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Le ambiguità dell’integrazione

Le classi-ghetto salveranno gli immigrati?

Prendete la parola "integrazione", utilizzata in questo periodo come una clava nei confronti degli immigrati, colpevoli di "rifiutare l’integrazione" e di non essere tanto beneducati da dimostrare reverenza nei confronti "delle nostre leggi", "delle nostre tradizioni", "dei nostri usi e costumi".

Sempre di più essa rivela una faccia non troppo nascosta, un’inquietante assonanza – nelle pratiche politiche che le vengono associate – con la parola "internamento".

Fikirte è etiope e, come tanti emigranti partiti dal Corno d’Africa, per arrivare clandestinamente in Italia è passata dalla Libia. Catturata a Tripoli dalla polizia insieme ad altri è stata portata – chiusa in un container per tre giorni – nel centro di detenzione di Kufrah. Lì, dopo essere rimasta diversi giorni segregata in condizioni intollerabili, è stata venduta dai poliziotti libici per circa 15 euro ad un intermediario, che poi le ha chiesto 400 dollari per liberarla e permetterle di continuare il suo viaggio verso il mediterraneo. A Kufrah, secondo quanto affermato dalla Commissione europea, si troverebbe uno dei tre "centri di trattenimento" per stranieri che l’Italia avrebbe finanziato in Libia. Il governo italiano ha smentito, mentre lo scorso 30 agosto, il premier Berlusconi ha siglato un accordo con Tripoli che permetterà di avere "più petrolio e meno clandestini".

La storia di Fikirte e di altri emigranti nell’inferno di Kufrah viene raccontata nel nuovo documentario di Andrea Segre "Come un uomo sulla terra", mentre la parallela odissea dei disperati che cercano di raggiungere l’Europa attraverso le enclaves spagnole di Ceuta e Melilla è narrata dalla china dell’italiano Lorenzo Mattotti in "Un femme sur la route", pubblicato in "Paroles sans papiers", raccolta francese di storie a fumetti dedicate all’immigrazione.

Camion container nel deserto del Sahara. Dal film di Andrea Segre “Come un uomo sulla terra”.

Secondo "Fortress Europe" (rassegna stampa che dal 1988 ad oggi fa memoria delle vittime della frontiera) sono stati 3.118 gli emigranti morti nel tentare la traversata del Canale di Sicilia; 4.339 cercando di raggiungere Spagna e Canarie. Eppure qualcuno, nonostante un viaggio infernale, ce la fa a raggiungere le agognate sponde italiane. Solo per trovarsi, ancora una volta, imprigionato in quei buchi neri del diritto che sono i Cpt (a proposito, il governo prevede di aprirne uno nel Nordest), grazie ad una criminalizzazione dell’immigrazione che, secondo il filosofo del diritto Luigi Ferrajoli, porta ad una "carcerazione di massa della povertà, generata da una degenerazione classista della giustizia penale".

E nonostante le sofferenze vissute dal nostro emigrante durante il suo viaggio impostogli dallo sviluppo ineguale di un mondo diviso tra ricchi e poveri, noi, che di questo drenaggio di risorse da Sud a Nord in parte usufruiamo, pretendiamo che egli faccia mostra di comportamenti urbani, che sappia a memoria "La cavallina storna" e dica "buongiorno" e "buonasera". Che faccia almeno, prima di inoltrarsi a piedi nel deserto libico, un corso di italiano.

Insomma, pretendiamo che "si integri", come se questo fosse un compito che spetta soltanto a lui, un obbligo e non una scelta condivisa e costruita insieme nel tempo. E magari gli chiediamo anche di mostrare un po’ di entusiasmo per la "nostra cultura" e le "nostre leggi" – i varietà di prima serata, il lodo Alfano, la Cirielli – sotto minaccia di togliergli qualche punto e rimandarlo indietro. Se poi, dopo aver ottenuto il tanto desiderato permesso di soggiorno, il nostro coraggioso immigrato riuscirà a mandare i figli a scuola, ecco che questi dovranno subire l’umiliazione di un esame di italiano e, se giudicati incompetenti nella lingua di Dante, internati in classi ghetto.

Intanto noi, grazie al federalismo, e i nostri figli, grazie alla regionalizzazione dei concorsi per i docenti prevista insieme alle classi separate, finiremo rinchiusi in tante piccole patrie: il Piemonte, il Veneto, la Lombardia, che si disputeranno il primato della purezza etnica. "La politica di estrema destra è ossessionata dal fantasma paranoide di una sorta di complotto costante contro l’identità (la purezza) della comunità", scrive Alain Bihr, sociologo francese, nel suo libro "L’actualité d’un archaïsme".

Così c’è caso che, oltre che pagarci le pensioni, gli immigrati alla fine saranno gli unici a parlare correttamente in italiano, salvati dalle classi ghetto, mentre i nostri figli avranno appreso ad esprimersi soltanto in dialetto.