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Industria negletta. Perchè?

All'assemblea della Confidustria Trentina, orgoglio e lamenti. Entrambi giustificati. Ma il "mancato riconoscimento" da parte della società, ha dei motivi non infondati: e, con un po' di autocritica...

Un congresso, un’assemblea generale, una convention è anche – o forse innanzitutto - un rito: serve a rassicurare gli iscritti, dare identità agli associati, mobilitare e suscitare consensi ed entusiasmi. E del grande rito ha avuto tutte le caratteristiche anche l’Assemblea Generale della Confindustria Trentina: setting emblematico e grandioso, un capannone della Helicopter Italia (a Mattarello, presso l’aeroporto Caproni, società di noleggio e soprattutto manutenzione) con gli elicotteri da revisionare visibili in trasparenza dietro opportuni teloni trasparenti; apparato multimediale fantascientifico, multiriprese tv, maxischermo, gobbi invisibili, maxipannello a luci a led a evidenziare le parole chiave espresse dal relatore; ospiti illustri, star del circuito nazionale, dal multipresidente Luca Cordero di Montezemolo, al sondaggista Mannheimer, al ministro Bonino, al sindacalista Bonanni...

Ilaria Vescovi tra la ministra Emma Bonino e il presidente nazionale Luca Montezemolo.

Anche i concetti espressi a voce, ribaditi nei filmati, martellati dal multimediale, rappresentavano la classica liturgia congressuale: noi siamo bravissimi, i migliori; il mondo non lo capisce; glielo faremo capire, perchè siamo noi l’avvenire. Nel caso specifico: siamo noi industriali, con le nostre capacità di combattenti, a creare ricchezza e a generare innovazione; la società stenta a riconoscere questo nostro ruolo centrale; noi dobbiamo continuare a proporci con sempre maggior forza.

Questa la liturgia. Interpretata magistralmente, dalla nuova presidente della Confindustria trentina, Ilaria Vescovi e (per 130.000 euro, ci rivela il Corriere del Trentino) dalla Limelite, società romana specializzata in convegnistica spettacolarizzata.

E oltre il rituale? La nuova presidenza, di una donna (bene!), imprenditrice del manufatturiero e non dell’edile (benissimo!) come si caratterizza? E’ a queste domande che vediamo di rispondere.

Iniziamo ancora dal rituale, cercando di esplorarne i significati meno convenzionali. Dunque: gli imprenditori, nella loro diuturna lotta sui mercati, forniscono la spinta propulsiva alla società, affrontano con sempre nuovi occhi i nuovi problemi, applicano l’innovazione e stimolano l’internazionalizzazione, oggi imprescindibile. Però, soprattutto in Trentino, sono poco riconosciuti, l’industria è troppo spesso solo sopportata o addirittura vista con fastidio. "Eppure siamo il settore più importante per valore aggiunto, con due miliardi di euro, un export di 2,8 miliardi (cresciuto del 5,1% nell’ultimo anno), 33.000 dipendenti (di cui oltre il 90% a tempo indeterminato, la precarietà non abita qui)".

Orgoglio quindi; e lamento. Come del resto i commercianti, gli albergatori, i sindacati, gli artigiani...

Andare oltre il rito, dicevamo. Perchè nelle parole della fermissima e gentile Ilaria Vescovi, c’è molto del vero.

Innanzitutto i risultati: è indubbio che l’imprenditoria trentina ha, mediamente, saputo muoversi bene (come, proprio il giorno prima dell’assemblea confindustriale aveva evidenziato il tradizionale studio della Cgil sui bilanci delle 118 maggiori società industriali trentine, che hanno registrato nel 2006 una crescita media di fatturato del 14,3%). E anche i dati di quella italiana sono confortanti (pur con tutta una serie di riserve che qui non esplicitiamo). La stessa imprenditoria veneta, data dagli studiosi per spacciata con l’avvento della concorrenza asiatica, ha saputo con inventiva e tenacia riciclarsi, posizionarsi in un nuovo settore del mercato globale e rifiorire.

Allora, come mai questo lamentato scarso peso, questo mancato riconoscimento?

La neo presidentessa Ilaria Vescovi legge la sua relazione all’Assemblea di confindustria. Sotto: ingrandito, il gobbo su monitor trasparente e invisibile al pubblico, che ha fatto ritenere la Vescovi dotata di memoria miracolosa.

In realtà nei rapporti industria-società, e soprattutto industria-politica ci sono due aspetti. Il primo, che la neopresidente si è (comprensibilmente) ben guardata dal ricordare, riguarda il tradizionale rapporto privilegiato tra politica e industria delle costruzioni: nato dalle contiguità tra immobiliaristi e amministratori in tema di pianificazioni (e di deroghe) urbanistiche, si è poi amplificato con la gestione degli appalti pubblici. Portando a due risultati negativi: la risibile soluzione cementizia di ogni problema (c’è una questione sanità? costruiamo un nuovo ospedale, ecc); l’elusione della concorrenza (vedi gli appalti-spezzatino, in barba alle odi al libero mercato).

Risultato generale: gli amministratori identificano l’industria con questi settori a loro contigui; o con altri, altrettanto contigui perchè parimenti bisognosi di protezione (come gli impiantisti, sempre in fila per deroghe urbanistiche e contributi, per di più oggi elusivi delle norme europee).

Da questo contesto esce compromesso il posizionamento politico-sociale dell’insieme dell’industria: che peraltro mai trova alcunchè da ridire su tale andazzo, ancorchè contrario a tutti i principi liberisti altrimenti sbandierati. Nelle strette di queste contraddizioni, i rimbrotti e le prediche pro-mercato della Confindustria trentina risultano fatalmente poco credibili e per nulla incisivi.

C’è poi un secondo aspetto del mancato riconoscimento del ruolo dell’industria, anche manufatturiera. Perchè il problema è vero: se decenni fa i governi democristiani avevano poca simpatia per l’industria in quanto contenitore di operai, allora comunisti, oggi la diffidenza riguarda altri aspetti, la questione ambientale (l’industria inquina) e quella occupazionale (genera soprattutto occupazione poco qualificata, "Volete tenere aperta la Whirlpool? Ma perchè? Per far venire altri extracomunitari?" ha recentemente sentenziato il prof. Cerea).

Sono due temi veri. Importanti e intrecciati. Ne parliamo utilizzando anche le opinioni di un interlocutore più volte evocato, il sindacato, nelle persone di Ruggero Purin, segretario della Cgil, e di Ermanno Monari, della Uil.

Dunque, sul tema ambientale Vescovi ha un po’ pasticciato, probabilmente riflettendo le contraddizioni interne alla categoria. Infatti da una parte ha ripetutamente portato esempi di vincoli ambientali quando ha rivendicato maggior agilità burocratica ("e considerare le regole ambientali come pesantezza è sbagliato. Una cosa è chiedere snellimento, un’altra, deregulation" dice Purin; "non capisco questa ossessiva richiesta di nuove aree produttive: vogliamo prima riutilizzare i tanti capannoni dismessi, le aree non utilizzate?" afferma Monari). In sostanza sembra che per Vescovi valga l’antica (e si pensava superata) visione per cui economia ed ambiente sono in contrasto. Eppure d’altra parte la presidentessa ha ripetutamente sottolineato la nuova frontiera dell’industria trentina, il distretto ambientale, con tutto quello che ne consegue: ricerca, occupazione qualificata, nuovi mercati (basti pensare al futuro dell’edilizia a forte risparmio energetico) certificazione di qualità ambientale delle aziende. "Questa è una strategia vincente – commenta Purin - su cui si è impegnata sia la Giunta provinciale, sia una parte solida dell’industria trentina". Forse entrambi stentano a tradurre un pur convinto impegno settoriale in visione complessiva.

Centrale anche il tema della qualità dell’occupazione: con una popolazione che tende sempre più a scolarizzarsi, non ha senso offrire posti di lavoro dequalificati, che per di più portano a prodotti di scarso valore aggiunto, difficilmente competitivi sul mercato globale. "Oggi ci troviamo con una domanda di lavoro ancora ferma a qualifiche basse – affermano i sindacalisti – Chi ha innovato, ha ora bisogno di competenze elevate e di aggiornamento costante; chi invece i profitti li ha solo incamerati senza reinvestirli, ha bisogno di manodopera poco qualificata, non facilmente reperibile, e si trova con una produzione non propriamente competitiva".

Vescovi ha affrontato il problema dall’altro corno: "vogliamo e siamo disposti a sostenere una scuola che educhi di più il cittadino, sia più meritocratica, e dia più formazione tecnica".

Bene. Basta che di converso le aziende si evolvano, per poi assorbire i giovani diplomati e laureati.

Questo sembra sia l’obiettivo: e un’industria che riuscisse a fare della tecnologia ambientale e del lavoro altamente qualificato la propria caratteristica saliente, non avrebbe più bisogno di chiedere riconoscimenti. Nè presso la politica, nè presso la società.