un rialzo del prezzo del cippato, sempre più scarso in valle. Già queste centrali assorbono 240.000 metri steri di biomassa, e sono già programmate altre centrali in valle di Cembra e nel Vanoi: è evidente che il Trentino sta cadendo nella situazione di criticità già matura e insostenibile del Sudtirolo.

Non è semplice reperire la materia prima: la fonte primaria viene offerta dagli scarti delle segherie (il 50% del lavorato). In Fiemme e Fassa tutti i residui ed i cascami sono requisiti dalle centrali già operanti. Recuperare legna residuale dai lotti boschivi è quasi impossibile per i costi eccessivi e per una rete forestale inadeguata al passaggio dei grandi camion. Già oggi in valle di Fassa ci sono comuni e ASUC che riescono a coprire il diritto di legnatico ai residenti solo tagliando piante mature, che in situazioni più avvedute andrebbero vendute alle segherie in quanto materiale pregiato, invece che bruciate nei fornelli. La turnazione dei boschi di Fassa, vista la quota, il clima e le asperità dei versanti, ha tempi lunghi, supera di gran lunga i 150 anni. La materia prima per una ulteriore grande centrale non è quindi disponibile, se non accedendo ad importazioni.

Specialmente in paesi alpini e adagiati in valli chiuse dalle montagne come Canazei (una vera e propria buca) mantenere in inverno l’aria pulita è importante. Centinaia di stufe a legna private rilasciano quantità incredibili di micro polveri che si sommano a quelle provocate dal traffico, polveri ed inquinanti che causa l’inversione termica ristagnano per giorni nei fondovalle. Una grande centrale, dotata di efficaci filtri, è un vero, importante investimento per la salute dei residenti.

Ma la natura ci impone i suoi limiti. La materia prima, la biomassa in questo caso, è limitata, non è nemmeno più sufficiente per le centrali già attive. E l’autarchia energetica nelle Alpi, come ormai più volte dimostrato da studi universitari, è un’illusione: se attuata, distruggerebbe l’intero sistema ambientale e paesaggistico. Probabilmente da tempo abbiamo superato ogni soglia nella sostenibilità di questo modello di sviluppo, ma nessuno si sogna di proporre l’unica strategia vincente: il risparmio e la riduzione dei consumi.