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Eros e figurine

Giorgio Jellici

Se ne leggono tante al giorno d’oggi e, se non fossi da decenni abbonato, anzi, sostenitore di QT, non direi nulla. Mi riferisco alle due pagine d’incensamento, rimpinzato di superlativi (QT, 18 giugno, Il Don Giovanni di Milo Manara) che il direttore del quindicinale dedica ad "uno dei massimi illustratori italiani, Milo Manara", "maestro lo chiamano tutti", uno che "produsse un lavoro splendido, una ninfa che usciva nuda" – davvero? – " …da un lago alpino, straordinaria fusione di grazia e natura, di umano e alpestre: ma tra le cosce occhieggiavano maliziose le grandi labbra" – perbacco! – "a far impazzire i benpensanti".

Milo Manara e le sue donnine.

Dopo simili esternazioni viene da temere che un po’ di psicopatia frenetica da benpensante abbia contagiato anche il nostro direttore responsabile. Conosco anch’io Manara e dico subito – poiché dei gusti non si discute – che raramente, almeno a certi livelli, vidi immagini più kitsch, motivi più borghesucci e presuntuosi di quelli di Manara. Non basta saper disegnare per essere "un vero artista". Le donnine di Manara, anche se provocanti, sono irreali, ipostasi di fantasie erotico-sado-masochiste, versioni lascive di Heidi o di Soreghina che si esibiscono in mezzo ai fiorellini davanti alla casetta alpina, gelide e disanimi, anche se spudorate, come soprammobiletti di porcellana. Più che espressioni d’un vigoroso eros (alla Picasso, per intenderci) o d’una sensualità drammatica (alla Schiele, ad esempio), sono figurine sporcaccine, conigliette alla Playboy (vedi articolo sopra citato) da incollare nelle cabine dei camion.

Ma ciò, come appena detto, è soggettivo. Se al direttore di QT piace pubblicarle, andando in brodo di giuggiole, padronissimo di farlo. Basta però che non ce le voglia vendere come l’essenza grafica del grande Mozart, come se Manara fosse Salvador Dalì. Farà anche parte del buon tono oggi in Italia, almeno in certi circoli, considerare Manara "un maestro" - in questo squallore di adunate musicali ai piedi delle torri del Vajolet e di aiuole artificiali che invadono la città, non si può esser molto esigenti. Sorprendente però, da parte d’un giornale che si dichiara democratico, critico, fuori dal coro, è l’ammirazione incondizionata per una forma di sessualità che riduce la donna a vagina: "la vagina ne è pur sempre il centro" della donna, ci rivela Paris, estasiato. E lo fa tutto orgoglioso della sua verità insolente, come un ragazzino che vuol fare il grande.

Beh, son cose che succedono; peccato che a forza di voler apparire moderni, privi di tabù, dissacranti, ci si perda nel machismo più conformista. Quest’ambiguità non è divertente. No, perché poi magari nel prossimo numero troviamo il panegirico della rivoluzione del ’68, che ha riscattato la dignità della donna – così si suol dire, no?